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Alla scoperta della Meteore, i paradisi sospesi della Grecia

Vi proponiamo un viaggio in Tessaglia (Grecia), in quella foresta di pinnacoli rocciosi chiamati Meteore che, nei secoli, hanno offerto rifugio a monaci eremiti
1/18 Le Meteore sono anche chilometri di tortuoso asfalto, dove perdersi tra visite di siti sacri, natura selvaggia e curve
Sei marce, per godersi ogni scorcio di tramonto alle Meteore, sembrano non bastare. Tanti sono i punti dove sostare, spegnere il motore e tacere, divorando con lo sguardo le nette sagome di ognuna delle 120 torri di arenaria che s'ergono in controluce, mentre il sole scende, dietro a chissà quale quinta di montagne, nell’infinito orizzonte dell’entroterra greco. Lungo l’anello minore, lungo circa 20 km, che vogliamo proporvi e che tocca tutti i monasteri sospesi, esistono decine di punti panoramici più o meno noti, da scovare dietro una curva, dopo un tornante, in cima a un’altura. Una delle postazioni più ambite, ma anche meno intime, è il punto panoramico di Psaropetra, sopraelevato rispetto a tutto il complesso di formazioni. Dove si aprono parcheggi o slarghi spesso si accede a piattaforme naturali di roccia, dove gruppi di turisti, coppiette a caccia di scorci romantici o camminatori solitari si ritrovano per ammirare lo spettacolo degli ultimi minuti di luce dorata, finché tutto si spegne, lasciando spazio alle sole stelle. La scelta di non illuminare i monasteri e le formazioni rocciose è una lunga storia, che nasce da una ferma volontà di rispetto degli ordini religiosi che vi vivono e da un approccio radicale da parte delle istituzioni perché, in fondo, trattasi di un complesso archeologico. Esistono eventi e situazioni eccezionali, in occasione di festival o festività, che coinvolgono questo luogo sacro ma, per il resto, la parola d’ordine è contemplazione, che qui è sinonimo di rispetto e silenzio. Un ottimo esercizio per noi motociclisti, abituati a ostentare il rombo del motore e a tirare le marce. Un esercizio di introspezione, perché questo viaggio non è solo la percorrenza di una traccia, ma un cammino in culture e culti diversi dai nostri. In un’area di circa 3 chilometri quadrati si concentra tutto un mondo di storie e visioni e il punto migliore di partenza è la cittadina di Kalambaka, o il vicino paese di Kastraki.
Le Meteore sono anche chilometri di tortuoso asfalto, dove perdersi tra visite di siti sacri, natura selvaggia e curve

Quelli della notte

Tra il tramonto e l’alba, tutto può succedere. Oltre all’occasione di poter ammirare stellate memorabili e di godere di silenzi ipnotizzanti, esiste la possibilità di cercare o trovare momenti di viaggio alternativi. Di notte le Meteore, abbiamo detto, non esistono; le montagne nemmeno, ma esiste una strada tortuosa, uno scosceso budello dove si può giocare tra equilibrio e prontezza di riflessi, sfruttando al massimo il proprio sistema d'illuminazione (noi abbiamo quello della Super Ténéré in versione Ride Edition). La guida notturna o la si ama o la si odia ma, spesso, in lunghe percorrenze e viaggi veramente “adventure” capita e riserva piacevoli sorprese. Qualsiasi contesto extraurbano sparisce e rimane la sola strada, scontornata, netta, protagonista assoluta. Il premio finale di un tratto montano notturno sulla strada Statale 6 (o E92) che collega il porto di Igoumenitsa a Trikala? Riposarsi le giuste ore, risvegliarsi all’alba e scoprire la magia di trovarsi nel bel mezzo di un singolare angolo di mondo chiamato Kalambaka, la porta d’accesso alle Meteore, abbracciato da scarpate e rupi tempestate di eremi e monasteri. Il primo colpo d’occhio su questo miracolo della geologia e della storia dell’umanità è indelebile, qualunque sia il punto di accesso. Un’ottima alternativa dove soggiornare, più defilata e autentica, è Kastraki, paradiso di camminatori e arrampicatori.

