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di Mario Ciaccia
11 April 2023

Hardalpitour verso la XV edizione, il sunto delle prime 14

C'è stata una bella festa a Milano, per celebrare le prime quattordici e parlare della quindicesima: e noi ne approfittiamo per ricordare i momenti salienti

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2009: la prima edizione della Hat. 12 iscritti al via e tante incognite. Con questa foto, scattata sul Passo di Framargal (2.179 m), al confine tra Piemonte e Francia, abbiamo aperto il servizio sul numero di novembre 2009 di Motociclismo FUORIstrada.

L'Hardalpitour è nata nel 2008 durante una sera al ristorante, quando Corrado Capra di Over 2000 Riders s'è messo a discutere con gli amici su quanto tempo ci sarebbe voluto per percorrere, in una tappa unica, tutte le sterrate militari che, messe in fila, uniscono il Mar Ligure alla Val di Susa. Oltre 500 km, una ventina di valichi, parecchi dei quali oltre i 2.000 e tante, tantissime pietre. In pratica, una tappa della Dakar a portata di week end italiano. La prima edizione ha visto al via appena 12 equipaggi, con partenza da Ormea (CN) e arrivo a Sauze d'Oulx (TO), senza sosta, con partenza nel pomeriggio del sabato e arrivo nella mattinata della domenica. Era una sfida in stile Baja 1000, una cosa mai fatta prima in Italia, ma di cui molti avevano voglia. Ecco perché la manifestazione ha avuto tanto successo. Ha ispirato altre manifestazioni simili, ha attratto partecipanti da tutta Europa e, come nel caso delle Dakar Series, ha generato delle specie di spin off di se stessa (la Pavia-Sanremo, i festival In Moto Oltre Le Nuvole e Adventour Fest, i corsi di orientamento con il GPS), mentre i viaggi erano già organizzati da prima. Gli iscritti sono passati da 12 a circa 500. A settembre 2023 ci sarà la quindicesima edizione: manca ancora tempo, ma i due organizzatori - a Corrado Capra s'è aggiunto Nicola Poggio - hanno dato vita, lo scorso 24 marzo, a una serata di presentazione dei programmi relativi a tutto l'anno in corso: lo Hat Shakedown 2023 al Motor Hub 2022 a Milano. La serata s'è svolta così: nei cortili di quel posto è stato creato un "Hat Village", con i gazebo dei vari sponsor, è stato trasmesso un video, s'è parlato degli appuntamenti futuri, si sono mangiati panini con le salamelle da Ciapa la moto. Sembrava di essere alla partenza della Hat... ma da Milano e non da Sanremo. Questa parte, però, la vorrei liquidare in fretta. Per quanto riguarda gli appuntamenti, andate qui: https://over2000riders.com/lista-hat-series/. Sono tutte cose interessanti, come il viaggio nei Balcani in fuoristrada, o la Ponte di Legno Adventour Fest dove hanno avuto i permessi per fare sterrati in Trentino. Per festeggiare i quindici anni della Hat, ci sarà una versione mostruosa, una sorta di Super Extreme da mille chilometri in botta unica (cederanno prima le moto o i piloti?). Parlare del video che è stato trasmesso mi imbarazza, perché ci sono io che intervisto Corrado Capra. M'è toccato, perché sono l'unica persona ad avere fatto tutte e 14 le Hat, per cui mi toccherà pure fare la Mille Chilometri.

Ma che cos'è il quartiere motoristico Motor Hub 2022? Si trova in una zona molto interessante di Milano (vicino alla Fondazione Prada e ai quartieri delle Olimpiadi invernali 2026) ed è un collettivo di spazi legati al mondo moto.

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Si potrebbe definire come un microcosmo orbitante intorno ad un cortile, sul quale si affacciano svariate officine e locali legati al mondo moto: Kustom Family, CD Garage, Garage Ventisette, Meccanica Serrao D'Aquino, Bacchiglione Pneumatici, Motosplash (dove lavano le moto!) e Ciapa la moto.

Ma ora basta parlare del Giamba, del Solex e di Ciapa la moto, perché qua devo mettere le 14 foto più significative delle Hardalpitour disputate finora, una per edizione. Non le foto più belle, ma quelle che raccontano il momento più significativo. Ogni volta è una storia diversa, per motivi di qualsiasi genere e io sono lì, con la mirrorless in mano, per raccontarlo. O meglio, per provarci. Di ogni edizione dirò quanti km ho percorso e quante ore ci ho messo. Non sono dati di cui andare orgoglioso, perché io sono sempre uno degli ultimi ad arrivare. Per tanti motivi: non sono Cerutti, mi fermo a fare le foto, capita sempre qualcosa che fa perdere tempo e, infine, perché mi piace fare tutto il percorso. Credo che la maggior parte di quelli che fanno la Hat taglino pezzi, specie verso la fine, quando non ne possono più e non vedono l'ora di arrivare. I passi più vituperati sono soprattutto il Vaccera e il Lazzarà. Invece la strada dell'Assietta viene considerata sacra e imperdibile da tutti.

2009. Per la prima edizione scelgo questa foto, che mi dice tante cose.

Siamo a Paesana (CN) all'alba della domenica e abbiamo già percorso 360 km. Io sono stato iscritto controvoglia dal direttore di FUORIstrada dell'epoca (Marco Marini) e gli ho detto due cose: a) io non sono in grado di fare una cosa simile e b) soprattutto non la posso fare in coppia con i due della foto, ovvero Nicola Dutto e Angelo Barbiero, che sono due campioni di moto, uno nelle baja, l'altro nell'enduro. Ma Marco insiste: dice che, di una cosa simile, anche un articolo che parli del fallimento sarebbe sicuramente interessante... ed ha ragione. Però, come volevasi dimostrare, il matrimonio con i due campioni va male: loro sono troppo veloci per me e io mi stanco fisicamente a cercare di tenere il loro passo, mentre io sono troppo lento per loro, che si stancano psicologicamente a tenere il mio. Si deconcentrano, hanno colpi di sonno, sentono freddo. Una cosa simile la puoi fare solo se viaggi con gente che ha il tuo stesso passo. Morale, mi mollano sulla Via dei Cannoni e se ne vanno. Ma ormai sono demotivati, hanno perso troppo tempo. Quell'anno la Hat era una gara di regolarità, per vincere bisognava chiuderla entro le nove della domenica. Andrà a finire con loro che si ritirano dalle parti di Rucas ed io che arrivo in fondo, ma con tre ore di ritardo, dopo avere percorso 514 km in 21 ore e un quarto. A rallentarmi, tra le varie cose, ci hanno pensato anche un attacco multiplo di diarrea e un errore di rotta che mi ha fatto incastrare in una mulattiera per monocilindrici, dove devo disincagliare la bicilindrica tutto solo.

