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Termocoperte: come sono fatte e come funzionano

Fino a una trentina di anni fa nemmeno esisteva un nome per definirle e comunque venivano utilizzate solo dai team ufficiali del Motomondiale; oggi le termocoperte sono invece di uso comune. Siamo stati nella azienda leader del settore per scoprirne i segreti, il funzionamento e il corretto utilizzo
1/13 Prima di visitare il reparto produttivo, l'imprenditore milanese Cappelletti ci illustra il funzionamento delle termocoperte
Se siete piloti "da corsa" o semplici amatori e girate in circuito durante i turni liberi, sapete quanto sia importante entrare in pista con le gomme alla giusta temperatura. Sul web si possono acquistare termocoperte di dubbia origine senza spendere troppo. Ma sapevate che un prodotto di bassa qualità può rovinare le gomme - con conseguenze facilmente immaginabili - e addirittura prendere fuoco? Per scoprire come sono fatte e come funzionano le termocoperte, ci siamo dunque recati presso la Capit di Arese (MI), azienda italiana leader nel settore. Partiamo ricordando che la termocoperta è un dispositivo di sicurezza; il suo scopo è quello di portare gli pneumatici alla temperatura ottimale e in tempi corretti (né troppo rapidi, né troppo lunghi), in modo da garantire al pilota di entrare in pista con il giusto livello di aderenza e quindi con la sicurezza necessaria, senza rischiare rovinose scivolate o dolorosi high side nelle prime curve.
È altrettanto importante sottolineare che ogni pneumatico ha una propria temperatura ottimale, alla quale le sue prestazioni e la sua aderenza sull’asfalto sono massime, e che questa deve essere raggiunta tramite cicli termici non esasperati, altrimenti si stressa lo pneumatico rovinandolo e compromettendone la prestazione. Per questo motivo è sempre consigliato montare le termocoperte almeno 60 minuti prima di entrare in pista. Premesso ciò, possiamo analizzare brevemente il principio di funzionamento delle termocoperte. Tutte le termocoperte si basano sull’effetto Joule: fenomeno presente nei circuiti elettrici (e non solo) per cui parte dell’energia elettrica che scorre in un cavo si dissipa sotto forma di calore. In sostanza, se passa corrente elettrica in un cavo, questo si scalda. La quantità di calore “Q” prodotta da una intensità di corrente “i” che scorre attraverso un conduttore con resistenza “R” in un determinato intervallo di tempo “t” è equivalente alla resistenza del conduttore stesso moltiplicata per il quadrato dell’intensità di corrente moltiplicata a sua volta per l’intervallo di tempo:

Q = R · i² · t

Grazie a questo principio fisico ed alla formula appena citata, è possibile stabilire il calore trasmesso per effetto Joule quando si collega la termocoperta alla corrente elettrica. Una volta determinato come fornire il calore necessario a portare in temperatura lo pneumatico, un aspetto altrettanto fondamentale risiede nel riuscire a trattenere il calore generato all’interno della termocoperta, limitando il più possibile dissipazioni verso l’esterno.