Templi a mezz'aria

Il nome Meteora deriva dall’aggettivo greco metéora, che significa “in mezzo all’aria”. Effettivamente, trovandosi a percorrere questa zona, si ha l’impressione che quelle quasi invisibili costruzioni siano più vicine al cielo che alla terra. I primi eremiti si insediarono tra le cavità naturali di queste rocce per innalzarsi verso Dio, nel vero senso della parola, intorno all’anno mille. Sospesi nel vuoto, si lasciavano tutto alle spalle per condurre il resto della loro esistenza isolati dal resto del mondo, tra silenzio e preghiera. Ma è a partire dal XIV secolo che si crearono le comunità monastiche organizzate, con la costruzione dei primi complessi sulle cime di questi speroni rocciosi, dove i monaci trovarono casa spinti, oltre che dal desiderio di avvicinarsi a Dio, anche dalla necessità di sfuggire alle persecuzioni dei turchi. Pare che sia stato il monaco Atanasio, proveniente dal monte Athos, a dare il nome ‘Meteoro’ all’enorme roccia che faceva da base al monastero che qui egli fondò, la Gran Meteora, oggi noto come convento della Trasfigurazione o Metamorfosis. Dei 24 monasteri originari, oggi ne rimangono soltanto sette: Varlaam, Megalo Meteoro o Metamorfosis, Agios Stefanos, Agios Nikolaos Anapafsa, Roussanou e Agia Triada, oltre a Iopantis, chiuso al pubblico. Gli altri sono abbandonati o sono addirittura scomparsi. Ogni monastero ha un orario e un giorno di apertura, che varia stagionalmente: bisogna dunque pianificare con attenzione le visite, scegliendo magari meno siti, ma considerando che l’accessibilità a ogni struttura è lenta, prevede solitamente un sentiero, molti gradini, e l’ingresso a pagamento alle diverse strutture che formano ogni complesso monastico. Ciascun monastero è disposto attorno a un cortile centrale circondato dalle celle dei monaci, dalle cappelle, dal refettorio e dal katholikon (chiesa principale), decorato con ricchi cicli di affreschi, arredi e dettagli che valgono un lungo tempo di visita, per non perdere nessun dettaglio. Nei cortili si trova solitamente una lunga trave di legno che fungeva da campana per scandire le giornate: 8 ore di preghiera, 8 di lavoro e 8 di riposo. Alcuni monasteri sono raggiungibili comodamente in moto, altri attraverso sentieri, altri ancora solo arrampicandosi sulla roccia e, tutto sommato, forse questo sarebbe il modo più indicato per scoprire questo luogo: ripercorrendo i passi e le fatiche dei monaci che li hanno costruiti e vissuti nei primi secoli.
I primi eremiti si insediarono tra le cavità naturali delle Meteore per innalzarsi verso Dio e fuggire alle persecuzioni religiose. Oggi sono visibili piccole parti delle scale usate per accedervi, sempre sull’orlo di precipizi.