Insomma, su quella via dei Cannoni, direi intorno al km 330, io ho una crisi psico-fisica. C'è una sterrata lunghissima, stretta, bagnata, in cui la stanchezza mi fa percepire il fondo con sassi enormi, gradini e burroni spaventosi. Mi gira la testa, vedo annebbiato, ho dolori ovunque e fatico a tenere in piedi la mia BMW F 800 GS. Ho paura di finire giù da un burrone. I due sono avanti, raggiungono il punto di ristoro di Melle e poi mi aspettano. Io arrivo mezz'ora dopo, incazzato nero. Dico che non voglio più andare con loro e mi aggrego a un'altra squadra, composta da comuni mortali. Dutto e Barbiero ripartono, ci passano, superano il Gilba veloci come il vento. Arriva l'alba. Ma a Paesana me li ritrovo davanti, seduti sulle seggioline che vedete sopra. Sono demotivati, hanno sonno, vedono quelle sedie e ci si piazzano a dormire. Io ho questa visione e la fotografo, per me è straordinaria, congela un momento che significa tante cose. Compresa quella che, per Nicola, è una delle ultime uscite prima che una caduta sul Tagliamento lo condanni alla sedia a rotelle. Incidente dal quale reagirà con dei controcoglioni pazzeschi, arrivando a iscriversi alla Dakar con una moto dotata di gabbia per tenerlo su. Altro che Hat.

2010. Anche durante la seconda edizione l'episodio più significativo accade sulla Via dei Cannoni. In foto, Dronero visto dal Colle della Ciabra (1.715 m).

Nel 2010, gli iscritti passano da 12 a 30, sempre divisi in squadre da tre. Dutto e Barbiero non ci sono più, io mi metto con un amico, il Dio delle Bestie e un'amica, DJ Ada, che hanno un passo simile al mio. Fin da subito abbiamo grossi problemi con i GPS: di tre che siamo, uno è senza traccia, a me si romperà l'antenna e la ragazza ha uno Zumo che dà i numeri e non serve a nulla. Morale, già a Borgo San Dalmazzo, dopo 190 km, siamo senza strumenti e decidiamo di andare avanti a memoria: la mia. Dopo diversi errori, arriviamo in forte ritardo a Ponte Marmora (CN), in Val Maira, alla base della temuta Strada dei Cannoni ma non siamo ultimi perché, di quelle dieci squadre, quasi tutte stanno combattendo con problemi di vario genere (forature, cuscinetti dei mozzi rotti, GPS finiti tra i cespugli, gente con congestioni da portare in ospedale, carter sfondati) e troviamo due squadre ferme, che stanno discutendo. La loro teoria: "Abbiamo già percorso 300 km, è notte fonda, siamo stanchi, la Strada dei Cannoni è faticosa e pericolosa, saltiamola. Facciamo il Colle di Sampeyre su asfalto e scendiamo di là, fino al ristoro di Melle". DJ Ada decide di aggregarsi a loro, così da riprendere le forze. "Fatevi la Cannoni, a me viene da vomitare. Vado con loro, faccio tutto asfalto, mi riprendo e ci vediamo a Melle". In squadra rimaniamo in due. Ci aggreghiamo ad altri tre e ci avventuriamo sulla Cannoni. Anche quest'anno faccio fatica, è tutta una pietraia, spacca le braccia. Durante quelle edizioni non c'erano i ristori fissi, come oggi. C'era un pick up che portava un gazebo con una cucina da campo e che raggiungeva tre posti (Vernante e Melle in provincia di Cuneo, Pomaretto in provincia di Torino) dove, ogni volta, veniva montato e smontato il campo. Se tardavi, niente pastasciutta calda nel cuore della notte. E non c'è niente di meglio, colomba di Iginio Massari a parte, di una bella pasta al pomodoro calda, per riprendere le energie, quando raggiungi un ristoro alla Hat, durante la notte. Per cui arriviamo a Melle e io sono talmente bollito che mi par di vedere 100 moto parcheggiate accanto al gazebo della pastasciutta. In realtà il gazebo non c'è più da un pezzo, è ripartito per Pomaretto. C'è un'auto col carrello: è quella del fidanzato di Giada, che le fa da assistenza e l'aspetta col fornello e il tè caldo. Le 100 moto posteggiate sono le nostre cinque. Altre non ce ne sono. Soprattutto, mancano le sette moto che avrebbero dovuto fare il Sampeyre su asfalto e arrivare qui almeno un'ora prima di noi. Fidanzato di Giada: "Mario, Giada non era con te?". Mario Ciaccia: "No, ha tagliato su asfalto, dovrebbe essere qua da almeno un'ora". Sette moto sono sparite nel Nulla. Senza telefonia cellulare sarebbe un bel mistero, ma siamo nel 2010, non nel 1980. Così i telefoni svelano il mistero che, a essere sincero, io trovo misterioso ancora oggi. Perché è successo che i sette, che intendevano uscire dalla traccia per fare solo asfalto, di fatto la traccia non l'hanno mai abbandonata. Sono arrivati sul Sampeyre in sterrato. Una volta lassù, bastava prendere l'asfalto per Sampeyre per essere salvi, invece, Dio solo sa perché, anzi, neanche lui, hanno preso l'orrendo sterrato scassato della Via dei Cannoni. Che se sei stanco e di notte, è come farsi frustare sugli zebedei. Ma il capolavoro doveva ancora arrivare: arrivati a Colle Birrone, hanno avuto da scegliere se andare a destra o a sinistra. La retta via era a sinistra, stava in cresta per parecchi chilometri e poi scendeva verso nord, passando per il santuario di Valmala e raggiungendo Melle. L'altra strada, invece, tornava nella stessa valle Maira da cui erano saliti. Navigando con il GPS, l'errore è apparso chiaro a tutti, eppure hanno insistito. Si tratta di uno degli episodi più assurdi di tutta la storia della Hat, specie se lo analizzi a bocce ferme. Si erano sparati le orrende pietre della Cannoni, per poi tornare da dove erano saliti e se n'erano pure resi conto, ma hanno insistito diabolicamente nell'errore. Questo fa capire quanto si possa essere poco lucidi quando è notte, sei bollito, hai freddo. Ciascuna delle sette persone mi darà la sua versione, ma di base la media delle spiegazioni è questa: "Ci siamo resi conto dell'errore, ma poco sotto c'era l'asfalto e, in quel momento, ci sembrava la cosa più desiderabile al Mondo". Chi si è reso conto lucidamente dell'errore ha preferito restare col gruppo, sbagliando strada, piuttosto che prendere la Retta Via, ma da solo. Tra loro c'è anche un tipo stranissimo, arrivato da Pesaro in sella a una Yamaha XT500, vestito con un parka da snowboard: Danilka, che diventerà uno dei miei compagni di avventure preferiti, prima di sparire da un giorno all'altro.

