Com'è fatta
Ha frecce, specchietti e gomme stradali. Per il resto è una Superbike
con un motore dall’erogazione lineare e dalla ciclistica svelta, stabile
e precisa.
La Suzuki ha voluto celebrare così il ventennale della saga GSX-R. Una
storia iniziata nel 1985 con la 750 e continuata nel 2001 con il
“progetto
1000”. Il risultato è una race replica da 173
CV, piccola,
compatta (molto più della precedente) e che accoglie il pilota in un nuovo
triangolo “sella-manubrio-pedane”. Ne risulta una posizione di guida
dall’impostazione più raccolta e meno “appoggiata”.
Che dire, poi, di quel silenziatore tronco-conico in titanio
che
fa tanto Moto GP?
Telaio a due travi perimetrali. Motore a 4 cilindri moderatamente inclinati
in avanti. Iniezione con sistema a doppia farfalla e valvola allo scarico.
Tutto come al solito, verrebbe da dire. Eppure, una volta in sella,
si vivranno sensazioni di guida che, nella resa, non sono assimilabili,
a quelle dei modelli precedenti. Vediamo dove hanno lavorato i tecnici
di Hamamatsu per raggiungere questo risultato così efficace.
Il telaio è stato accorciato di 40 mm in lunghezza. Soluzione che ha
avvicinato di 6 mm il cannotto al perno del forcellone (diametro 22 mm,
era 25 mm), la cui posizione è regolabile tramite un kit racing dedicato.
Lateralmente il telaio è stato stretto di 15 mm nella zona di
contatto con le gambe. Si sono unite le parti fuse del cannotto e
dell’attacco
del forcellone con due travi sagomate estruse, calibrando opportunamente
le rigidezze.
Il forcellone è a costruzione ibrida. La parte interna - dall’attacco
al telaio al supporto ruota - è fusa, mentre quella esterna è ricoperta
da una lamiera d’alluminio stampata e saldata alla struttura portante.
Così si riducono i costi e si riesce a meglio calibrare le rigidezze.
La forcella rovesciata Kayaba da 43 mm ha la corsa di 120 mm (come
il modello precedente) e le regolazioni del precarico molla e
dell’idraulica
in compressione e ritorno. Anche l’ammortizzatore Kayaba assicura la
stessa
corsa della ruota del GSX-R precedente, 130 mm, pur a fronte della riduzione
della corsa del mono (da 332 a 325 mm), grazie a nuovi leveraggi progressivi.
Anche qui è stata ritoccata la taratura, mentre il diametro del pistone
interno del mono è sempre di 46 mm. Dove invece sembra si sia raggiunto
il limite è nei cerchi, a tre razze dal disegno molto esile: il loro
contenimento dei pesi va a vantaggio della maneggevolezza (riduzione
dell’effetto giroscopico) e della funzionalità delle sospensioni (aumento
del rapporto masse sospese/non sospese). All’anteriore il risparmio
di peso è di 100 gr, mentre al posteriore si attesta su un più cospicuo
400 gr.
Il motore è cresciuto di cilindrata dai precedenti 987,7 cc agli attuali
998,6 cc, aumentando l’alesaggio (da 73,0 mm a 73,4 mm). Immutato
lo schema del carter.
Sono stati mantenuti i fori di ventilazione da cilindro a cilindro, passati
però da 35 a 39 mm per migliorarne l’efficienza: la loro funzione è di
eliminare sovrapressioni nel carter durante il moto alternato dei pistoni,
evitando “furti” di potenza per pompaggio. Invariato lo schema delle
valvole. Cambia però il materiale: titanio e non più acciaio, risparmiando
5,4 grammi per ciascuna valvola di aspirazione e 6,4 per ognuna di scarico.
La camera di combustione ora è piatta: soluzione che fa crescere il
rapporto di compressione da 12,0 a 12,5:1. I pistoni, nonostante
l’incremento di alesaggio, sono più leggeri di 8 gr ciascuno, grazie alla
riduzione dell’altezza del mantello.