Teflon batte silicone

Per far ciò, Capit ha sviluppato e adottato una duplice soluzione. In primo luogo è stato svolto uno studio molto accurato su diverse tipologie di materiale coibentante da inserire all’interno di ciascuna termocoperta. Grazie all’utilizzo di ovatta ad alto contenuto di aria si ottiene lo stesso effetto delle moderne giacche con interno in piumino: altissima capacità di trattenere il calore, affiancata da una estrema leggerezza. Dopo di ciò, è stato introdotto un foglio di alluminio con un duplice scopo: da una parte svolge la funzione delle coperte termiche in dotazione alle squadre di soccorso (quelle dorate che si vedono nei film) trattenendo il calore; dall’altra, scaldandosi, diventa elemento radiante aumentando così l’uniformità della temperatura su tutta la superficie dello pneumatico. Per completare il quadro generale di come è costruita una termocoperta, è d’obbligo spendere qualche parola sul cavo scaldante. Questo elemento è disposto a serpentina all’interno della termocoperta e rappresenta il primo indicatore di qualità dell’intero prodotto: più metri di cavo scaldante vengono inseriti e maggiore sarà il numero di “avvolgimenti”, quindi verrà sempre meno la necessità di avere un cavo con diametro importante e notevole massa per poter introdurre la quantità di calore necessaria. Infine, grazie all’elevato numero di avvolgimenti, la distribuzione della temperatura sarà molto più omogenea (vedi confronto nelle immagini a lato). Nella maggior parte dei casi, il cavo scaldante – che si presenta come un semplice filo elettrico – ha un’anima in rame e un rivestimento in silicone, materiale flessibile e resistente. Dopo una lunga serie di cicli termici (una termocoperta si riscalda e si raffredda con variazioni anche di 100 °C) il silicone tende però a seccarsi e, col passare del tempo, possono generarsi delle crepe o addirittura delle rotture nel rivestimento del cavo stesso che, una volta scoperto, può entrare in contatto diretto col tessuto della termocoperta che può bruciacchiarsi o addirittura, a lungo andare, incendiarsi. In Capit si è dunque deciso di puntare sul Teflon che, pur più costoso del silicone, ha una superiore resistenza e mantiene inalterate nel tempo flessibilità e integrità, anche dopo essere stato sottoposto a molti cicli termici.
Ad ogni modo, per evitare incidenti, che possono provocare l’incendio dell’intera motocicletta, esistono precise normative che impongono l’utilizzo di tessuti ignifughi per la realizzazione delle termocoperte: materiali capaci di resistere alle elevate temperature del cavo scaldante e anche oltre. Per questo i prodotti Capit sono realizzati parzialmente (modelli base) o interamente (top di gamma) in un tessuto meta-aramidico chiamato Nomex. Questo materiale, inventato dall’azienda DuPont e presente sul mercato sin dalla fine degli anni 60 (si pensi che lo scudo termico della gloriosa Lancia Stratos Gruppo 4 era realizzato con un tessuto simile), è largamente collaudato. L’azienda milanese però ha sviluppato un tessuto metaaramidico ad hoc, con una formula brevettata e coperta da segreto industriale. Quello che possiamo dire è che resiste fino a 400 °C. Durante la nostra visita all’impianto produttivo abbiamo provato anche a sottoporlo al contatto con una fiamma viva d’accendino (tra 800 e 1.000 °C): il tessuto inizia a fumare, ma non prende fuoco!

