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Suzuki GSX-R 750 (1988-1991): i segreti del motore

La Suzuki GSX-R 750 nel 1988 cambia fisionomia, ma non identità. Nuovo motore a corsa corta più potente, ma ancora a raffreddamento misto aria-olio. Scopriamo tutti i dettagli di questo propulsore

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Il motore quattro cilindri in linea frontemarcia della Suzuki GSX-R 750 J del 1988 mantiene la stessa architettura della precedente versione. Teste e cilindri sono in lega leggera, mentre il coperchio della testa è in magnesio per risparmiare peso e favorire la dissipazione del calore. I cilindri hanno 27 piccole alette di raffreddamento e le canne piantate in ghisa. Il basamento, anch’esso in lega leggera, è tagliato secondo un piano orizzontale. Per ridurre l’ingombro trasversale, l’alternatore è spostato dietro al blocco cilindri. Il vecchio motore del 1984 è decisamente superquadro (alesaggio per corsa di 70x48,7 mm per un rapporto di 0,71) e ha una potenza specifica di 122,79 CV/litro misurati all’albero per una velocità lineare del pistone di 17,4 metri al secondo, nonostante un regime di rotazione che arriva a 10.500 giri. Teoricamente, il valore di potenza max che potrebbe raggiungere, ottenuto attraverso calcoli e simulazioni, è di circa 130 CV a quasi 11.000 giri, ma i tecnici della Casa di Hamamatsu decidono inizialmente di limitarlo al tetto dei 100 CV.

La modifica principale riguarda l’imbiellaggio, perché il motore della serie J è un corsa corta, con misure di alesaggio per corsa di 73x 44,7 mm per una cilindrata totale di 749 cc e ha una potenza specifica di 137,73 CV sempre misurati all’albero, con una velocità lineare del pistone di 15,6 metri al secondo e un regime di rotazione che può spingersi fino a 13.000 giri. I pistoni in alluminio sono stampati, più pesanti dei precedenti anche se con un mantello meno esteso, hanno due fasce di tenuta di appena otto decimi di spessore e un raschiaolio. Le bielle con profilo ad H sono state alleggerite, lavorano sia al piede che alla testa su cuscinetti a rulli, hanno il fusto più corto di 3,5 mm rispetto a quelle precedenti e i perni di manovella di maggior diametro. L’albero motore monolitico poggia sempre su sei supporti di banco, ma ha volantini più leggeri per incrementare il regime di rotazione. Uno di questi fa da presa di forza per gli ingranaggi della trasmissione primaria. Il cambio resta a sei marce con la medesima rapportatura interna, mentre la frizione multidisco in bagno d’olio (con otto dischi conduttori e sette dischi condotti) ha ora il comando a cavo anziché idraulico. La testa a quattro valvole per cilindro mantiene la camera di combustione TSCC (acronimo di Twin Swirl Combustion Chamber) a doppia turbolenza, brevettata dall’ingegner Piatti. La TSCC serve per ottimizzare la combustione rispetto ad una camera di scoppio tradizionale, perché al momento dello scoppio il fronte di fiamma si propaga più velocemente e in modo più efficace, consentendo rapporti di compressione elevati.

Nel motore a corsa corta viene rivista nella conformazione perché vengono montate valvole di maggior diametro (aspirazione da 28,5 mm anziché da 26 mm; scarico da 25 mm anziché da 24 mm) mantenendo la candela centrale da 10 mm, l’angolo fra le valvole di 40°, ma con un’alzata maggiore e con bilancieri sdoppiati più robusti, sempre dotati di registri con vite e controdado. Cambia anche l’inclinazione dei condotti di aspirazione (da 18° a 21°). L’impianto di raffreddamento viene potenziato, in virtù dell’incremento delle prestazioni del motore. Il nuovo impianto ha una pompa di mandata e recupero di maggior portata che, associata a nuove tubazioni e passaggi olio nel motore e nella testa, ad un radiatore che migliora del 48% la capacità di dissipazione di quello precedente e al 15% in più di olio circolante, migliora mediamente del 20% la capacità di raffreddamento e l’efficienza dell’impianto, a vantaggio dell’affidabilità del motore.

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