Il mare, dicevamo, Ilaria scalpita. Prendiamo la Sp 49, strettina ma con un bell’asfalto pulito e gli alberi a proteggerci dal sole che si fa sempre più caldo, continuiamo sulla Sp 3, stesso mantra di tornanti, e quando incrociamo la Sp 57 ci buttiamo a destra.
L’asfalto si assottiglia sempre di più, ingoiato da una faggeta sconfinata, una delle tante che caratterizzano la zona sommitale del Parco nel quale stiamo scorrazzando già da un po’. E poi, all’improvviso, eccolo là il mare. Sì, ma 1.000 metri sotto di noi. Guardo Ilaria di sottecchi, per capire se si è imbufalita, ma questo posto è troppo bello, come potrebbe?
Siamo in mezzo all’Alta Via dei Monti Liguri, un percorso suddiviso in 44 tappe e lungo 440 km che taglia tutta la regione seguendone il versante costiero. Il Parco (immenso, oltre 39.000 ettari a cavallo tra la provincia di Genova e Savona che ne fanno l’area protetta più vasta della Liguria) offre un patrimonio geologico, storico e faunistico eccezionale e infatti dal 2015 è stato inserito nella lista dei geoparchi protetti dall’UNESCO.
Ci sono percorsi a piedi stupendi, quello su cui stiamo camminando ora (dal Rifugio Pratorotondo al Passo del Faiallo) rappresenta il trekking geologico ideale e la tappa più panoramica e varia dell’Alta Via, permette di osservare la meraviglia di affioramenti ofiolitici vecchi di oltre 150 milioni di anni punteggiati di granati rossi stupendi.
I fiumi di pietra di Pianfretto o della Torbiera del Laione testimoniano invece lo sgretolamento delle cime dei rilievi innalzati dal fondo marino del Permiano, ad opera dei cicli di gelo e disgelo di un passato infinitamente più antico della storiaccia di serpenti e mele in cui sono incappati gli ingenui Adamo ed Eva.
Non so se vi è mai capitato, ma provate a immaginare di fare un trekking tra i 1.000 e i 1.200 metri d’altitudine, prati, faggete, rare Viole di Bertoloni e tutto intorno i cuscinetti rosa di Dafne Odorosa (fiore d’altitudine minuscolo e coriaceo, simbolo del parco), ma il mare è proprio lì, a circa un chilometro da voi.
Avete focalizzato? Bene, aggiungeteci la neve che qui arriva puntuale ad ogni inverno e avrete un quadro delle potenzialità oniriche di questo posto. Di quelli che non vorresti andartene più, o quantomeno non fino al tramonto. Quindi via le giacche, i caschi, i guanti e le borse, lasciamo tutto al rifugio Pratorotondo e, per oggi, chi s’è visto s’è visto (doppie con bagno comune al piano 50 euro, letti in camerata 15 euro).
Dai boschi al deserto
Inserite due punti qualsiasi abbastanza vicini tra loro, diciamo 30-40 km, dell’entroterra ligure su Google Maps e guardate i tempi di percorrenza: almeno un’ora, quando va bene. L’usatissimo software di Mountain View vi dichiarerà medie sempre intorno ai 30 km/h.
È il motivo per cui uno dei maggiori argomenti di discussione dei liguri è la mancanza di infrastrutture, lo stesso motivo per cui io adoro percorrere questa regione in moto. Di fatto non puoi sbagliarti: allontanati dalla costa e troverai solo gomitoli di curve ammucchiati uno sull’altro. E così inizia questa giornata, con un nastro nero che si srotola in volute morbide e continue nel verde intenso senza fine dei boschi tutti attorno alla Sp 12. Qui vicino c’è anche il passo del Faiallo, quando la Sp 40 diventa Sp 73, in direzione Fado Alto.
Ma preferiamo andare direttamente verso nord, seguendo la Sp1 prima e la Sp 64 subito dopo, che si arrampicano dondolando sui versanti boscosi che dalla Valle dell’Orba raggiungono la Valle Stura. Ci lasciamo alla sinistra l’austera Badia del Tiglieto, fondata il 18 ottobre del 1120 da monaci cistercensi provenienti dalla Borgogna e tuttora vegliata da un rovere secolare, mentre guidiamo sembra di percorrere a ritroso il nastro della storia rimasta incastrata tra alcuni dei più bei panorami dell’entroterra genovese.
Poi in una manciata di chilometri il paesaggio cambia di colpo: spariscono i boschi e ci troviamo in un ambiente brullo e quasi desertico, battuto dal vento. Non c’è più traccia di architettura medievale e sembra d’essere in Corsica, o in Sardegna, immersi nella terra rossa che accarezza rocce aspre e una vegetazione bassa e cespugliosa.