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Brescia-Napoli, lungo la ricca storia d'Italia

Nord-Sud, tanto lontani eppure uniti da un passato che dice chi siamo oggi. Due città tanto diverse che ben rappresentano la varietà del nostro territorio, dove la storia la fa da padrona: basta solo guardarsi attorno. Un viaggio di quattro giorni attraverso sette regioni senza mai prendere n'è l'autostrada n'è una tangenziale

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Valeggio sul Mincio, il “Ponte Lungo” largo circa 25 metri e lungo 650 m

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Chi dice che la Pianura Padana sia noiosa da percorrere in moto, ha ragione solo a metà. La strada che separa Brescia da Castellaro Lagusello in realtà è piacevole, con curve leggere e un asfalto pulito. In ogni caso, il viaggio noi lo abbiamo affrontato in sella a una Husqvarna Svartpilen 401, una moto mignon perfetta per i tratti ricchi di curve, molto meno quando c'è da macinare tratti lunghi e dritti per via di una protezione aerodinamica praticamente assente e una sella non delle più comode (come scopriremo col passare dei chilometri).
Il borghetto, che svetta dai suoi vertiginosi 109 metri sul Parco Naturale del Mincio, è una piacevole sorpresa: poco conosciuto e abbastanza snobbato dai flussi turistici, si trova in provincia di Mantova sulle colline moreniche del Garda, tutto racchiuso tra le sue mura del Mille, con l’imponente torre quadrata a sorvegliarne la porta d’ingresso in un’atmosfera di pacata tranquillità.

Pochi chilometri e raggiungiamo Valeggio sul Mincio e il suo Ponte Visconteo, costruzione di fine 1300 che nei progetti iniziali avrebbe dovuto essere una diga pensata per deviare le acque del fiume verso Mantova. Il borgo merita la classica sosta foto e se non andate di fretta, anche per godersi l’atmosfera particolarmente rilassata e la beltà dell'opera storica.

La tappa successiva, Montagnana, segna il primo passaggio regionale, dalla Lombardia al Veneto. Siamo già in una meta più classica, parlando di turismo tout court, Bandiera Arancione dal 2003 e parte dell’associazione “I borghi più belli d’Italia”, Montagnana è infatti una delle più famose città medievali murate d’Europa e ci accoglie con il mercato del giovedì che riempie l’enorme Piazza Maggiore, davanti al Duomo.

Passiamo Rovigo e Tresigallo, per poi fermarci di nuovo per una sosta più consistente a Comacchio, nella splendida cornice del delta del Po, entrati ormai nella terza regione della giornata. Il sole è già uno spicchio di arancione che investe il Ponte Pallotta, universalmente conosciuto come Trepponti. Anche questa è una sosta fotografica tendenzialmente veloce, ma la meta di questa prima giornata, Ravenna, è ormai vicina e soprattutto questa luce pazzesca invoglia a indugiare sull’argine del Canale Pallotta con la scusa di un'altra sessione fotografica.

Prima capitale dell’Impero romano d’Occidente, poi del Regno dei Goti e, infine, avamposto occidentale dell’Impero Bizantino, Ravenna ha bisogno di poche presentazioni. Ultima dimora del Sommo Poeta, è uno scrigno che si dischiude al visitatore con i suoi mosaici, gli 8 siti patrimonio Unesco, i tanti musei e la notevole varietà di paesaggi (è il secondo comune più grande d’Italia per estensione).

Parcheggiamo le moto in Piazza Kennedy, a pochi passi dalla suggestiva “Zona del Silenzio”, quel centro storico che accoglie la Tomba di Dante Alighieri, il Quadrarco di Braccioforte e la Basilica di San Francesco. E i primi 282 km sono andati.

Con partenza alle otto di mattina in direzione sud arriviamo a Cesena, dove la luce del mattino è una lama che taglia in due Piazza del Popolo e fa scintillare l’acqua della Fontana Masini come fosse di mercurio. Appena sopra di noi si alza il colle Garampo, sul quale è abbarbicata la Rocca Malatestiana che continua a vegliare solenne il Parco della Rimembranza.

Il percorso di questo secondo giorno si preannuncia come il più bello dell’intera traversata. Ci avviamo verso San Marino per entrare nelle Marche e affacciarci finalmente ai primi Appennini. Certo, la strada è tutt’altro che perfetta, ma guardare i paesaggi dall'alto e iniziare a godersi la guida svelta della piccola naked svedese, ci fa dimenticare per un po’ che siamo qui anche per scattare delle immagini.

