Verso a Moab
Island in the Sky: così si chiama
l’altopiano da cui si domina il Canyonlands National Park, il più grande
dei parchi nazionali dello Utah. In questa zona, la natura offre uno dei
più grandiosi spettacoli al mondo. Il fiume Colorado è il protagonista
indiscusso della regione.
Fu il boom dell’uranio negli anni ‘50
a far emergere l’esistenza di Moab e dei suoi spettacolari paesaggi. I
fantastici scenari sono utilizzati ancora oggi come set per numerosi film,
ed è capitato anche a noi di imbatterci in una troupe cinematografica
percorrendo
la strada n. 313 verso “Island in the sky”. La
cittadina
di Moab, nulla più di un puntino sulla carta dello Utah fino a qualche
anno fa, è diventato un centro semirurale molto chic di circa 6.000 anime.
La principale attività? Turismo, turismo e ancora turismo. Come mai tanta
affluenza? Presto detto: nel raggio di poche decine di km è possibile visitare
il Canyonlands National Park - tra i più belli di tutto il Nord America,
nonché il più vasto dello Utah, con i suoi 850 km quadrati - e se non dovesse
bastare ci sono anche l’Arches National Park ed il Dead Horse State Park.
Essendo il paradiso dell’attività all’aria
aperta, la possibilità di noleggiare in zona moto o quad è molto semplice.
Le agenzie che offrono servizi vari, dalle escursioni a cavallo alle discese
in gommone delle rapide del Colorado, dal trekking alle gite in moto e
fuoristrada, sono numerosissime, c’è soltanto l’imbarazzo della
scelta.
Dal canto nostro, con l’inseparabile Transalp non abbiamo avuto questo
genere di problemi. Arriviamo da sud e decidiamo di visitare la parte
meridionale
del Canyonlands National Park, dove si trova la Confluence Overlook,
cioé lo strapiombo da cui si gode la vista della confluenza del fiume Green
River nel mitico Colorado, che poi prosegue il suo corso verso
l’incredibile
spettacolo del lago artificiale Lake Powell: l’intero Glen Canyon riempito
d’acqua (trecento km di lunghezza e tremila di rive). Ma all’avvio
della
stradaverso la confluenza dei due fi umi, un ranger, gentilissimo come
tradizione del ruolo, ci sconsiglia di intraprendere il viaggio, visto
che la pista è difficilmente percorribile anche da un’automobile a 4 ruote
motrici, e ci consiglia di tralasciare anche l’altra deviazione, il
Needles
Overlook, altro punto panoramico nel lento avvicinamento verso Moab,
spostato di circa 35 km dalla principale highway 191, per andare direttamente
nella parte settentrionale del parco. “Non crederete ai vostri
occhi!”,
aggiunge. Dopo aver trascorso qualche tempo in questo angolo di America,
abbiamo visto tali e tante bellezze naturali da aver maturato un certo
scetticismo sulla possibilità di vederne di più e più belle. La giornata
volge già al pomeriggio e la curiosità ci sta lentamente divorando. Ma
l’appuntamento con “Island in the sky” (il nome è
tutto un programma)
deve essere rinviato al giorno successivo.
L’isola nel cielo
Arriviamo a Moab nel tardo pomeriggio, anche perché se da un lato questo
è sicuramente il periodo migliore dell’anno per una visita
(l’affluenza
turistica è meno intensa del solito e l’atmosfera è più limpida),
dall’altroe
non è molto favorevole per le foto, perché le giornate sono relativamente
corte. Nonostante alla prima impressione il piccolo centro sprizzi ricchezza
e benessere da ogni angolo.
Troviamo l’ostello più economico degli States, che vale giustamente la
pena di essere menzionato: The Lazy Lizard International Hotel, che alla
modica cifra di 8 dollari (mai visto in anni di onorata carriera) consente
di dormire in un letto in camerata. Non crediamo alle nostre orecchie,
soprattutto dopo le “mazzate” degli ostelli della costa ovest ed
alcuni
campeggi-truffa in alcuni parchi nazionali. Inutile dire che ne approfittiamo:
simile occasioni non capiteranno più neanche in seguito. La mattina di
buon ora siamo già all’opera, reflex alla mano, ma del tutto ignari di
quello che ci attenderà di lì a qualche ora. Gli opuscoli pubblicitari
fantasticano che nelle giornate più chiare e limpide in questa parte dello
Stato la vista può spaziare fino a 100 miglia. Esagerati! Ci dirigiamo
a nord fino alla junction con la strada n. 313, la imbocchiamo e,
dopo una quarantina di km, siamo di nuovo all’interno del parco.
L’accoglienza,
all’imbocco di “Island in the sky”, è una vera
miniera di informazioni:
non ci sono tante strade ma è bene farsi consigliare per affrontare e sfruttare
al meglio le migliori ore di luce nei vari overlook disseminati
lungo questo budello di una trentina di km scarsi. Non ci vuole molto a
capire il motivo del nome di questa zona: è un immenso blocco di terra
che galleggia letteralmente nell’aria, come fosse una terrazza sospesa
nel vuoto a 1.800 metri di altezza con una vista che spazia all’infinito:
non sappiamo se la visibilità arrivi a 100 miglia, come dicono qui, ma
di sicuro va ben oltre le possibilità dell’occhio umano.
