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Tecnica moto: filosofie, mode, alternative. Belle idee, ma spesso isolate

Distribuzione desmo, cambio DCT, tre ruote, compressore volumetrico ecc. Ogni tanto, qualche Casa propone qualcosa di nuovo che magari funziona pure bene, ma che nn prende piede; col risultato che le moto sono fatte, più o meno, tutte nello stesso modo. Vediamo qualche esempio

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Pecco Bagnaia ha vinto il Mondiale 2022 della MotoGP usando una moto dotata di distribuzione desmodromica. Dici Ducati e dici Desmo... Multistrada V4 esclusa.

Anni di evoluzione di questo e quello portano a un'uniformità tecnica che rende le moto, di base, molto simili. Questo perché, dai e dai, si arriva alla ricetta ideale, quella che permette di ottenere i migliori benefici tra produzione e costi. Eppure, come giusto che sia, c'è chi propone cose diverse, talvolta rivoluzionarie, che funzionano bene. Questo argomento m’è venuto in mente mentre guidavo qualche giorno fa: ovvero, quando una Casa sposa un certo genere di tecnologia, che però non viene ripresa dalle altre e quindi non prende piede. Magari non l’ha neppure inventata lei, però è l’unica a crederci. Vediamo qualche esempio.

DISTRIBUZIONE DESMODROMICA

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Una delle prime Ducati Desmo, la 350 Mark III D monocilindrica del 1967.

Non l’ha inventata Ducati: è un brevetto del 1893, usato in campo motociclistico da Triumph già nel 1922. Si tratta di un sistema di comando delle valvole in cui il richiamo non avviene con le molle, ma con un ingranaggio. Costoso e complicato, sia a livello di realizzazione sia di manutenzione, il desmo permette(va) di raggiungere regimi più elevati con minori rischi per il motore. Fatto sta che Ducati è l’unica Casa motociclistica a utilizzarlo da una valanga di anni a questa parte. Le altre Case, giapponesi in testa, non lo usano perché ormai la tecnologia delle molle è diventata affidabile ed efficiente; e poi ci sono le valvole pneumatiche. In pratica, anche se il sistema desmo equipaggia la migliore delle MotoGP attuali, di fatto non interessa alla concorrenza. Ed è indicativo il fatto che la Ducati Multistrada V4 lo abbia abbandonato a favore della classica molla, nell’ottica di dilatare gli intervalli di manutenzione.

CAMBIO AUTOMATICO DCT

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Marzo 2013, Grecia. Angelo Barbiero fa la sua conoscenza con il sistema DCT, in fuoristrada, sulla Honda VFR1200 Crosstourer e ne resta sbalordito: "Posso fare traversi infiniti su questa spiaggia, apro il gas e lei infila una marcia dopo l'altra senza smettere di derapare!".

Nelle auto è la prassi, nelle moto ci crede solo Honda. Il prodotto è validissimo, tanta gente lo apprezza e vuole moto solo con quel sistema. Se lo conosci e lo apprezzi, diventa un motivo per scegliere Honda tutta la vita. Ma c’è una cosa che non capisco. Io sono nato negli anni Sessanta e, fino a pochi anni fa, sentivo tutti quanti dire che il cambio automatico è una cosa da americani, che non ti fa “sentire la musica” della progressione del motore, che a cambiare devi essere tu e quando vuoi tu. Però, da un po’ di tempo a questa parte, tantissimi automobilisti si sono convertiti all’automatico, dicendo che è più comodo, soprattutto in città. Parecchi tra questi “traditori” sono però scettici verso il DCT, adducendo le stesse motivazioni che usavano per criticare l’automatico sulle automobili. Io funziono al contrario: ho guidato a lungo auto di varie marche e moto Honda dotate di DCT e sono giunto a conclusioni opposte. In auto continuo ad acquistare mezzi con il cambio manuale, perché mi diverte di più. In moto, invece, dai e dai, alla fine ho iniziato a capire il doppia frizione e persino ad apprezzarlo, specie se impostato su SPORT e se usato sui percorsi di montagna affrontati ad andatura allegra. Questo perché non è vero che fa tutto lei, perché lo puoi influenzare in base a come usi il comando del gas; e se lo usi bene ti fa danzare tra le curve sempre al regime ottimale, facendoti sentire bravissimo. Però sono passati dieci anni e nessun’altra Casa motociclistica ha mai realizzato un cambio analogo, mentre Honda nel frattempo lo ha evoluto e montato su diversi modelli a due, quattro e sei cilindri.

TRE RUOTE

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Yamaha Niken: per ora, nessun altro costruttore ha osato realizzare una moto a tre ruote.

