Statistiche web

I segreti di freni e pastiglie Galfer

Abbiamo visitato la spagnola Galfer, che da 70 anni si occupa di materiali per impianti frenanti: un’occasione preziosa per scoprire le ultime tecnologie al riguardo, in particolare la formulazione delle mescole per le pastiglie

1/5

Galfer, impianti frenanti a disco: pastiglie sinterizzate od organiche

1 di 3

La Galfer ha presentato la nuova pastiglia racing G1310, nata sui campi di gara iridati e oggi disponibile per il pubblico. Si tratta di un prodotto dall’elevato standard qualitativo in grado di soddisfare le esigenze e le sollecitazioni che si raggiungono in gara, ma allo stesso tempo è anche adatto a equipaggiare le attuali moto sportive, dalle carenate alle naked più aggressive.

In più l’attuale tecnologia ha permesso di rendere la G1310 molto versatile, tanto che può essere usata anche tutti i giorni su strada: per offrire il giusto mordente non deve infatti raggiungere particolari temperature di esercizio, come in genere richiedono le pastiglie racing.

Sono pastiglie sinterizzate, dalle prestazioni stabili all’aumentare della temperatura, offrono una risposta potente insieme a un attacco dolce e a una azione decisamente modulabile; inoltre non sono troppo aggressive con i dischi, garantendo così una lunga durata.

La presentazione della G1310 è avvenuta in Spagna, nello stabilimento Galfer di Granollers, Barcellona, e l’evento ci ha dato l’occasione di visitare l’impianto e approfondire il tema anche dei freni a disco. Ma partiamo dall’inizio…

Prima i giapponesi

La prima moto di serie a montare un freno a disco è stata la Honda CB750 Four, nel 1969. Il vantaggio principale rispetto al tamburo è dovuto al sistema di funzionamento completamente esterno, che riduce sensibilmente il problema del surriscaldamento e la conseguente perdita di prestazione dei freni a tamburo, dove, al contrario, il ferodo è completamente chiuso, raffreddato da una presa d’aria che per ragioni di spazio non può essere particolarmente ampia.

Il problema del surriscaldamento con il disco è ridotto, ma come vedremo non del tutto annullato. Da allora, dal primo disco in ghisa fisso e pinza a un pistoncino c’è stata un’evoluzione incredibile, si è arrivati agli attuali dischi d’acciaio flottanti, perforati, wave, morsi da pinze monoblocco con quattro pistoncini contrapposti.

Nel corso degli anni sono state sperimentate tantissime soluzioni, impiegati e sviluppati moltissimi materiali, fino ad arrivare allo stato dell’arte ora descritto, il più efficace sulle moto di serie. È utilizzato anche nelle competizioni, sebbene nella MotoGP il massimo si raggiunge con i freni in carbonio, dal maggior mordente, minor peso, a favore della limitazione dell’inerzia e delle masse non sospese; il difetto del carbonio, grave per la produzione di serie, è che la frenata non è efficace finché non si raggiunge la corretta temperatura di esercizio.

Inizialmente si è quindi partiti con dischi in ghisa in un sol pezzo con la campana di fissaggio al mozzo della ruota, ormai da anni sostituiti con quelli d’acciaio inossidabile, che grazie alle superiori caratteristiche meccaniche consente di adottare spessori notevolmente minori, con una notevole diminuzione del peso. Un altro vantaggio dei dischi d’acciaio è che resistono alle maggiori sollecitazioni espresse dalle pastiglie sinterizzate, mentre i dischi di ghisa sono a rischio di rottura.

Andando avanti nella tecnica si è separata la pista frenante dalla flangia di fissaggio alla ruota, e questo riduce le tensioni a caldo, che sono la causa delle deformazioni del disco: con questo sistema la fascia è libera di dilatarsi e non trasmette calore alla campana. Il collegamento tra il disco e la flangia di supporto è di norma di tipo flottante, cioè il disco ha la possibilità di muoversi leggermente, e questo permette alla fascia frenante di posizionarsi automaticamente nel miglior modo possibile tra le pastiglie della pinza.

Oggi i materiali sia delle pastiglie sia dei dischi sono più evoluti e questo ha permesso di ottenere alti coefficienti d’attrito con piste più strette. Di conseguenza i dischi sono meno sensibili alle variazioni di temperatura e sono più leggeri: si riducono così l’inerzia e le masse non sospese, a vantaggio della guida.

Le piste sono esattamente larghe come la pastiglia, non solo per la leggerezza ma anche per evitare che ci siano zone che si scaldano più di altre generando delle tensioni che possono distorcere il disco.

Il disco in ghisa ha ancora oggi una buona prestazione, il problema è che è incompatibile con lo stress dovuto all’azione della pastiglia sinterizzata, che danneggia il disco fino a romperlo, ed è per questo che tutti i produttori sono passati ai dischi d’acciaio inox.

Ci sono centinaia di tipologie di acciaio inox, con formulazioni molto diverse, si tratta di leghe al cromo su base ferrosa e con tenore di carbonio relativamente elevato, contenenti piccole quantità di altri elementi. Galfer utilizza un acciaio inox AISI 410-420 a seconda dell’applicazione.

