La Galfer ha presentato la nuova pastiglia racing G1310, nata sui campi di gara iridati e oggi disponibile per il pubblico. Si tratta di un prodotto dall’elevato standard qualitativo in grado di soddisfare le esigenze e le sollecitazioni che si raggiungono in gara, ma allo stesso tempo è anche adatto a equipaggiare le attuali moto sportive, dalle carenate alle naked più aggressive.
In più l’attuale tecnologia ha permesso di rendere la G1310 molto versatile, tanto che può essere usata anche tutti i giorni su strada: per offrire il giusto mordente non deve infatti raggiungere particolari temperature di esercizio, come in genere richiedono le pastiglie racing.
Sono pastiglie sinterizzate, dalle prestazioni stabili all’aumentare della temperatura, offrono una risposta potente insieme a un attacco dolce e a una azione decisamente modulabile; inoltre non sono troppo aggressive con i dischi, garantendo così una lunga durata.
La presentazione della G1310 è avvenuta in Spagna, nello stabilimento Galfer di Granollers, Barcellona, e l’evento ci ha dato l’occasione di visitare l’impianto e approfondire il tema anche dei freni a disco. Ma partiamo dall’inizio…
Prima i giapponesi
La prima moto di serie a montare un freno a disco è stata la Honda CB750 Four, nel 1969. Il vantaggio principale rispetto al tamburo è dovuto al sistema di funzionamento completamente esterno, che riduce sensibilmente il problema del surriscaldamento e la conseguente perdita di prestazione dei freni a tamburo, dove, al contrario, il ferodo è completamente chiuso, raffreddato da una presa d’aria che per ragioni di spazio non può essere particolarmente ampia.
Il problema del surriscaldamento con il disco è ridotto, ma come vedremo non del tutto annullato. Da allora, dal primo disco in ghisa fisso e pinza a un pistoncino c’è stata un’evoluzione incredibile, si è arrivati agli attuali dischi d’acciaio flottanti, perforati, wave, morsi da pinze monoblocco con quattro pistoncini contrapposti.
Nel corso degli anni sono state sperimentate tantissime soluzioni, impiegati e sviluppati moltissimi materiali, fino ad arrivare allo stato dell’arte ora descritto, il più efficace sulle moto di serie. È utilizzato anche nelle competizioni, sebbene nella MotoGP il massimo si raggiunge con i freni in carbonio, dal maggior mordente, minor peso, a favore della limitazione dell’inerzia e delle masse non sospese; il difetto del carbonio, grave per la produzione di serie, è che la frenata non è efficace finché non si raggiunge la corretta temperatura di esercizio.
Inizialmente si è quindi partiti con dischi in ghisa in un sol pezzo con la campana di fissaggio al mozzo della ruota, ormai da anni sostituiti con quelli d’acciaio inossidabile, che grazie alle superiori caratteristiche meccaniche consente di adottare spessori notevolmente minori, con una notevole diminuzione del peso. Un altro vantaggio dei dischi d’acciaio è che resistono alle maggiori sollecitazioni espresse dalle pastiglie sinterizzate, mentre i dischi di ghisa sono a rischio di rottura.
Andando avanti nella tecnica si è separata la pista frenante dalla flangia di fissaggio alla ruota, e questo riduce le tensioni a caldo, che sono la causa delle deformazioni del disco: con questo sistema la fascia è libera di dilatarsi e non trasmette calore alla campana. Il collegamento tra il disco e la flangia di supporto è di norma di tipo flottante, cioè il disco ha la possibilità di muoversi leggermente, e questo permette alla fascia frenante di posizionarsi automaticamente nel miglior modo possibile tra le pastiglie della pinza.