Nel 1981, quando avevo 15 anni, partecipai alla Stramilano, una mezza maratona di corsa podistica. 21 km attraverso Milano, che affrontai senza essere allenato, impiegandoci due ore e arrivando distrutto. Nel 1982 ero sempre senza allenamento, ma decisi di rifarla. I miei però dissero: "Stai andando male a scuola, non puoi stancarti di nuovo come l'anno scorso. Falla, ma va' più piano". Per farmi andare piano mi accollarono il fratellino di 13 anni. Feci la corsa con lui, non mi stancai, mi divertii parecchio... e ci misi due ore, come l'anno prima. I miei genitori erano furiosi. "Avevi promesso che saresti andato piano". Mi resi conto per la prima volta che, se fai una cosa faticosa, come può essere una mezza maratona a piedi, ti fai un'esperienza mentale di un tale livello che la volta successiva, anche se non sei comunque allenato, vai molto meglio, perché l'averla già fatta ti fa gestire al meglio le forze e ti fa essere più tattico e oculato. Non solo: se porti con te un pivello, costui gioverà del tuo modo di comportarti, facendo meno fatica di quella che farebbe se corresse solo. Anche perché lui, psicologicamente, trae beneficio dall'idea che, se tu hai già fatto quella cosa, allora sai che è fattibile. Ho verificato questa cosa anche in seguito, sia facendo sci alpinismo e salite alpine in bicicletta, sia alla Hardalpitour. Ogni anno facevo sempre meno fatica e, se mi portavo qualche amico senza esperienza, questo arrivava fino in fondo senza troppi problemi. Nel 2014 ero quindi fiero del mio modo di affrontare e gestire la Hardalpitour, quando Corrado Capra ha avuto la bella idea di inventarne la versione Extreme, con ben due notturne di fila. Iniziava come una Hardalpitour normale (che, nel frattempo, si beccava l'appellativo di Classic) ma, dopo essere arrivati a Sestriere (TO) verso l'ora di pranzo della domenica, ci sarebbe stata una lunga pausa fino all'ora di cena quando, dalla Valle Argentera (TO), sarebbe partita la seconda notturna.
S'è trattato di rifare tutto da capo. Abbiamo dovuto approcciare le due notturne senza sapere bene come dovessimo comportarci. L'idea era affrontare la Classic facendo pochissime soste fotografiche, raggiungere la Valle Argentera all'ora di pranzo, dormire fino all'ora di cena e poi ripartire. Ma no, non è andata così, come canta Raiz. Corrado Capra ci tirava un bidone colossale: senza consultarci, ci aggregava un giornalista francese. Spiegavamo che la Hat non si può fare tra sconosciuti, che bisogna essere affiatati, ma non serviva a niente, si partiva in quattro. Il francese era simpatico, ma era anziano, completamente privo di allenamento, su una Ténéré con gomme stradali e toccava terra a fatica. Per i primi 56 km andava tutto bene, era bravo e veloce, ma dopo Pornassio, proprio sulla salita del Prearba, è comparso del fango è scoppiato di colpo. Era sudato, paonazzo, andava sempre più piano, ha iniziato a piantarsi e cadere. Noi gli rialzavamo la moto e lo spingevamo, ma maledicevamo comunque Corrado. A un certo punto s'è accasciato al suolo apparentemente privo di sensi, ma non c'era campo per chiamare l'eliambulanza. Eravamo impanicati. Non avevo mai fatto la respirazione bocca a bocca. Stavo accingendomi a farla, quando il tipo ha aperto gli occhi, ha acceso una sigaretta e s'è messo a fumarla, nonostante stesse boccheggiando. A quel punto non c'è rimasta altra scelta che avanzare guidando la sua moto con lui seduto dietro, per poi tornare indietro in due e recuperare la nostra moto, fino al Colle Garezzo, dove siamo arrivati con due ore di ritardo sul previsto. Lui dava per scontato che avrebbe proseguito allegramente in nostra compagnia, mentre noi non vedevamo l'ora di liberarcene. Così gli abbiamo spiegato che, grazie alle sue performance, avevamo percorso appena 68 km, che stava già tramontando il sole e che mancavano ancora 680 km, per cui era impossibile che ce la potesse fare. Gli abbiamo indicato la via per l'asfalto più vicino e siamo ripartiti, ma ci siamo fermati dopo appena 3 km per aiutare un partecipante a riemergere dopo essere precipitato in un burrone, sopravvivendo miracolosamente. Ed anche lì è andato via un sacco di tempo. Morale, nell'anno in cui avremmo dovuto impiegare meno tempo del solito, per coprire i 502 km della Classic ci mettevamo oltre 27 ore. A quel punto, a dire il vero, non eravamo messi così male. Erano le 16.30 e la partenza per la Extreme era prevista per le 22 dal Rifugio Alpe Piane a quota 2.100 m, quindi di tempo per dormire ce n'era. Ci sdraiavamo nei prati di fronte al rifugio per dormire, ma si metteva a piovere e, non avendo tende con noi, non sapevamo dove piazzarci. Così ci sdraiavamo in una rozza veranda del rifugio, ma non riuscivamo a dormire. C'era troppo caos, tra bambini che urlavano, cani che abbaiavano, mucche che scampanacciavano, gente a piedi che ci indicava commentando "Va' 'sti qua". Io ero fiero del fatto di essere capace di dormire ovunque, in qualsiasi posa e a qualsiasi ora ma, questa volta, la cosa non funzionava. Idem per i miei due compari. Non c'era modo di riuscire a prendere sonno, maledizione. Quando siamo ripartiti, eravamo disperati. A quel punto, finalmente, c'è venuto sonno, ma era troppo tardi, avevamo dormito zero ore e dovevamo affrontare la seconda notturna, con un freddo spaventoso. Per cui abbiamo iniziato a dormire ovunque capitasse: sul Colle delle Finestre (2.176 m), alla stazione sciistica fantasma di Pian Gelassa, a Frais, a Chiomonte. In pratica, avevamo la stessa velocità media di Pier Paolo Rigo, che stava affrontando la Extreme con la sua Tacita elettrica ed era quindi spesso fermo per metterla sotto carica. Eppure, perdere tutto questo tempo ha avuto il suo perché e lo vedete nella foto sopra: avremmo dovuto scavalcare lo Jafferau (2.800 m, massima vetta ufficiale in 14 Hat) in piena notte, invece, arrivando tardissimo, ci siamo arrivati all'alba. Ed io ho scattato la mia foto preferita, appunto, in 14 Hat. Alla fine abbiamo percorso 748 km nella bellezza di 49 ore e mezza.