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Design stories: il silenziatore di scarico

Il silenziatore è il componente della moto che forse più di ogni altro ha subìto l’incorruttibilità delle normative sempre più stringenti, costringendolo di fatto ad evolversi continuamente, avvalorando ancora una volta l’indissolubile legame tra tecnica e design

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Schizzo di un terminale di scarico di Rodolfo Frascoli 

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di Rodolfo Frascoli

Insieme al portatarga e anzi anche più di esso, il silenziatore di scarico è un elemento di fortissima caratterizzazione del design di una moto vincolato dalle normative, oltre che dalla tecnica. È un elemento con il quale i disegnatori in alcuni casi si scontrano e in altri trovano nuovi spunti. Con esso, l’abituale urgenza del nuovo della quale noi designer ci alimentiamo si fa più pressante. L’attuale panorama motociclistico esprime, per questo componente, moltissime soluzioni: laterale basso, alto sotto la coda, basso sotto il motore e laterale con collettori alti, tipo scrambler. Ciascuna ha evidenti vantaggi (e svantaggi) tecnici e stilistici. Per farne un’analisi, però, è necessario partire ancora una volta dalle origini.

In principio lo scarico non era altro che un semplice tubo privo di silenziatore, che serviva a portare i gas lontani dalle gambe del pilota. Generalmente orizzontale e basso (non si raggiungevano grandi angoli di piega), aveva collettori molto sinuosi e con raggi di curvatura molto ampi, come uno strumento musicale a fiato: aveva un disegno “cantava” magnificamente. I primi accenni di terminale, a coda di pesce o a botticella, cercavano di attutire il rombo e, al contempo, si integravano nella linea della moto e la impreziosivano, con proporzioni eleganti. E così rimase fin oltre la metà del secolo scorso.

Negli anni Settanta si assiste ad un cambio di rotta: si esalta il valore semantico dell’impianto dello scarico, con l’arrivo delle quattro cilindri giapponesi e dei loro terminali appaiati due a due su ciascun lato (come quelli mitici della Honda CB750 e della Kawasaki Z1). Ma è nulla, a mio parere, a confronto con l’intuizione del designer americano Craig Vetter, che realizza gli incredibili tre silenziatori a tromboncino sovrapposti, per l’altrettanto incredibile ed avanzata Triumph X75 Hurricane del 1973.

Sempre in questo periodo, i silenziatori di serie sono generalmente cromati, ma iniziano a diffondersi quelli aftermarket, che invece sono neri e privi di design: sono pura funzione. Esattamente come quelli delle moto da competizione. Lo scarico aftermarket cambia completamente le proporzioni della moto, che sembra più leggera e compatta, tremendamente più corta e sportiva. Sono le medesime ragioni per cui ancora oggi si sostituisce il silenziatore di serie, oltre che per avere sound e performance migliori. Anche se, bisogna ammettere, quaranta anni fa era facile migliorare il design.

Oggi invece, i prodotti aftermarket spesso non tengono conto dell’impatto generale che hanno sulle moto e talvolta sono peggiorativi, dal punto di vista dello stile.

I terminali cilindrici si diffondono ampiamente negli anni 80 e, fatte salve alcune soluzioni esoteriche, rimangono in posizione laterale e bassa. Stiamo parlando di motori 4T: differenti sono le sportive 2T, che utilizzano layout e concetti stilistici delle moto da Gran Premio. Ricordiamo le fantastiche Yamaha RD500, Suzuki RG500 Gamma e Honda NS400R, con silenziatori sia laterali, sia alti che spuntano dal codino. Seguendo lo stesso concetto, è strepitosa la Honda NR750 a pistoni ovali, con due terminali sottosella, che condizionano il linguaggio formale del posteriore. La leggendaria Ducati 916 di Tamburini – una decina di anni più tardi – riprende il concetto con un risultato stilistico bello ancora oggi: i silenziatori si fanno ovali (per consentire l’escursione della ruota). Meno leziosa della giapponese, realizza l’ossimoro ricercato da qualunque designer: disegnare tutto senza farlo vedere e senza far passare la funzione in secondo piano.

