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Motorobica Torcola, special su base Cagiva T4 350 E

Questa scrambler special, nata sulla base di una Cagiva T4 350 E del 1987, coniuga attitudine al fango con dettagli di gran pregio. Amichevole nella guida, ma per nulla fiacca, si adatta alle scampagnate senza tuttavia disdegnare l’offroad più serio

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Valli Bergamasche. Toponimo geografico e nome leggendario dell’enduro internazionale. Ci sono luoghi che fanno venire i brividi – per l’emozione – solo a nominarli, teatri di prove speciali mitiche o trasferimenti sfiancanti: Ghiaione del Borlezza, Magnolini, Torcole. Queste ultime sono delle sommità (Torcola Vaga e Torcola Soliva) in alta Valle Brembana. Salite notoriamente arcigne che da mezzo secolo evocano grandi duelli a due ruote. Ci vuole buon manico, per arrivare in cima. E una moto adeguata. Il fatto che la special di queste pagine porti il nome di Torcola, fa ben sperare sulle sue doti. Scrambler o easy-enduro? Mattina presto, aria decisamente frizzante. L’appuntamento è in un raccolto e antico paesino che, ci scommettiamo, non brulica di vita nemmeno in periodi di non-pandemia. Romeo Milesi, titolare dell’officina Motorobica, arriva con il furgone e scarica due moto: la Dordona (ve la ricordate? L’avevamo provata cinque anni fa, la mostriamo di nuovo a pag. 216) e la Torcola. “L’ho chiamata così – ci spiega subito – perché, se la Dordona era una più tranquilla scrambler adatta a strade sterrate come quella del passo di cui porta il nome, la Torcola è più specialistica, punta alle vette”. Ma oggi, sulle Torcole c’è ancora neve, quindi volgeremo le ruote altrove. Raggiungeremo un passo tra declivi erbosi, da cui ammirare con ampio respiro il profilo delle creste orobiche. Nello zaino abbiamo pane, salame e formaggio di monte per una merenda in quota. Che cosa chiedere di meglio?

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Intanto cominciamo a fare conoscenza con la moto, ammirandola da vicino. La base di partenza è una Cagiva T4 350 E del 1987. Motociclismo la provò quello stesso anno, sul fascicolo di maggio, titolando: “Heavy Metal dell’Enduro”. Addirittura! Con 28 CV rilevati alla ruota e 147 kg a secco, la si potrebbe definire al massimo una “tuttoterreno”: prenderebbe “paga” da qualunque 250 specialistica moderna, capace di almeno 10 CV in più e una quarantina di kg in meno… Eppure tra poco scopriremo che non va affatto male, anzi. La cura Motorobica mira ad esaltare la propensione all’offroad più impegnativo senza togliere un grammo alle buone doti di versatilità del modello di serie. Per raggiungere questo obiettivo, Romeo ha migliorato la ciclistica, sfruttando una moderna forcella Showa di una Honda CRF abbracciata da piastre Husaberg. L’ammortizzatore è invece Cagiva, sempre della T4 350, ma della versione R, completamente regolabile e più performante della 350 E. Le ruote sono sempre Honda, nella misura 21” all’anteriore e 18” al posteriore (l’o- riginale opta per un cerchio da 17”) in modo da poter montare pneumatici tassellati specialistici. Il retrotreno guadagna così anche il freno a disco. Operazione non facile: il forcellone in alluminio è modificato per ospitare la pinza e il mozzo ruota Honda, in modo poi da mantenere l’allineamento della ruota e della catena. Dal punto di vista meccanico, invece, il motore riceve una profonda revisione, ma non è modificato. Persino l’alimentazione rimane affidata al carburatore Bing di serie con diffusore da 32 mm: “Avrei potuto optare per il Dellorto con pompa di ripresa della R oppure un Keihin a valvola piatta – ci confessa Romeo – certamente avrei incrementato le prestazioni, ma avrei perso in fluidità d’erogazione. E poi un carburatore a depressione è più facile da regolare e meno sensibile al cambio di quota: volendo usare la moto in montagna, è fondamentale”. E poi c’è l’alluminio, che sostituisce la plastica del modello dell’87. L’opera è tutta di Romeo, che sceglie lastre di alluminio abbastanza malleabili da poter essere sagomate a piacimento: le taglia, le piega, le unisce e le porta a saldare. La verniciatura, che copre solo in parte la natura metallica dei componenti, richiama i colori della bandiera di Bergamo, rosso e giallo. Nascono così il serbatoio, piacevole mix di linee curve e altre più taglienti, i fianchetti e l’unghia che fa da cornice al faro anteriore.

