Motociclismo

Motociclismo / febbraio 2022 134 sport DAKAR 2022 La gara è stata vinta da Sunderland e dalla GASGAS, ma non è nei risultati che si legge la grandezza di questo interminabile rally che si fonda sul contrasto tra il piacere e la sofferenza. Una corsa che negli anni si è evoluta e che proviamo a spiegarvi dalle emozioni del nostro pilota in gara DAKAROLOGY di Francesco Catanese Che la Dakar sia dura lo sanno tutti, non c’è bisogno che lo spieghi io cosa significa fare 7/800 km al giorno su una motocicletta per 2 settimane di fila. E questo è ancor più vero oggi che siamo nell’era dei social dove tutto è trasmesso in tempo reale e le emozioni si possono praticamente scaricare dal web. Certi video e certe dirette valgono più di mille parole, ma ad ogni modo è impossibile far capire cosa significhi anche solo alzarsi alle 3 del mattino in una tenda gelata per dover affrontare una lunga tappa di dune. Quindi è necessario fare un’analisi diversa che vada oltre la cronaca della gara; occorre fare luce negli angoli nascosti, raccontando il “sottostante”, cercando le ragioni per le quali questa gara ha smesso di essere semplicemente una gara per trasformarsi in qualcosa d’altro. Queste considerazioni non sono nate a tavolino, ma in gara nel mezzo degli interminabili trasferimenti notturni in sella alla moto lungo infinite strade diritte, con il freddo che entra nelle ossa e non c’è modo di difendersi se non pensando ad altro. Non c’è neanche la possibilità di mollare tutto, mandare tutti a quel paese e infilarsi nel primo hotel per dormire dentro un letto vero avvolti da calde lenzuola. Nei trasferimenti tra una speciale e l’altra in Arabia Saudita non c’è nulla, solo deserto in tutte le direzioni. Ogni tanto si incontra qualche villaggio sperduto, ma è in uno stato di arretratezza tale che ti rendi veramente conto della fortuna che hai avuto ad esser nato nella parte giusta del mondo. La Dakar non è solo un lungo viaggio dal punto A al punto B da percorrere nel minor tempo possibile. La Dakar è prima di tutto un viaggio dentro noi stessi attraverso la follia che ci abita. Un viaggio che mette a nudo la nostra vera personalità, che ti fa scoprire di averne diverse, non solo una. Perché devi metterti la maschera dell’Uomo Ragno se vuoi resistere e arrivare in fondo: non puoi affrontare la prova da Peter Parker. Quindi cosa è successo a questa “gara”? Dal mio punto di vista è avvenuto esattamente quello che accade quando un mito smette di essere tale e diventa un fenomeno culturale o, se vogliamo, una forma di religione. Tutti i rally del pianeta possono essere considerati come dei grandi corollari alla Dakar. In piena pandemia globale il mondo si è fermato, ma la ASO (l’organizzazione dell’evento) è riuscita a svolgere perfettamente tre edizioni di una corsa dalla complessità inimmaginabile. Gli Stati e le compagnie aeree chiudono le porte a tutti, ma non alla Dakar. Perché? Perché i moltissimi addetti dell’organizzazione, cortesi ma inflessibili, sembrano usciti dalla serie Squid Game? Perché la Dakar trasmette un sentimento di rispetto e riverenza con chiunque se ne parli? Io credo che i motivi siano appunto da ricercare nel fatto che la corsa abbia valicato i confini razionali delle normali competizioni per approdare nell’irrazionalità del sacro. Nel sacro si infrange il principio di non contraddi-

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