Per quel che mi riguarda, quell'anno i km che percorro sono 518, in 22 ore e 20 minuti.

2011. Terza edizione. Questa foto è storica: siamo al ristoro di Brossasco. Per la prima volta c'è un ristoro fisso. E, per la prima volta, vedo gente che si ferma a dormire alla Hat.

La Hardalpitour era nata come una sfida: percorrere quei 500 km in meno di 24 ore e senza dormire mai. Per questo, quando vedo quei cinque sdraiati per terra, alla bocciofila di Brossasco, sono indignato fino alla radice dei capelli. Ma è solo l'inizio, perché gli iscritti sono passati da 30 a 100 e inizia a vedersi di tutto. Questa cosa di fermarsi a dormire diventerà la norma, tanto che oggi sono tantissimi quelli che si iscrivono alla Hat Classic e si fermano a dormire in albergo per tre-quattr'ore, per poi recuperare il terreno perduto tagliando pezzi. Il 2011 è anche l'anno in cui, al percorso, viene aggiunto il Colle di Lazzarà o Lazza Arà (1.595 m), di cui mi accollo la responsabilità. Perché a Corrado Capra avevo detto, nel 2010: "Come mai non hai incluso anche il Lazzarà, in questa traversata?" e lui aveva risposto una cosa del tipo "Ah, boh, in effetti ci starebbe". Dal 2011, quindi, il percorso si spara pure questo passo. E io, da allora, ogni volta che mi accingo a scalarlo mi maledico: "Ma non potevo stare zitto?". Perché il pietroso Lazzarà aggiunge altre pietre alle troppe pietre della Hat ed arriva in un momento un cui manca poco al ristoro di Pomaretto e non hai alcuna voglia di farti un passo in più. Con il Lazzarà, i km salgono a 531 e ci metto 21 ore e 57 minuti.

2012. Il Passo Prearba (1.360 m), sopra Pornassio (IM) è una delle novità principali, ma lo giudichiamo "odioso e inutile".

Nel 2012 succede una roba grossa: son già tre anni che parlo della Hat come della "tappa della Dakar a portata di mano" e, questa volta, arriva un dakariano vero, Bruno Birbes, che la affrontò, da pilota, due volte, nel 1987 e nel 1988. La Hat gli piace, la vive rispettandone in pieno lo spirito e dice la frase fatidica: "Mi fa rivivere le emozioni di una tappa della Dakar". Dopo di lui, di dakariani ne arriveranno veramente tanti, anche se la maggior parte lo farà su invito, o perché mandati dallo sponsor e la affronteranno nella maniera "comoda", dormendo in albergo tra il sabato e la domenica.

Il percorso del 2011 viene menomato dei Colli San Bartolomeo e Caprauna perché vi stanno installando le pale eoliche. Per mantenere lo stesso chilometraggio, Capra decide di introdurre un pezzo nuovo, il Colle Prearba, che di per sé è bello, ma ha la grave colpa di essere un anello. Psicologicamente parlando, fare anelli alla Hat è devastante. La forza che ti fa andare avanti è quella della traversata, in cui ogni km che fai ti avvicina alla meta. Ma se mi metti un anello, psicologicamente mi uccidi. Alle 15 siamo a Pornassio, dove inizia l'anello. Alle 16.15 siamo di nuovo a Pornassio, con l'anello portato a termine. Abbiamo guidato per un'ora, senza avvicinarci di un solo metro alla meta finale. Non siamo gli unici a pensarla così: quando la gente studia la traccia col GPS e vede che può segare via un anello, lo fa. Così noi partiamo tra i primi, facciamo il Prearba con calma perché scattiamo le foto, vediamo passare Bruno Birbes e il suo gruppo (è un dakariano, mica taglia, Lui), non vediamo passare nessun altro e, quando riprendiamo la traccia che porta alla Via del Sale, abbiamo quasi tutti davanti... Quell'anno sono più lento del solito: prima cuocio il freno posteriore della mia Africa Twin 750, poi resto a secco sull'Assietta. 529 km in 25 ore e mezza. A Corrado glielo dirò: "Ti prego, non mettere mai più anelli, tanto poi la gente li taglia". La risposta di Capra sarà perentoria: se, nel 2012, un anello di un'ora ci fa fatto girare le palle, nel 2013 ne metterà uno da tre ore. Ma senza cattiveria.

2013. Certo, alla Hat non mancano le pietraie. Ma questa strada non è un po' troppo scassata? Il fatto è che stiamo improvvisando.