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Tutto si monta senza attrezzi, utilizzando gli attacchi di serie al telaio e incastri. Poi, sopra tutto, va la sella (anch’essa costruita su misura) che con una vite nella parte posteriore chiude e fissa tutto. Bastano 5 minuti per smontare tutte le sovrastrutture e avere pratico accesso alla meccanica. L’alluminio è utilizzato anche per ricostruire la parte posteriore del telaietto, più stretta e filante, che si raccorda elegantemente alla luce posteriore e a due maniglioni. In tutto questo, non c’è nemmeno un cavo a vista e pure dadi e bulloni sono nascosti, a tutto vantaggio di un’estetica pulita ed elegante, che non ti aspetteresti su una moto da fuoristrada. Per arrivare alla nostra destinazione abbiamo qualche chilometro di asfalto, che si consuma tra stretti tornanti; poi la strada si inoltra nel bosco e diventa sentiero. L’avviamento (elettrico, ma c’è anche il kick starter) è prontissimo e il borbottio che esce dal silenziatore in alluminio aftermarket è piacevole e rassicurante: non tuona come una aggressiva moto racing, ma non è nemmeno così mesto come ci si aspetterebbe da un vecchio treemmezzo 4T. A bordo si apprezza l’eccellente bilanciamento. Muovere i 142 kg con il pieno (la T4 350 E ne pesava 147 a secco) è uno scherzo e il piano di seduta, pur bello alto, ci consente di poggiare fermamente a terra entrambi i piedi. Però è larga, la sella, e così i fianchetti: nella guida in piedi non è snella come una moderna enduro specialistica; ma teniamo presente che il fettucciato non è il suo ambiente. Qui c’è comfort a sufficienza per trasferte su asfalto anche non propriamente brevi. Anche se il serbatoio da soli 8 litri impone soste frequenti, se si ha in programma un viaggio. E l’ergonomia è di pieno controllo. Si parte così e, in breve, risaliamo un versante non troppo ripido, su una ampia carrareccia con fondo scassato che si inoltra nel bosco, con le sospensioni che copiano egregiamente tutto quello che passa sotto le ruote. Durante il breve trasferimento su asfalto, prima di raggiungere il sentiero, abbiamo ravvisato qualche affondamento di troppo della forcella in frenata, ma ora la troviamo perfetta, capace di incassare gradini e sassi, ma solida e precisa nell’impostare la traiettoria. Ben tarato anche l’ammortizzatore, che tiene il posteriore ben saldo a terra, fornendo così sempre ottima trazione. E la maneggevolezza! Il confronto con la Dordona è immediato e restituisce una moto decisamente più reattiva e immediata; in definitiva, più facile.

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Sui tornanti come nelle curve più veloci, la special su base Guzzi aveva una vaga tendenza ad allargare la traiettoria: la Torcola invece chiude rapida e scommettiamo che anche in un fettucciato saprebbe girare stretta attorno ai paletti. Certo, una moderna enduro specialistica è un altro pianeta, in questo senso, ma con lei fai davvero un po’ di tutto senza troppe rinunce. La cosa che più apprezziamo, però è il motore, un vero trattorino capace di arrampicarsi ovunque apparentemente senza sforzo e senza esigerne dal pilota. L’erogazione, infatti, è progressiva e sufficientemente elastica. Ai bassi regimi non strattona, ma se si insiste con una marcia lunga in ripresa, si può rimanere un po’ delusi: c’è poca verve alla prima apertura del gas. Tuttavia è un bene: non mette in imbarazzo nemmeno chi, come il sottoscritto (mi vergogno a dirlo) non è un drago in fuoristrada. Ai medi regimi il motore è piacevolissimo, ha una bella coppia vigorosa, senza eccessi. E quasi senza vibrazioni. Poi arriva la grinta agli alti. Ma a quel punto abbiamo già cambiato marcia, per godere della spinta ai medi. Il cambio è preciso, pur se tende ad irruvidirsi se messo sotto torchio, mentre la frizione stacca bene ed è morbida da azionare. Buoni anche i freni, con l’anteriore ben modulabile e il posteriore potente quanto basta per chiudere le curve più strette e affrontare le discese più ripide senza patemi. Il tamburo originale – ci confessa Romeo – era del tutto inadeguato. È divertente, questa Torcola. E infonde fiducia: ricorda certe moderne easyenduro, ma è più grintosa e decisamente più bella. Arrivati in cima troviamo un tavolo e due panche di legno ad aspettarci, piantate proprio sulla sella tra due vallate. Tutto intorno lo sguardo si perde su un panorama mozzafiato che va dalle cime ancora imbiancate alla pianura inghiottita dalla foschia. Facciamo tacere il motore, per godere del silenzio montano; lasciamo la Torcola inclinata sul solido cavalletto in alluminio e disponiamo pane e salame accanto ad una bottiglia di vino, mentre sibila un vento da nord e il motore ticchetta leggermente, raffreddandosi. Si può chiedere di più?

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