Un impianto frenante a disco non ha particolari problemi. L’unico, come anticipato, può essere l’eccessivo riscaldamento: indicativamente nella massima sollecitazione il disco di una sportiva stradale può raggiungere i 450 °C. Si può pensare che una pastiglia dall’alto coefficiente di attrito generi più calore (più attrito = più calore), ma è il contrario: a parità di condizioni per fermare una moto in corsa una pastiglia dal basso coefficiente di attrito richiede una pressione molto alta sul disco, generando quindi più calore.

Il rodaggio

Il rodaggio è molto importante quando si cambia solo la pastiglia, poiché il disco ha già una sua impronta e la pastiglia deve avere il tempo di adattarsi ad essa; ci sono alcuni casi in cui prima dell’adattamento la pastiglia lavora con una percentuale di contatto molto bassa, esempio del 30-40%, quindi la frenata è davvero limitata, ed è per questo che il rodaggio è più importante.

Quando, invece, sono nuovi sia il disco sia la pastiglia, entrambi hanno la superficie piatta e il lavoro di adattamento è molto minore. La procedura in questo caso sarà più breve ma non cambia la modalità: si devono fare frenate brevi, di intensità ridotta, per poi incrementare la pressione col tempo e quindi dare qualche pinzata più decisa ma sempre breve. La cosa da evitare è il lungo pattinamento che surriscalda l’impianto, effetto che si verifica anche senza applicare una forte potenza frenante.

Il rodaggio di una pastiglia sinterizzata è più facile, mentre quello di un’organica è più lungo. Questo perché l’organica ha molta resina nella mescola, e le si deve dare il tempo di assestarsi in modo progressivo. Se si surriscalda una pastiglia organica la resina esce troppo rapidamente, va sulla superficie di contatto del disco, si “cuoce”, e quando si raffredda vetrifica. A quel punto non offre più attrito, e la potenza frenante decresce in modo esponenziale. Se questo accade si possono fare due cose: smontare le pastiglie e rettificarle, per togliere lo strato vetrificato; se la vetrificazione è troppo spinta occorre invece cambiarla.

Oggi è consigliata la sinterizzata, senza dubbio su una sportiva. Le organiche si fanno ancora, ma sono destinate alle piccole cilindrate e agli scooter; il vantaggio è una risposta più dolce, e comunque un buon mordente.

Oggi le sinterizzate sono comunque ben sviluppate, hanno un bite, cioè la prima risposta al tocco sulla leva, non aggressivo, un comportamento costante sotto stress, e una notevole potenza, quella che serve per il “one finger brake”, cioè la frenata con un solo dito. Oggi siamo abituati a questo tipo di risposta. La frenata estrema, più potente ed efficace, è quella delle moto da corsa.

In passato, anche piuttosto recente, i piloti chiedevano un bite molto aggressivo, l’idea è quella di ottenere un alto mordente il più presto possibile, in modo da ottimizzare la frenata. In realtà si è visto che un bite più dolce, ovviamente seguito da un alto mordente, assicura le stesse prestazioni, ma in più premette un assestamento più progressivo dell’assetto, a favore della stabilità della moto e del ritmo della guida.

Galfer ha lavorato proprio su questa caratteristica, offrendo ai piloti pastiglie dal bite meno aggressivo. Inizialmente ci sono state delle risposte negative, poiché la sensazione è di una frenata meno potente, ma poi, vedendo che i tempi erano favorevoli, i piloti si sono ben adeguati a questa caratteristica, apprezzandone proprio la modulabilità. La G1013 è nata seguendo questo principio.

La modulabilità

Gli impianti frenanti di oggi sono sovradimensionati, anche sulle medie cilindrate di taglio turistico la dotazione tipica offre un doppio disco di generoso diametro con pinze a quattro pistoncini: la potenza non manca. Ciò che caratterizza una buona frenata è invece la modulabilità: il filo diretto che si vuole tra l’azione sulla leva e la risposta dell’impianto. Si deve assicurare in tutte le fasi della frenata: l’attacco, la fase intermedia, quella della decelerazione più importante, e il rilascio.

Per quanto riguarda la guida in pista abbiamo già parlato del bite; nella fase intermedia la modulabilità serve per ottenere la massima efficacia (abbiamo bene in mente le staccate dei piloti in cui la gomma posteriore veleggia per decine di metri a due dita dal suolo), e in rilascio deve permettere di dosare nel modo più preciso la decelerazione sfruttando al limite l’appoggio offerto dalla gomma, che scendendo in piega riduce l’area di appoggio.

Un impianto dalla modulabilità talmente fine da permettere di arrivare al limite in tutte le tre fasi citate è più efficace in termini di tempo sul giro; poi sta al pilota modificare lo stile di guida per arrivare a sfruttare il potenziale offerto. In pista la situazione è estrema, ma la modulabilità è preziosa anche su strada, poiché va a vantaggio della sicurezza e della guida più rilassata, quindi più piacevole.

Su strada non si arriva mai al limite, e anche se per errore si dovesse superare non si deve temere per la sicurezza: oggi abbiamo a disposizione sistemi di ABS eccellenti, sia nell’efficacia, sia nella progressività dell’intervento, che non scompensano l’assetto né allungano gli spazi di frenata (e ci sono pure di tipo cornering), ma la modulabilità dell’impianto è una dote che concorre a determinare il piacere della guida.

© RIPRODUZIONE RISERVATA