I punti panoramici sono ben 9, alcuni richiedono una breve camminata, ma
mai oltre i 20 minuti. La cosa degna di nota è che anche la strada rappresenta
una vera delizia per gli occhi e la guida. Dimenticate i rettilinei a perdita
d’occhio, e preparatevi ad una guida divertente con un ottimo asfalto,
sempre prestando attenzione ai bordi che spesso si avvicinano assai
pericolosamente
al niente assoluto. Tutto qui? Naturalmente no. Circa 400 metri più in
giù “l’isola” è circumnavigata dalla “White Rim
road” che corre direttamente
sul bordo dei 2 canyon. Il White Rim è un altopiano di concrezione sabbiosa
resistente all’erosione. Intorno, scorre per 100 miglia uno dei tanti
sterrati della regione, in terra battuta che sembra asfalto. Questa, in
particolare, è una strada realizzata dopo la Seconda guerra mondiale per
servire l’estrazione di uranio nella zona. La percorrenza richiede due
giorni, anche perché le soste sono frequentissime. In questa zona hanno
girato la scena finale del noto film Thelma & Louise.
Dead Horse Park
Manca ancora all’appello il Dead Horse State Park, istituito qualche anno
prima rispetto al Canyonlands, che offre un punto di vista alternativo
dei canyon, verso nord-est. Spesso i parchi statali sono gratuiti, non
è il caso di questo, che costa 2 dollari, ma sono decisamente ben spesi.
E’ sicuramente il punto più spettacolare della zona per assistere al
tramonto.
Arriviamo un po’ in anticipo, paghiamo e ci dirigiamo verso “the
neck”
(il collo), uno strettissimo, angusto, sottile passaggio asfaltato
che mette in comunicazione il resto del mondo con Dead Horse Point,
un piccolo promontorio 600 metri sopra il corso del Colorado.
Anche il Meander Overlook, lungo la strada, non è niente male, ma
quello che vedremo di lì a poco supera ogni immaginazione. Il rischio di
perdere contatto con la realtà è elevatissimo. Non riusciamo a mettere
a fuoco il panorama, i nostri parametri visivi sono completamente sballati,
il concetto di distanza perde ogni significato. La vista si ubriaca
dell’orizzonte.
Canyon e canyon a perdita d’occhio, come serpentine che si perdono
nell’infinito.
E che colori! Il rosso è passato completamente in rassegna, in tutte le
sue sfumature possibili ed immaginabili.
Rimaniamo inebetiti fino allo scomparire dell’ultimo raggio di luce.
Ma non è soltanto il paesaggio a sconcertare: l’inaudito silenzio che
ci accompagna porta il visitatore in una dimensione metafisica.
E’ un silenzio fragoroso, che assorbe tutto come una spugna: suoni, voci,
risa, perfino il rombo degli aerei che portano i turisti in perlustrazione!
Rientriamo all’ostello accompagnati dall’ultimo barlume di luce del
sole
già tramontato.
Arches National Park
In poche decine di miglia, la zona ha ancora molto da offrire al visitatore,
in un’infinita serie di stimoli. Un altro parco: l’Arches National,
che
vanta la più alta concentrazione di archi in pietra arenaria del mondo.
Ci sono più di 200 archi e tutti concentrati in un’area relativamente
piccola (per i parametri della zona: circa 300 km quadrati). Vi anticipiamo
che qui la moto resta un po’ in secondo piano. C’è da camminare,
ragazzi,
ma vedrete che non sarà un grosso sacrificio, anzi. La prima parte
dell’Arches
National si chiama “Windows Section”: la strada fa uno slalom tra
gli
archi, in un panorama surreale nel quale sembra di trovarsi all’interno
di una scenografi a di un film di fantascienza. Imperdibile lo spettacolo
della luce che s’insinua nelle prime ore del giorno.
La seconda parte, che poi si compone di fatto del solo “delicate
arch”,
ha 2 punti panoramici: al primo si accede con una sgambatina di circa 1
ora tra andata e ritorno, il secondo con una camminata di circa 5 km addirittura
entusiasmante al tramonto. Da considerare che la temperatura atmosferica
in primavera-estate è sempre piuttosto elevata, pertanto le camminate vanno
affrontate con il dovuto ritmo blando.
La terza parte, infine, è quella chiamata “Devils’ Garden” ed
è sicuramente
la più interessante, ma si devono calcolare almeno 3 ore di marcia. Qui
gli archi sono così tanti e così concentrati da valere il sacrificio della
camminata a 40° di temperatura. Ricordatevi però di portare acqua in abbondanza.
Si chiude questo giro tanto breve (sempre per gli standard del posto) quanto
intenso. Un itinerario in cui la moto è un semplice pretesto, quasi puro
mezzo di trasporto, ma da fare almeno una volta nella vita.
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