Prodotti... alla spina

Parliamo ora di come si regola la temperatura. Capit ha in catalogo tre categorie di termocoperte: senza termostato (o “a spina”), con centralina integrata, oppure con centralina esterna. La linea “a spina” nasce da una domanda molto semplice: serve davvero un termostato? La risposta è no, poiché la termocoperta deve portare lo pneumatico ad una determinata temperatura e mantenerla costante. Grazie alle semplici equazioni termodinamiche citate all’inizio di questo articolo, si può dedurre che una volta fissata la potenza che entra nel circuito elettrico e conoscendo la resistenza e la lunghezza del cavo, si può determinare la dissipazione termica dello stesso e quindi determinare con esattezza la temperatura che la termocoperta può raggiungere. Su questa base tecnica si fonda la tecnologia TNT (Termocoperta No Termostato) di Capit, grazie alla quale è possibile eliminare uno dei componenti più delicati della termocoperta. Il termostato infatti non è altro che un interruttore bimetallico (una linguetta composta da due metalli incollati fra loro, i quali sottoposti a stress termici si dilatano in maniera differente causando l’apertura del circuito elettrico). Questo tipo di termostato è molto delicato: semplici urti o schiacciamenti possono comprometterne il corretto funzionamento. In caso di guasto, la mancata apertura del circuito porta ad una continua alimentazione del cavo e dunque ad un surriscaldamento che può danneggiare la termocoperta irreparabilmente. Allo stesso modo se, a causa di un assemblaggio scadente del termostato nella termocoperta o di una non corretta installazione di quest’ultima sullo pneumatico, il termostato stesso non riuscisse a rilevare la corretta temperatura ci sarebbe il rischio di avere una termocoperta che raggiunge temperature diverse da quelle target (solitamente 90 °C), non scaldando a sufficienza o surriscaldando lo pneumatico.
Grazie alla tecnologia TNT è possibile risolvere un altro problema relativo alle termocoperte: l’isteresi termica. Il cavo percorso da corrente non si scalda istantaneamente, ma richiede un determinato lasso di tempo per entrare in temperatura. Questo intervallo temporale è direttamente proporzionale al diametro del cavo stesso. Significa che un cavo più grosso richiederà più tempo per raggiungere i 90 °C. Questo principio è valido anche durante la fase di raffreddamento, vuol dire che quando il termostato rileva 90°C il circuito si apre interrompendo il flusso di corrente, ma il cavo continua a scaldarsi per alcuni minuti superando anche di 10 °C la temperatura obiettivo. L’inerzia termica del cavo scaldante provoca dunque una oscillazione di circa ±8 °C rispetto al valore target quindi non è quasi mai assicurata la corretta temperatura. All’interno di termocoperte di bassa qualità si trovano cavi scaldanti con grandi diametri, di lunghezza limitata e con termostati imprecisi: questo porta gli pneumatici a subire stress termici non necessari e addirittura dannosi, oltre a non garantire l’ingresso in pista a temperatura ottimale. Eliminando il termostato ed alimentando in modo continuo la termocoperta, CAPIT garantisce un ottimo riscaldamento ed un perfetto controllo della temperatura, senza oscillazioni. Proprio l’eliminazione del termostato, e l’accurato calcolo della potenza necessaria a portare lo pneumatico a 90°C, garantiscono estrema precisione e rimozione della maggior parte dei problemi che affliggono le comuni soluzioni a termostato. Questa tecnologia ha anche un risvolto positivo dal punto di vista dei consumi in quanto permette di abbatterli quasi del 50%, passando dai 500W delle termocoperte tradizionali a circa 270W.
La seconda categoria di termocoperte riguarda soluzioni semi-professionali, applicate principalmente su pneumatici più performanti che hanno bisogno di raggiungere temperature più basse o più elevate - rispetto alla termocoperta TNT - in base alla mescola (si pensi che i moderni pneumatici slick richiedono temperature di 100°C mentre le gomme rain richiedono circa 60°C). Data la necessità di regolazione della temperatura è d’obbligo la presenza di una centralina di controllo. Anche in questo caso Capit è andata oltre la comune soluzione del termostato ed ha sviluppato e adottato un vero e proprio controllore regolabile con logica PID (Proporzionale Integrativo Derivativo) in grado di garantire un’oscillazione di solo ±1 °C rispetto alla temperatura prevista. Il range di temperatura a cui possono essere impostate va da 20 a 120 °C; questo però richiede il ritorno a potenze dell’ordine di 500W. L’ultima categoria di termocoperte è dedicata ai professionisti del settore, cioè ai team che corrono nei vari campionati nazionali e internazionali. In questo caso non è il pilota, ma sono i tecnici ad utilizzare la termocoperta. La differenza principale tra questa categoria e quella con centralina integrata è che l’elettronica non è installata sulla termocoperta: la centralina è esterna ed è in grado di gestire simultaneamente più treni di pneumatici. Questa soluzione ovviamente gode di un’elettronica ancora più avanzata ed è equipaggiata con termostati più accurati in grado di ridurre ulteriormente l’errore di misura del 10%. Fiore all’occhiello della tecnologia Capit è la temocoperta Full Zone, quella che vediamo nei box e sulla pit lane del Motomondiale. È chiamata così perché, oltre a elevare la temperatura dello penumatico, è progettata per scaldare anche il cerchio. In questo modo viene garantito il mantenimento della temperatura ottimale per un intervallo di tempo più elevato. Il cerchio preriscaldato infatti, durante le prime curve funge da vero e proprio "calorifero" migliorando il mantenimento della temperatura di esercizio e massimizzando di conseguenza il grip.
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