La moto da sempre ha due ruote, ma c’è chi ha inventato un sistema che ne prevede due davanti e una dietro, con degli snodi che permettono di piegare in curva. Il feeling è simile a quello di un mezzo a due ruote. In teoria dovremmo avere una maggiore sicurezza in assoluto, specie sui fondi bagnati. In pratica, queste tre ruote dall’avantreno articolato permettono di andare più forte quando piove, a patto che il retrotreno non perda aderenza perché, quando ciò succede, non ci sono preavvisi e la scodata fino al fondo corsa dello sterzo può provocare violenti ribaltamenti. In pratica la distribuzione dei pesi cambia, si sposta davanti e il retrotreno è più leggero. Per cui questi mezzi, se usati senza esagerare e con il controllo di trazione, sono effettivamente più sicuri. Dopo una serie di prototipi di varie Case, Piaggio ha presentato l’MP3 nel 2006, seguita da Peugeot, Quadro e Yamaha. Ma stiamo sempre parlando di scooter. L’unica Casa che ha avuto il coraggio di fare una moto in questo modo è Yamaha, con la Niken. Un progetto grandioso, fatto benissimo, con un motore coinvolgente. In pratica è una rivale interna della Tracer 9, con la stessa vocazione (turismo sportivo), ma una dinamica diversa. Esteticamente strana, richiede assuefazione e, come per il DCT di Honda, c’è chi l’apprezza e chi no. La moto è stata presentata sei anni fa e non ha tuttora una sola concorrente, né interna né esterna. Francamente, ci aspettavamo che arrivassero delle sorelle, con motori più grandi e più piccoli.

COMPRESSORE

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La Kawasaki H2 R non è omologata per girare su strada. E meno male, visto che ha 310 CV: è la moto con cui Kenan Sofuoglu ha superato i 400 km/h sul ponte Canakkale 1915, in Turchia. La versione stradale ha la stessa cilindrata della Ninja 1000, ha il compressore ma in pista non è più veloce di quella.

Già negli anni Trenta si sono viste motociclette equipaggiate con compressori volumetrici realizzate da Gilera, BMW e Galbusera (che produceva una V8 a 2 tempi da 500 cc, con detto compressore!). Nei primissimi anni Ottanta è arrivata la febbre del turbocompressore. Mentre prendeva sempre più piede sulle auto, a livello due ruote è arrivato alla produzione di serie sulle quattro sorelle giapponesi, iniziando da Honda, con la CX500 Turbo dalla carena color bianco porcellana (ne ho vista una in vetrina pochi mesi fa a Milano e m'è venuto un coccolone). A livello prototipi c’erano i boxer da 800 e 980 cc di BMW e il V2 di Moto Morini da circa 500 cc. In Morini realizzarono anche un volumetrico per la 125H. Il fenomeno s’è sgonfiato quasi di colpo, perché l’erogazione era troppo brutale, ma Kawasaki nel 2014, praticamente a sorpresa, ha presentato un motore dotato di compressore centrifugo. Le perplessità su tale sistema sono dovute al fatto che sulle moto si può arrivare a potenze specifiche elevatissime, anche troppo, senza dover ricorrere a un compressore, che costa soldi, complica la moto e l’appesantisce. Per dire: la versione da pista H2R, notate bene, non da gara, ma per chi volesse divertirsi a girare in pista, passa i 300 CV, potenza folle da usare su strada, per cui il modello con targa e fanali di cavalli ne ha 200, come qualsiasi altra ipersportiva della stessa cilindrata tipo BMW, Ducati, Aprilia e la stessa Kawasaki ZX-R Ninja, tutte prive di compressore. Tuttavia, tale motore è un biglietto da visita prestigioso per Kawasaki. E fa pensare il fatto che stiano girando voci su una futura Honda Africa Twin 1100 dotata di compressore volumetrico.

ALTERNATIVE ALLA FORCELLA TELESCOPICA

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Quando abbiamo parlato delle Kawasaki H2 con compressore centrifugo non abbiamo citato questa: l'estrema evoluzione delle Bimota Tesi, equipaggiata col motore H2 in versione da 230 CV. Prezzo salato, oltre 64.000 euro.

Quasi tutte le motociclette hanno, all’avantreno, un sistema ammortizzante basato su una forcella telescopica: è il più semplice e meno costoso, ma presenta lo svantaggio che, frenando a inizio curva, l’affondamento dell’avantreno comporta una riduzione dei valori geometrici ottimali. La maggior parte di utenti e ingegneri se ne fotte e vive felice, ma c’è chi ha progettato sistemi di sterzo anteriori che, all’affondare della molla, mantengono inalterata la geometria. Sono gli sterzi indiretti delle vecchie Elf da Gran Premio e delle attuali Bimota Tesi, così come i Telelever di BMW. Non hanno preso piede perché oltre ai pregi presentano anche dei difetti, per cui la maggior parte dei progettisti ha ritenuto meno complicato andare avanti con la vecchia, sana forcella.

DOPPIA ALIMENTAZIONE

Era una diavoleria che Pinasco realizzava per la Vespa ET3 Primavera. Due carburatori al posto di uno e persino il raffreddamento ad acqua. Non c’era spazio nel guscio, per cui veniva messo tutto all’esterno. Il look dello scooter ne veniva fuori stravolto e pure le prestazioni, visto che la potenza passava da 7 a 16,5 CV: più del doppio. Ovviamente questo sistema non ha preso piede perché era mostruoso, ma l’ho messo perché volevo chiudere questo pezzo in qualche modo: devo fare lo Speciale Appennini.

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