Continuiamo in direzione Sassocorvaro, proprio sopra al lago di Mercatale: da lì a Urbino sono pochi chilometri, ma con un fondo terrificante che ti costringe ad andare davvero piano. Urbino è difficile da raccontare senza cadere nel banale. Uno dei centri più importanti di tutto il rinascimento, fu plasmata da quello stesso Federico da Montefeltro al quale dobbiamo Sassocorvaro (dal quale proveniamo), Tavoleto, Lunano, ma anche Urbania, Sant’Angelo in Vado e molti altri borghi fortificati le cui rocche sono arrivate fino a noi, formando una costellazione di identità storiche che punteggia tutto il territorio.

Politico, mecenate, protagonista di quel cantiere di cultura e civiltà umanistica che è stata Urbino nel XV secolo, il Duca è riuscito in un’impresa rara: ha legato indissolubilmente il proprio nome a una città, cancellandone la storia precedente e rendendo obiettivamente difficile qualsiasi successivo intervento in chiave urbanistica. Ma soprattutto ha creato un luogo arroccato per sempre a quella grandezza quattrocentesca, una capitale dell’arte in grado di competere con città del calibro di Venezia, Firenze o Roma. Ci godiamo a pieno questa passeggiata dall’alto, dalle mura verso la Cattedrale di Santa Maria Assunta, con piccoli stormi di uccelli che volano tra i coppi rossi dei tetti.

Una vera sorpresa, invece, almeno per noi, è Jesi. L’avevamo sentita descrivere come la Milano delle Marche, sapevamo della sua forte propensione industriale e manifatturiera, me la immaginavamo insomma come una cittadina moderna e un po’ caotica con un bel centro storico. E in effetti è così, solo che il centro storico è, di fatto, gran parte della città e ha la perfezione certosina di un set cinematografico. Stuccante, da quanto bello, come quei dolci dolcissimi, o quelle paste che traboccano salsa.

Non salgo a Loreto, mi accontento di godermi dalla piana sottostante gli ultimi stracci di luce gettati sulla splendida Basilica della Santa Casa, incendiata di arancione e viola, con pennellate di indaco sulla linea perfetta del mare, appena dietro. Raro esempio di basilica-fortezza, la Santa Casa è sorta con la collaborazione di artisti tra cui il Bramante e il Vanvitelli, e custodisce nientemeno che le mura della Casa di Maria di Nazareth che, secondo la tradizione cristiana, venne prodigiosamente trasportata in volo dagli angeli fino a Loreto.

In realtà gli angeli cambiarono idea varie volte e, prima dell’ubicazione attuale - ovviamente la migliore possibile - questa benedetta casetta fu posata a Fiume (allora Tersatto), poi ad Ancona, poi vicino Porto Recanati, Banderuola, dove ancora oggi sorge una chiesetta lì dove una volta c’era il boschetto di una nobildonna di nome Loreta (adoro la toponomastica), quindi sul terreno dei conti Simone e Stefano Rinaldi di Antici - che però si rivelarono due farabutti - e, infine, al centro della strada che da Recanati conduceva al porto, sulla cima del monte Prodo. Insomma, la casetta santa ci ha messo un po’, ma finalmente, il 10 dicembre 1294, è giunta alla sua destinazione angelica. La costruzione della basilica sarebbe iniziata quasi 200 anni dopo, nel 1468.

Recanati segna la fine di questa seconda giornata, ed è la ciliegina sulla torta di un percorso denso di curve, sparpagliate in paesaggi segnati dalle basiliche e dai castelli sorti dopo la disgregazione dell’Impero Romano. La stradina per arrivare alla splendida piazza Giacomo Leopardi è un piccolo luna park di tornanti.

Offida è un’altra tappa legata a doppio filo alla sua storia medievale, con la bellissima Chiesa di Santa Maria della Rocca, all’estremo occidentale del paese: tutta in laterizio, fu eretta in stile romanico-gotico dal Maestro Albertino nel 1300, sovrapponendosi a una piccola chiesa benedettina preesistente.