Sì, nel 2013 viene inserito un anello da 100 km. Per la mia andatura, comprensiva di soste fotografiche, significa partire da Garessio (CN) alle 15 e ritrovarmi ancora a Garessio alle 18: da spararmi in colpo in testa. Ma Corrado non ha colpe. Dopo che, nel 2012, i lavori per le pale eoliche ci avevano fatto aggirare due passi, nel 2013 i problemi arrivano dai lavori di sistemazione di una frana sulla Via del Sale. Capra pensa di risolvere il problema passando per la Via del Sale francese (Tende, Baisse d'Ourne 2.040 m, Colle di Tenda) ma i simpatici cugini d'Oltralpe non danno il permesso. Per cui, avendo poche ore per risolvere la questione, viene presa la decisione di partire da Garessio come previsto, fare la Via del Sale fino al Colle del Garezzo, 1.771 m (come nelle edizioni precedenti) ma, a quel punto, scendere al Colle di Nava e affrontare un lunghissimo trasferimento su asfalto, ritornando a Garessio, per poi andare a Cuneo attraverso la Colla di Casotto (1.381 m) e raggiungere il ristoro di Vernante da nord, anziché da sud. Insomma, è un po' una schifezza, così io e la mia squadra, approfittando del fatto che siamo, tutti e tre, in sella a monocilindriche, decidiamo di improvvisare e affrontare sterrati e mulattiere delle Vie Marenche finendo per perderci e per arrivare a Vernante a notte inoltrata, tra gli ultimi. In tutto percorreremo 556 km in 23 ore e un quarto.

2014, edizione mitica. Credo che la foto parli da sola: Barre des Ecrins (4.102 m) e Pelvoux (3.946 m) fotografati all'alba, dal Monte Jafferau (2.800 m).

Nel 1981, quando avevo 15 anni, partecipai alla Stramilano, una mezza maratona di corsa podistica. 21 km attraverso Milano, che affrontai senza essere allenato, impiegandoci due ore e arrivando distrutto. Nel 1982 ero sempre senza allenamento, ma decisi di rifarla. I miei però dissero: "Stai andando male a scuola, non puoi stancarti di nuovo come l'anno scorso. Falla, ma va' più piano". Per farmi andare piano mi accollarono il fratellino di 13 anni. Feci la corsa con lui, non mi stancai, mi divertii parecchio... e ci misi due ore, come l'anno prima. I miei genitori erano furiosi. "Avevi promesso che saresti andato piano". Mi resi conto per la prima volta che, se fai una cosa faticosa, come può essere una mezza maratona a piedi, ti fai un'esperienza mentale di un tale livello che la volta successiva, anche se non sei comunque allenato, vai molto meglio, perché l'averla già fatta ti fa gestire al meglio le forze e ti fa essere più tattico e oculato. Non solo: se porti con te un pivello, costui gioverà del tuo modo di comportarti, facendo meno fatica di quella che farebbe se corresse solo. Anche perché lui, psicologicamente, trae beneficio dall'idea che, se tu hai già fatto quella cosa, allora sai che è fattibile. Ho verificato questa cosa anche in seguito, sia facendo sci alpinismo e salite alpine in bicicletta, sia alla Hardalpitour. Ogni anno facevo sempre meno fatica e, se mi portavo qualche amico senza esperienza, questo arrivava fino in fondo senza troppi problemi. Nel 2014 ero quindi fiero del mio modo di affrontare e gestire la Hardalpitour, quando Corrado Capra ha avuto la bella idea di inventarne la versione Extreme, con ben due notturne di fila. Iniziava come una Hardalpitour normale (che, nel frattempo, si beccava l'appellativo di Classic) ma, dopo essere arrivati a Sestriere (TO) verso l'ora di pranzo della domenica, ci sarebbe stata una lunga pausa fino all'ora di cena quando, dalla Valle Argentera (TO), sarebbe partita la seconda notturna.

S'è trattato di rifare tutto da capo. Abbiamo dovuto approcciare le due notturne senza sapere bene come dovessimo comportarci. L'idea era affrontare la Classic facendo pochissime soste fotografiche, raggiungere la Valle Argentera all'ora di pranzo, dormire fino all'ora di cena e poi ripartire. Ma no, non è andata così, come canta Raiz. Corrado Capra ci tirava un bidone colossale: senza consultarci, ci aggregava un giornalista francese. Spiegavamo che la Hat non si può fare tra sconosciuti, che bisogna essere affiatati, ma non serviva a niente, si partiva in quattro. Il francese era simpatico, ma era anziano, completamente privo di allenamento, su una Ténéré con gomme stradali e toccava terra a fatica. Per i primi 56 km andava tutto bene, era bravo e veloce, ma dopo Pornassio, proprio sulla salita del Prearba, è comparso del fango è scoppiato di colpo. Era sudato, paonazzo, andava sempre più piano, ha iniziato a piantarsi e cadere. Noi gli rialzavamo la moto e lo spingevamo, ma maledicevamo comunque Corrado. A un certo punto s'è accasciato al suolo apparentemente privo di sensi, ma non c'era campo per chiamare l'eliambulanza. Eravamo impanicati. Non avevo mai fatto la respirazione bocca a bocca. Stavo accingendomi a farla, quando il tipo ha aperto gli occhi, ha acceso una sigaretta e s'è messo a fumarla, nonostante stesse boccheggiando. A quel punto non c'è rimasta altra scelta che avanzare guidando la sua moto con lui seduto dietro, per poi tornare indietro in due e recuperare la nostra moto, fino al Colle Garezzo, dove siamo arrivati con due ore di ritardo sul previsto. Lui dava per scontato che avrebbe proseguito allegramente in nostra compagnia, mentre noi non vedevamo l'ora di liberarcene. Così gli abbiamo spiegato che, grazie alle sue performance, avevamo percorso appena 68 km, che stava già tramontando il sole e che mancavano ancora 680 km, per cui era impossibile che ce la potesse fare. Gli abbiamo indicato la via per l'asfalto più vicino e siamo ripartiti, ma ci siamo fermati dopo appena 3 km per aiutare un partecipante a riemergere dopo essere precipitato in un burrone, sopravvivendo miracolosamente. Ed anche lì è andato via un sacco di tempo. Morale, nell'anno in cui avremmo dovuto impiegare meno tempo del solito, per coprire i 502 km della Classic ci mettevamo oltre 27 ore. A quel punto, a dire il vero, non eravamo messi così male. Erano le 16.30 e la partenza per la Extreme era prevista per le 22 dal Rifugio Alpe Piane a quota 2.100 m, quindi di tempo per dormire ce n'era. Ci sdraiavamo nei prati di fronte al rifugio per dormire, ma si metteva a piovere e, non avendo tende con noi, non sapevamo dove piazzarci. Così ci sdraiavamo in una rozza veranda del rifugio, ma non riuscivamo a dormire. C'era troppo caos, tra bambini che urlavano, cani che abbaiavano, mucche che scampanacciavano, gente a piedi che ci indicava commentando "Va' 'sti qua". Io ero fiero del fatto di essere capace di dormire ovunque, in qualsiasi posa e a qualsiasi ora ma, questa volta, la cosa non funzionava. Idem per i miei due compari. Non c'era modo di riuscire a prendere sonno, maledizione. Quando siamo ripartiti, eravamo disperati. A quel punto, finalmente, c'è venuto sonno, ma era troppo tardi, avevamo dormito zero ore e dovevamo affrontare la seconda notturna, con un freddo spaventoso. Per cui abbiamo iniziato a dormire ovunque capitasse: sul Colle delle Finestre (2.176 m), alla stazione sciistica fantasma di Pian Gelassa, a Frais, a Chiomonte. In pratica, avevamo la stessa velocità media di Pier Paolo Rigo, che stava affrontando la Extreme con la sua Tacita elettrica ed era quindi spesso fermo per metterla sotto carica. Eppure, perdere tutto questo tempo ha avuto il suo perché e lo vedete nella foto sopra: avremmo dovuto scavalcare lo Jafferau (2.800 m, massima vetta ufficiale in 14 Hat) in piena notte, invece, arrivando tardissimo, ci siamo arrivati all'alba. Ed io ho scattato la mia foto preferita, appunto, in 14 Hat. Alla fine abbiamo percorso 748 km nella bellezza di 49 ore e mezza.