Cardani, argani e corde

Quanta meccanica potrebbe esserci in un sito religioso risalente al XI secolo d.C.? Tanta, tutta da osservare, capire e riconsiderare sulla base della Storia. I metodi di accesso, tra scale in legno retrattili, funi, argani e carrucole, sembrano leggende, invece nei musei si ritrovano segni e fotografie in bianco e nero che raccontano e confermano. Temi che, se remixati con il mondo delle due ruote, accendono trattati degni della drammaturgia greca. La diatriba motociclistica tra catena e cardano, che calza benissimo sui veri appassionati di Yamaha Ténéré, potrebbe essere simile a un confronto tra monaci su carrucole o argani. Uno dei modi migliori per capire le Meteore è toccarle con mano, tastarne la consistenza, sbirciare nelle fessure, scivolare sui detriti, attraversare le fitte foreste da cui si ergono i maestosi totem di pietra, fino a conquistare un punto privilegiato, usando quel che offre la tecnologia d’oggi. Per qualche ora è giusto parcheggiare la moto, togliersi gli abiti da centauro e diventare turisti seguendo Constantinos, una guida alpina locale che, da sempre, scala queste rocce, con rispetto e fare montanaro. Scalare, qui, è un sogno, ma percorrere l’unica via cordata appositamente predisposta per permettere a chiunque (dai 7 anni in su) di vivere un’esperienza a tu per tu con l’essenza del luogo, dà comunque grandi emozioni. In massima sicurezza, usando corde, moschettoni e attrezzature da alpinismo, si arriva in cima a una delle 120 formazioni, per godersi una vista su tutta la vallata di Kalambaka e capire un poco meglio il significato estremo della vita da eremita.
Uno dei modi migliori per capire l’essenza della religione monastica ortodossa delle Meteore è inerpicarsi tra le formazioni di arenaria con corde e moschettoni, seguendo una guida locale

L’anello maggiore

Oggi i monasteri sono un impasto di innovazione e tradizione, globale e locale, modernismo e nostalgia, saldamente appoggiati su picchi di arenaria alti anche centinaia di metri (il più alto è la Grande Meteora: 613 m slm). Ma, oltre a questo microcosmo, esiste una regione, la Tessaglia, dalla natura rigogliosa, dalle vette innevate, dalle strade simili ad autodromi. Così si cambiano mappatura, scala, ritmo e temi, passando in un tratto di pochi km dall’ambiente raccolto dei monasteri all’ampiezza di panorami, passi e boschi sconfinati, che profumano di resina e libertà. Una metamorfosi improvvisa, spiazzante, che riaccende il motociclista che è in noi. Guida sportiva, sguardo sempre sulla curva successiva, la sensazione di volare come rapaci che volteggiano sopra la catena montuosa del Pindo, che si allunga da sud-est a nord-ovest per circa 180 chilometri in area balcanica comprendendo anche parte dell’Albania dell’Epiro e della Repubblica di Macedonia. La vetta più alta, che si scorge in lontananza, è il monte Smólikas, con i suoi 2.637 metri, sacro al Dio Apollo e alle Muse. La Tessaglia è ampia e l’anello maggiore da noi affrontato si snoda evitando sempre le autostrade, andando a caccia di curve, valichi e canyon. Partendo da Kalampaka, si percorrono in serie la Statale 15 in direzione nord fino a Grevena, per poi tornare verso sud evitando l’autostrada Egnatia Odos (A2). Poco dopo Grevena, costeggiando il fiume Venetikos, compare improvvisamente un antico tratto di strada che attraversa il fiume su due ponti in pietra, a cinque e tre arcate, accessibili liberamente, noto alla gente del posto come luogo speciale, dove sostare per un pic-nic o per riempire una borraccia con l’acqua della fonte che sgorga tra i due ponti. Impossibile resistere, si deve deviare per un salto indietro nel tempo, in vera modalità Raid Edition, almeno per qualche minuto. Poi tornano altopiani e foreste di conifere. Passando un valico senza nome a 1.500 m e superata una curva cieca, appare un paesaggio sorprendente: ci si ritrova catapultati in un una steppa mongola, o tra le montagne neozelandesi. Invece siamo proprio in Grecia, solo la mappa e il GPS lo confermano, perché per il resto sembra proprio di essere finiti dall’altra parte della Terra. Ultima tappa degna di nota è Metsovo, un suggestivo paese di montagna, nota località di villeggiatura, dove l’aria sa di camino scoppiettante, l’artigianato in legno riempie la piazza e ogni anno si corre l’Ursa Trail, un evento sportivo internazionale per veri duri, tra orsi, vette e foreste. Vale la pena soggiornare qui almeno una notte, per assaporare l’autentico clima montano greco, godersi il passo Katara e compiere il giro completo del lago artificiale Pigon. Tornando a Kalampaka tutto cambia nuovamente. Si torna diversi, con un’immagine della Grecia continentale trasfigurata in soli 250 tortuosissimi km.
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