Questa attraversata dell'Italia va fatta con calma, lasciando l'orologio a casa perché ogni luogo merita di essere assaporato con i giusti tempi, ma anche solo il passaggio a lambire le imponenti mura castellane del XII-XIII secolo vale la tappa. In fondo è ovvio che un viaggio così lungo sia denso di luoghi di interesse, per visitarli tutti occorrerebbe un mese, forse più. Ma noi tutti questi giorni non li abbiamo e la strada che ci porta in Abruzzo - Teramo prima, Atri poco dopo, per depositarci sull’Adriatico all’altezza di Pescara - è un altro gioiellino d’asfalto.

Certo, una volta arrivati sulla costa si gode un po’ meno, soprattutto a causa del traffico. Ma il paesaggio cambia velocemente e dopo la sosta al Castello aragonese di Ortona (costruito nel 1452, lo stesso anno che segnò la partenza di 3 caravelle che sarebbero diventate famose assai), in direzione Vasto, torna a essere segnato da una serie di curve piacevolissime, bagnate dal mare e punteggiate dagli inconfondibili trabocchi che ci accompagnano fino a Termoli.

Prima di raggiungere questa perla molisana, però, onoriamo l’ennesima sosta fotografica proprio a Vasto, approfittando della cornice che offre il Portale di San Pietro, unica porzione rimasta in piedi della chiesa del XIII secolo, gravemente danneggiata da una frana nel 1956.

Termoli è sicuramente il centro più suggestivo di tutto il Molise, con il nucleo antico che sorge sulla sommità di un promontorio a picco sull’Adriatico, lo stesso sul quale si rifugiarono gli abitanti dell’entroterra per fuggire all’invasione dei Goti nel 412 d.C. Tutto il borgo vecchio è una cittadella fortificata, caratterizzata da piazzette e vicoli caratteristici, Vico Il Castello, tra questi, è uno dei più stretti d’Europa.

Dai Longobardi agli Svevi, passando per Carolingi e Normanni, Termoli fu conquistata varie volte proprio a causa della sua posizione strategica, protetta ulteriormente dalla costruzione della cerchia muraria e dalla fortificazione dell’inconfondibile castello proprio dagli Svevi di Federico II. Lasciamo le moto a Piazza Sant’Antonio e ci godiamo quant’imbrunire che tuffa il borgo in un’atmosfera da presepe, punteggiato dalle luci calde e tenui dei lampioni che si riflettono su un mare immobile.

L’ultimo giorno è quello della traversata dall’Adriatico al Tirreno. La strada è buona, non c’è nessuna vera montagna da attraversare, eppure le curve non mancano. Il tratto peggiore di tutta quest’avventura è quello che separa Benevento da Campobasso, quella SS87 Sannitica tutta dritta, 4 corsie, con stazioni di servizio frequenti come gelatai nel deserto del Gobi.

Ci colpiscono particolarmente Civitacampomarano e Sant’Agata de Goti. La prima è un borgo minuscolo, abitato da circa 600 persone. Il monumento principale è il Castello Angioino del 1300, ma ciò che lo rende unico è la forza con cui ha lottato per non scomparire in tempi recenti. Riuscendoci. Tutto è nato dall’intuizione dell’artista Alice Pasquini che prima ha iniziato a decorare i muri decadenti con splendidi murales e poi ha dato vita al festival di arte di strada CVTà Street Fest (www.cvtastreetfest.it), attirando qui tantissimi artisti che hanno reso tutto il borgo una gigantesca installazione permanente, nella quale case abbandonate e abbracciate da rovi e polvere convivono “pittate” – come dice Alice – con vernici e concept postmoderni.

Sant’Agata de Goti, più prosaicamente, offre uno scorcio bellissimo di sé dall’antico ponte romano. Conosciuta come Perla del Sannio per la sua bellezza, prende anche il nome di “gioiello della Valle Caudina” per la valle omonima, dove, nel 321 a.C., la Repubblica Romana subì la terribile sconfitta delle forche Caudine.

A pochi minuti da qui si staglia il secondo ponte di questo viaggio che ha un nome al plurale: quel Ponti della Valle che taglia longitudinalmente tutta la Valle di Maddaloni congiungendo in 592 metri il monte Longano con il monte Garzano.

Napoli è vicina, il tempo di pensarlo e siamo arrivati. Stanchi e soprattutto felici. Novecentotrenta chilometri in quattro giorni si fanno sentire un po' ovunque e per questo il consiglio che vi diamo è di prendervi qualche giorno in più, perché i luoghi e i paesaggi che si incontrano sono davvero stupendi e meritano di essere vissuti.

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