2015: partecipo alla gara di orientamento organizzata da Tripy e guido la CCM 450 GP. Una Hat diversa dal solito, insomma.

La Hat 2015 me la ricordo orrenda, ma non è colpa di Corrado Capra che, questa volta, non mi rifila bidoni. Il fatto è che se la salute non è a posto, non ti diverti. Pochi mesi prima del via mi sono rotto entrambe le spalle cadendo in moto, per cui mi presento a Garessio dolorante e impacciato nei movimenti. Ma la cosa peggiore è che mi viene la bronchite la sera prima, per cui farò la Hat con 38 e mezzo di febbre, facendo una fatica boia, tanto da coprire 504 km in ben 29 ore e 16 minuti: 8 ore in più rispetto al 2009. Ogni 20 km mi dico "Basta, mi fermo", poi cambio idea. Eppure, l'edizione del 2015 è una delle più belle a livello di percorso, sia pure menomata della Gardetta, vietata nelle ore notturne. Al suo posto c'è la Fauniera (2.511 m), asfaltata ma suggestiva. La cosa spaziale è che, una volta terminata la Classic, bisogna salire in vetta al Monte Fraiteve (2.700 m) per la partenza della Extreme. Io sono talmente lento che arrivo in vetta giusto in tempo per la cena, solamente un'ora prima della partenza, senza avere dormito un solo minuto: e ho la febbre. Crollo su una sdraio all'interno del ristorante e getto la spugna, rinunciando ad affrontare la Extreme. Mi spiace ancora oggi. Tuttavia, in quel 2015 provo due cose: la CCM 450 GP e il Tripy. CCM è una piccola Casa artigianale inglese e la sua GP è, sulla carta, la mia moto ideale. Nicola Poggio ha deciso di importarla in Italia, perché è innamorato del concetto ispiratore: una moto da viaggio avventuroso, quindi con ciclistica da vero enduro, serbatoio da venti litri, carena, fari potenti, portapacchi e portaborse. Sarebbe tutto fighissimo ma mi crolla sul motore, che è quello della BMW G 450 X, un vero flop sia perché si tratta di un motore corsaiolo, che porta pochissimo olio e non dura a lungo, sia perché ha soluzioni tecniche tutte sue, che non hanno convinto nessuno. La moto, quindi, ha un grande fascino, ma il suo motore ne segna la rovina commerciale. Poi gireranno le voci di una GP 600 col motore della SWM Superdual: ecco, quella sarebbe la morte sua. Ma non succederà mai, questa cosa.

Quanto al Tripy, si tratta di un lettore GPS che riceve una traccia e te la fa navigare come un road-book. Viene organizzata una gara: vince chi fa tutta la Classic, senza tagliare un solo pezzo, percorrendo il minor numero possibile di chilometri. Io mi considero favorito, perché so il percorso a memoria, quindi non dovrei sbagliare un solo video, ma svacco mostruosamente a Perosa Argentina (TO), quando esco come un fesso dalla traccia, per fare benzina. Non ci penso! Fossi meno scemo, avrei fatto rifornimento da un'altra parte, senza divagazioni. Alla fine mi piazzo al secondo posto, preceduto dal grande Jacopo Cerutti, ovvero il migliore rallista italiano. Sarebbe stato blasfemo, finirgli davanti. Per lui è la prima volta... e non sbaglia un solo bivio. Pazzesco.

2016. La Rivoluzione. La Extreme viene spostata al venerdì notte e passa per il Colle San Bernardo (957 m), le cui pale eoliche sembrano alieni durante un'invasione terrestre.