Albero motore e bielle sono state irrobustite, per sopportare l’aumento
del regime di rotazione. Cura dimagrante per il generatore, che migliora
le doti di accelerazione del propulsore, grazie al minor effetto volano.
Il radiatore trapezoidale (era rettangolare) ha una superiore capacità
di smaltimento del calore. L’iniezione elettronica fa sempre
affidamento
sul sistema a doppia valvola a farfalla, con quella primaria, la più
vicina alla testata, comandata dal pilota e la secondaria mossa da un motore
elettrico passo-passo pilotato dalla centralina che gestisce anche la valvola
a farfalla sullo scarico. La novità sta nell’adozione di un secondo
iniettore che entra in funzione agli alti regimi di giri con alti carichi
(cioè aperture del gas) di funzionamento e di venturi maggiorati (da 42
a 44 mm). Entrambi gli iniettori sono dell’ultima generazione
multi-hole
cioè dotati di molti microfori, necessari a realizzare uno spray molto
fine: la miscela polverizzata più finemente è anche più fredda, oltre a
rendere il fronte di fiamma più omogeneo. La frizione ha il comando a cavo
e conta sul dispositivo anti saltellamento: ormai un must per la guida
in pista.
Come va
Il rinnovato 4 cilindri si accende dopo avere inserito la nuova chiave
col codice di riconoscimento.
La voce prodotta dal silenziatore tronco-conico in titanio è molto silenziosa.
Si sente appena un soffio.
Siamo Sul circuito di Eastern Creek. Un paio di giri per scaldare le Bridgestone
BT014 e la Suzuki GSX-R 1000 mostra già gli artigli.
Senza offesa, in terza marcia sembra di guidare uno scooterone: si può
viaggiare con questo rapporto dai 40 km/h (volendo anche meno) ai quasi
250 km/h senza avvertire sussulti.
Già nelle prime tornate stupisce per l’agilità la velocità e la precisione
con cui si inserisce in curva. L’avantreno è svelto ma, come
tradizione
su questa moto, rimane ben solido: si “butta”
letteralmente la moto
in piega fidandosi, a ragione, del grip e delle sensazioni molto dirette
trasmesse dal pneumatico anteriore.
L’incremento più notevole nell’handling si ha nelle
chicane, dove
la GSX-R cambia verso di piega con sforzo ridotto. Eccellente la
forcella
che “sente” le regolazioni (precarico molla, compressione ed
estensione
idrauliche).
Lasciare lunghe virgole nere sull’asfalto non è raro, ma la
derapata
è gestibile in sicurezza grazie all’aiuto dato dall’erogazione dolce
di questo motore.
Il cambio è preciso e dagli innesti corti, solo tra la 3a e la 4a la corsa
della leva appare un po’ più lunga e dall’innesto più duro rispetto
alle
altre marce. In pista il motore si usa dai 6-7.000 giri fino ai 12.500
indicati, regime oltre il quale il motore si impigrisce. L’allungo è
comunque
garantito fino a 14.000 giri.
Bene anche frizione anti saltellamento che consente scalate
“selvagge”.
È così possibile inserire la moto su una linea impeccabile anche dopo una
frenata “assassina”.
La frenata è potente ed esente da fading (la perdita di potenza
frenante accompagnata da allungamento della corsa della leva), e non mette
in crisi il pilota nelle frenate spesso impreviste anche su strada.
L’angolo
di piega è elevato e solo a sinistra, esagerando, si arriva al contatto
del cavalletto con l’asfalto (ma è una soddisfazione...). Nelle curve
in cui è indispensabile lo spostamento del corpo si apprezza l’abitabilità
offerta dalla sella ampia e ben sagomata, anche se la sua notevole lunghezza
non consente di appoggiarsi al codino in accelerazione: ci si aggrappa
quindi al manubrio, perdendo sensibilità nel guidato.
L’ospitalità per il passeggero è quella tipicamente offerta delle
sportive estreme: appena sufficiente per i piccoli spostamenti.