L'idea di spostare la Extreme dalla notte tra domenica e lunedì a quella tra venerdì e sabato è dovuta alle proteste degli extremisti, che preferiscono togliersi il dente prima e finire poi il tutto facendo la Classic. Questa cosa di doversi prendere anche il lunedì di ferie, al posto del venerdì, faceva girare le balle a parecchi, anche se non capisco perché, dato che, in ogni caso, un giorno di ferie te lo devi comunque prendere. Poiché la Hat parte dal mare, cioè dalle basse quote, per arrivare alle alte, anticipare la Extreme comporta dover disegnare un percorso meno suggestivo. Addio albe sullo Jafferau. Il venerdì notte viene così disegnato un "otto" avente Garessio come epicentro. Entrano così in scena pezzi nuovi, come la Colla San Giacomo, il Melogno, la Foresta Barbottina e il Monte Mindino. Certo, dal punto di vista psicologico, se già mi scocciavo a fare un anello da un'ora, immaginate qua. L'otto misura 223 km. Partiamo alle 23 e, tra foto notturne (che portano via molto tempo) e una foratura, terminiamo la Extreme solamente alle 10 della mattina, quando la ripartenza per la Classic è alle 14. Per cui, tra le 23 e le 14 non cambia nulla, siamo sempre a Garessio, non sembra di fare una traversata. C'è una palestra adibita a dormitorio per chi fa la Extreme ma anche questa volta, come già due anni prima, non riusciamo a chiudere occhio, neanche per un minuto. Capiamo così che le soste nanna vanno organizzate in maniera diversa. Farsi tutta la notte in piedi per poi dormire durante il giorno non ci viene. Non sappiamo perché, ma dobbiamo pensarla in altro modo. Arrivano così le 14 e non abbiamo dormito neanche un po'. Per di più, il resto della Hat non mi piace. Ci aggreghiamo a un'amica che è alla sua prima Hat, ma va troppo piano. Per la prima volta provo la frustrazione che inflissi a Dutto e Barbiero nel 2009. Se vai al tuo ritmo, poi devi fermarti ad aspettare ma la cosa peggiore non è il freddo: è la sensazione di stare perdendo una marea di tempo, che ti fa impazzire. In una gita sarei rilassato e non sarebbe affatto un problema, ma alla Hat sai che non puoi perdere tempo, devi andare, andare, andare, come il Dean Moriarty di On the road. Allora provi ad andare al suo, di ritmo, ma non va bene, ti viene da passare su sassi e buche in un certo modo. Alla fine, è come il detto pesce grande mangia pesce piccolo: c'è sempre qualcuno più veloce di te, che tu annoi e qualcuno più lento, che ti annoia. Va a finire che accumuliamo un ritardo tale che saremo costretti a tagliare via i Colli Vaccera e Lazzarà, per salvare almeno il gran finale sull'Assietta. E io odio come la morte tagliare pezzi, per cui arrivo a Sestriere incazzato nero. A completare il mio scazzo, ci si mette il fatto di avere montato un carburatore Mikuni da 36 mm a depressione al posto del Keihin FCR da 39 mm sulla mia Suzuki DR-Z400E, ma l'operazione non è stata fatta a regola d'arte, perché oltre i 2.000 m la moto sale soltanto in prima e a passo d'uomo: e sull'Assietta si superano i 2.500 m... Compresi i tempi morti, per fare i 685 km di questa edizione impiegherò oltre 44 ore.

Il 2016 è stato una rivoluzione? Sì. Ma allora cosa dire del 2017? Cosa ci fa questa moto aliena dentro il teatro del Casinò di Sanremo?

Nicola Poggio, colui che portò Edi Orioli in Yamaha (che ci vinse la sua quarta Dakar), è entrato nella vita di Corrado Capra chiedendogli consigli turistici su un traghetto per la Corsica. In seguito è entrato nell'organizzazione della Hat, dove è subito emerso il contrasto tra lui milanese, con le idee in grande, e il Capra torinese, che bada di più al sodo. Basta partenza dalla rurale Garessio, ci voleva qualcosa di più mondano. Ecco quindi che la scelta è caduta su Sanremo. La Hat doveva diventare l'evento di riferimento del neonato Adventouring, doveva attirare le grandi Case ed ecco quindi che Yamaha ha esposto il concept della sua futura Ténéré dentro il Casinò di Sanremo. Il percorso ovviamente era nuovo, per lo meno all'inizio: la Classic raggiungeva la Via del Sale con una parte inedita, mentre quello della Extreme era mostruoso: veniva mantenuto l'otto di Garessio, ma andava raggiunto da Sanremo facendo al contrario la parte iniziale della vecchia Hat. In pratica, bisognava percorrere 443 km nello stesso tempo in cui, nel 2016, avevamo dovuto farne 223. Per cui, anche se odiavo farlo, fin dal via sapevo che sarei stato costretto a tagliare pezzi. L'idea di partire da Sanremo e passare da Garessio, per poi innestarsi sulla Classic, era però buona: così sarebbe stata una traversata, anche se con un'ampia divagazione a est. Partivamo alle 9 di sera e, alle 7 di mattina, eravamo a Garessio. Eravamo rallentati da un problema dell'Africa Twin del mio compare, Luca Nagini che, ogni tanto, andava a un solo cilindro (problema che non è mai riuscito a risolvere). Comunque sia, alle 10 eravamo sul Melogno, avevamo percorso 280 km ed è lì che abbiamo deciso di tagliare. Saremmo dovuti andare a dormire nella palestra di Garessio, ma sapevamo che non ci saremmo riusciti, inoltre le previsioni annunciavano un temporale bello grosso sulla Via del Sale, per cui decidevamo di non (provare a) dormire e di tirare dritti per Limone Piemonte, dove arrivavamo alle 14.30, per poi piazzarci a dormire sotto al tendone della cena. Non c'era nessuno. Quelli della Extreme stavano dormendo a Garessio, quelli della Classic stavano partendo da Sanremo e si stava scatenando una pioggia torrenziale, che noi abbiamo schivato in pieno. La Hat 2017, pertanto, passerà alla Storia per il diluvio sulla Via del Sale, tanto da farmi sentire in colpa per essermi salvato. Verso le 18 arrivavano i primi partecipanti, tutti bagnati fradici. Una cosa epica, ma noi eravamo asciutti, roba da vergognarsi. C'era chi gettava la spugna e andava in albergo, chi era bene equipaggiato e ripartiva senza problemi, chi era bagnato e ripartiva lo stesso. Però, noi avevamo lo stesso problema degli anni precedenti: facevamo la prima notturna senza avere mai sonno, poi arrivava il giorno, cercavamo di dormire e non ci riuscivamo. Quando c'era gente che cascava di sonno già durante le prime ore della prima notte. Sembrava che, edizione dopo edizione, ci stesse venendo un allenamento inconsapevole per avere sempre meno sonno (e devo dire che usare l'interfono aiuta moltissimo a restare svegli). Nagini, perciò, proponeva di applicare la tecnica dei ciclisti che affrontano le ultramaratone e i divide: i quarti d'ora di dormita scomoda, per terra, appena arrivano i colpi di sonno.

Pioveva anche quando ripartivamo da Limone Piemonte. I divieti a passare sul Gardetta di notte si sono estesi anche alla Fauniera per cui, per raggiungere la Strada dei Cannoni, dovevamo affrontare un lungo trasferimento sull'asfalto bagnato, passando per Caraglio, dove ci fermavamo a vedere il negozio di moto di Roberto Boano. Si tratta di vetrine che espongono le moto con cui ha corso le sue Dakar, negli anni 80, roba ancora migliore che al Louvre. Ma Roberto era all'interno, ci vedeva, ci faceva entrare, ci offriva cibo e bevande, ci parlava di quelle moto... e un'ora se ne andava via così. Non ce ne siamo pentiti, ovviamente. Il resto della notte vedeva l'organizzazione imporre dei sostanziosi tagli di percorso, dovuti al fatto che la pioggia aveva reso scivolose le pietraie: qualcuno era caduto, s'era fatto male e chi arrivava dietro veniva deviato in Pianura Padana. Gilba, Cave e Rucas venivano così aggirati con noiosi e lunghissimi trasferimenti sull'asfalto bagnato. Alla fine abbiamo percorso 723 km in 42 ore e un quarto.

2018, mettiamo insieme la Hat e il Pick The Peaks e finiamo così in bellezza sul Sommeiller, a quasi tremila metri di quota.

Il 2018, insieme al 2014, rappresenta la mia annata preferita, per quanto riguarda la Hat. Gli organizzatori hanno calibrato bene il percorso, che così riesco a fare tutto senza tagliare pezzi, mentre io metto in pratica la formula del quarto d'ora di sonno scomodo, che funziona così bene da permettermi di affrontare questa edizione insieme a Brontesi, un amico che non ha mai fatto queste cose, ma che arriva in fondo fresco come una rosa. In pratica non decidiamo un posto dove dormire tanto, ma guidiamo finché uno dei due non inizia ad avere i colpi di sonno. Così ci sdraiamo per terra e dormiamo 15/30 minuti. Ciò ci permette di ripartire e guidare bene per almeno tre ore. Non c'è più l'otto intorno a Garessio, ma nuovi sterrati che scendono dal Caprauna a Zuccarello, per poi raggiungere il Melogno, il Mindino e Garessio. Ce ne sono di nuovi e bellissimi anche in zona Colle di Tenda e poi su, a Sauze d'Oulx, ormai alla fine: tutti destinati a sparire già dall'edizione del 2019. Verso il tramonto siamo al Forte Centrale del Colle di Tenda, dove un ragazzo in moto, simpatico come un calcolo renale, ci chiede se stiamo facendo la Hat Classic o la Discovery (una nuova versione, molto facile, che dopo la Via del Sale ti fa andare a nanna in albergo a Cuneo, per poi tirare dritti fino all'Assietta, la mattina dopo). Rispondiamo ce stiamo facendo la Extreme e lui ci ride in faccia: "Impossibile, quelli sono partiti ieri notte, a quest'ora saranno già a Sestriere". "Ti dico che stiamo facendo la Extreme. Fa un lunghissimo giro fino a Garessio, per questo siamo ancora qua". "Vi sbagliate. Fidatevi, state facendo la Classic o la Discovery".

Va tutto bene fino alla Via dei Cannoni, che è franata. Le moto passano bene, mentre un'auto dell'organizzazione ci si pianta, rischiando di ribaltarsi. Blocca la strada, così le moto arrivate dietro sono costrette a tornare indietro e a scendere in Valle Varaita sfruttando il ben meno avventuroso asfalto del Colle Sampeyre. Il fatto di essere sempre in ritardo, rispetto agli altri, fa sì che arriveremo sulla strada dell'Assietta proprio quando Botturi e Fretigne stanno provando la nuovissima Yamaha Ténéré 700. Questa edizione me la ricordo come grandiosa anche per il finale: siccome io e il compare stiamo facendo i passi validi per una iniziativa di Motociclismo All Travellers chiamata Pick The Peaks, nel finale barattiamo il Colle di Bercia (2.220 m) con lo spettacolare Col du Sommeiller (2.991 m), tanto bello quanto inadatto alla Hat, perché è una strada che non sbocca da nessuna parte, ma è una andata-ritorno. In tutto copriremo 836 km in poco meno di 45 ore.

2019: edizione storica, perché festeggia il ripristino della galleria dei Saraceni infilandocisi dentro.

Il 2019 sancisce due tendenze che erano già in atto nel 2018, una volontaria e l'altra meno. Ovvero, la differenziazione dei percorsi tra Classic ed Extreme anche in base alla difficoltà e non solo alla lunghezza e la diminuzione delle quote delle strade. Nel primo caso, la Extreme si poteva definire come una Classic allungata; ma, dal 2018 e ancor più dal 2019, vengono creati percorsi paralleli, più impegnativi tecnicamente nel caso della Extreme. La Extreme non è più soltanto la versione più lunga, ma ti chiede di essere un guidatore completo. Per quanto riguarda la diminuzione delle quote, ciò è dovuto ai divieti che hanno tolto di mezzo, una dopo l'altra, le strade della Gardetta, della Fauniera e pure la Via dei Cannoni: è una sgradevole novità dell'edizione 2019. Per cui Capra e Poggio sono costretti a cercare nuovi sterrati, più bassi e più tecnici, tra Cuneo e Pinerolo. La Extreme guadagna così Montemale e il Monastero della Trappa, ma la novità grossissima è il finale: ritorna lo Jafferau, che mancava dal 2015. Non si passa più per la vetta, ma viene rimessa in funzione la cosiddetta galleria dei Saraceni, molto lunga, in curva e con una camerona centrale allargata. Per quel che riguarda la mia esperienza, affronto la prova con una Yamaha Ténéré 700 che mi piacerà così tanto da decidere di comprarne una, al posto dell'Africona 750. Inoltre, questa volta non ci salviamo e affrontiamo la Via del Sale sotto il diluvio: mi bagno tutto ma, approfittando della cena di massa organizzata a Cuneo (per la prima e ultima volta), che è una città ricca di comfort, andrò in una lavanderia a gettoni per mettere i vestiti nell'asciugatrice. La 2019 me la ricorderò anche per la lunghezza in termini temporali: dato che, a Bardonecchia, ci fermiamo ad aiutare due fratelli svizzeri che hanno problemi con la frizione, finiremo la prova entrando, per la prima volta, nella terza notte, quella tra la domenica e il lunedì. Sono 823 km in quasi 47 ore.

2020. Prima notte. Se vedi l'alba dal Monte Grai significa che stai accumulando un ritardo spaventoso. Ma non è colpa mia, questa volta.

Di auto che escono di strada, in montagna, con esiti tragici ce ne sono praticamente ogni giorno, ma l'incidente del 12 agosto 2020 in Valle Grana (CN) ha fatto più impressione degli altri, per via delle vittime: cinque ragazzi tra gli 11 e i 24 anni, che erano andati a vedere le stelle cadenti su una Land Rover. L'onda emotiva di quella tragedia ha fatto sì che venisse vietata la circolazione notturna su determinate strade delle Alpi Liguri e Cuneesi, come quella del Monte Grai e della Colla di Sanson, che la Hat avrebbe dovuto affrontare poco dopo la mezzanotte. Tale divieto è giunto troppo tardi per poter cambiare in maniera significativa il percorso, per cui è stato necessario stoppare i partecipanti al Rifugio Allavena fino all'alba, facendo accumulare a tutti un ritardo mostruoso. Quando ci hanno fatto ripartire, alle cinque e mezza della mattina, mancavano ancora 772 km alla fine, anche perché quella del 2020 è stata l'edizione più lunga di tutte: 901 km, che abbiamo coperto in meno di 44 ore, un ottimo tempo se consideriamo che siamo rimasti fermi per ben tre ore in attesa dell'alba. Oltretutto avevamo due moto che non si possono considerare le più veloci per la Hat: la Royal Enfield Himalayan, che a dire il vero ci ha lasciati di stucco da quanto va bene in fuoristrada e la Fantic Caballero 500 Rally, che aveva un ottimo potenziale, ma pativa sospensioni tarate in maniera atroce e una posizione di guida molto scomoda in piedi. Incredibile il finale: mentre saliamo a Colle Bercia, per l'ultima fatica e ci stiamo dicendo "Ormai è fatta", vengo superato da un tedesco su una BMW R 1200 GS, che taglia completamente una curva cieca mentre, dall'altra parte, arriva un italiano su una Honda Dominator. I due si prendono in pieno, senza farsi niente (!!!) e la Dominator mi finisce addosso, ma senza toccarmi, perché io passo tra lei e il burrone, convinto di centrare prima la moto e di finire poi scaraventato nell'abisso. Non mi sono mai giocato un jolly più grosso di questo. E tutto questo quando pensavo, ormai, che fosse fatta. Purtroppo, la cosa di tagliare le curve in fuoristrada è un vizio che abbiamo tutti e che ha un potenziale di pericolosità spaventoso.

2021, che scossa! Con la Classic che passa per le Vie Marenche, abbiamo delle strade di montagna completamente nuove, mai toccate prima.

Nel 2021 viene effettuato un grosso sforzo per rinnovare il percorso della Classic, che salta completamente la parte francese della Via del Sale per spostarsi ad Est e passare per le Vie Marenche, ovvero un sistema di sterrati che collega il Monte Mindino a Roccaforte Mondovì passando per il rifugio Navonera e le piste da sci di Frabosa Soprana, Prato Nevoso ed Artesina. Io faccio sempre la Extreme ma sono curioso, per cui faccio un lavoro di taglia e cuci delle tracce, creando una Extreme su misura (814 km in 44 ore e 23 minuti), che si immette nella Classic fino a Boves (CN), sede della cena corale, per poi rientrare nella Extreme che, dopo Cuneo, presenta una novità, un tratto tecnico sul Monte Tamone. Ne viene fuori un percorso stupendo, anche perché nella parte finale, tra Colle Finestre e Jafferau, vengono introdotti due nuovi sterrati, uno dei quali panoramico (ricavato da una vecchia ferrovia in costa), l'altro divertente da guidare. Viene però a mancare il Colle Bercia, anche lui causa divieto. E un altro over 2000 se ne va...

Dell'edizione 2022 ricorderò soprattutto la scalata al Fraiteve (2.700 m) e la goduria di guidare le piccole Honda 300.

Abbiamo scelto di fare la Hat 2022 con le piccole Honda CRF300, versioni L e Rally, perché eravamo curiosi di vedere come se la sarebbero cavata, ma io non pensavo che mi sarei innamorato di motine così piccole. Il colpo di fortuna è che abbiamo provato queste moto durante una delle edizioni più fangose della Hat. Avessimo avuto una bicilindrica (finora, in 14 edizioni, ho usato le "vaccone" per cinque volte), questa edizione me la sarei ricordata particolarmente tosta, nonostante la moria di sterrati sia andata avanti. Per svariati motivi, nel corso degli anni sono spariti dal percorso Colla di Sanson, Tanarello, Tetti Antonio, Gardetta, Via dei Cannoni, Bercia e quest'anno è toccato a Trappa e Jafferau. Ma abbiamo avuto il gran finale della Extreme sul Fraiteve (2.700 m), oltre che un nuovo sterrato in Liguria, il Madonna del Monte. 781 km in 42 ore e 26'. All'arrivo, mi pongo seri dubbi sul fatto di usare le bicilindriche per fare questi eventi: sono affascinanti da guidare sul secco, ma basta un po' di fango perché il divertimento lasci il posto a una fatica boia, a meno che non si usino gomme da enduro specialistico. Il fatto è che è dai tempi della Suzuki DR-Z400, ormai troppo vecchia in tante cose, che manca una monocilindrica leggera, valida in mulattiera, ma a suo agio in autostrada. Le piccole CRF300, alla faccia della cilindrata, hanno un bel tiro ai bassi, sono piacevoli su asfalto, hanno l'ABS, vanno benissimo in fuoristrada. Un solo difetto grave: le misure idiote degli pneumatici.

Una cosa che noto, scrivendo questo articolo, è che è sempre più noioso a mano a mano che vado avanti, perché gli episodi demenziali erano tutti all'inizio. A furia di fare la Hat commetto sempre meno errori e mi succedono meno cose buffe, mentre i partecipanti sono sempre più orientati alla formula "breve dormita in albergo e qualche pezzo tagliato". Il grande Walter Bonatti lo disse: "Non viene mai voglia di scrivere racconti di scalate in cui è andato tutto bene". Ma sono fiducioso: a settembre ci sarà la Super Extreme da 1.000 km e immagino che lì ce ne saranno, di storie da raccontare...

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