Sono anni in cui si usa la benzina al piombo: catalizzatori e normative Euro non esistono ancora. Con l’introduzione della normativa Euro 1, i progettisti sono preparati a dover gestire un aumento di volumi, noi designer lo siamo molto meno. In una prima fase non c’è alcun tentativo di sminuire visivamente l’impatto dei volumi. Molti designer sono disorientati, anziché essere stimolati di fronte alla necessità di evolvere. Ma saranno sempre più coinvolti sin dalla prima fase di definizione del layout di un nuovo progetto, nella scelta dello stile e del posizionamento dei silenziatori. Perché il loro continuo ingrandirsi, la presenza di catalizzatori e le elevate temperature che generano, condizionano di fatto il layout complessivo delle moto, in particolare del forcellone e della sospensione posteriore. Le idee di un designer, in questo campo, possono andare a buon fine solo se l’area tecnica ha la mente aperta ed è disposta a studiare nuove soluzioni tecniche e per assecondare prevalentemente lo stile, abbandonando scelte consolidate e sicure. In questo ambito, le Case italiane sono quelle che hanno trovato soluzioni più innovative che hanno soddisfatto stile e tecnica. Prendiamo un esempio contemporaneo: la Ducati Panigale. Tutti i componenti della zona centrale sono stati studiati anche per ricavare spazio allo scarico: non so se l’idea sia nata da un designer o da un ingegnere, ma la soluzione soddisfa entrambi. Le Case straniere lavorano generalmente in maniera meno creativa, sono più pragmatiche: basta vedere certe “stufe” di alcune maximoto contemporanee…

Lo scarico sottosella è stato scenografico e stimolante, per un certo periodo: ruota posteriore e forcellone rimangono a vista. Ma un conto erano i piccoli silenziatori dei 2T o delle 4T Euro 0, un altro sono i barilotti delle moto dalla Euro 3 in avanti: dimensioni e temperature rendono impossibile posizionare lo scarico sotto la sella senza enormi complicazioni in termini di baricentro e comfort (nella comparativa delle maxinaked di Motociclismo 08/2006, la Benelli TnT 1130 con scarico sottosella, mandò a fuoco i documenti della moto che erano stivati lì sotto…). Tra le moto attuali, solo la Ducati Hypermotard risolve il problema con delle precamere sotto il motore. Chapeau. A Borgo Panigale trovano spesso soluzioni innovative.

Dopo questo periodo, si torna a riportare il terminale in basso, trovandogli spazio con forcelloni sagomati “a banana” (usati già dagli anni 80 per far spazio alle generose espansioni dei 2T) e ammortizzatori posizionati anche asimmetricamente. È il caso della Kawasaki ER-6n, che inaugura il filone – oggi seguito da molte altre – dello scarico sotto il motore. Una situazione ideale, quasi perfetta per un designer: volumi e temperature scomode sono lontane da pilota e passeggero. MV Agusta, già con la prima Brutale 750, risolve in maniera eccellente questa composizione, utilizzando un “padellone” sottomotore pregevolmente realizzato, bello a vedersi anche a moto inclinata. In ogni caso, tutto il posteriore si alleggerisce ed esempi recenti come Ducati Panigale e Aprilia 660 ci mostrano come sia fattibile una perfetta integrazione tra carena e silenziatore.

Diametri importanti, finiture racing: i collettori di scarico hanno sempre avuto un ruolo importante nel definire il look di una moto, specie se sportiva. Oggi questo pensiero sta cambiando: nascondere la “roba che scotta” esprime un concetto di maggiore comfort. Nei motori moderni, dove plastica e meccanica coesistono, i collettori sono qualcosa di invadente che limita l’innovazione? Può essere. Prendiamo ad esempio, ancora una volta, Ducati: il groviglio di tubi sul lato destro della “vecchia” Diavel è sparito, nascosto, inghiottito dal resto della carrozzeria. Su una powercruiser i collettori sono sempre stati qualcosa di fondamentale, per esprimerne l’aggressività. Eppure non si può certo dire che la nuova Diavel non sia aggressiva...

Dal lato opposto dell’impianto, sul fondello di un silenziatore, il designer può lavorare molto: è un componente primario dello stile ed è sempre più grande. Deve trasmettere potenza ed aggressività, oltre all’espressione del suono che produce. In qualche modo deve essere riconoscibile e riconducibile al marchio. Mica facile! A volte si affida al fondello la soluzione per alleggerire uno scarico troppo massiccio. Oggi tutti abbandonano forme calandrate e sono disegnati con la stessa cura e attenzione che è rivolta alla carrozzeria, con tanto di modello di clay, multisuperfici, cover para-calore integrate, a volte per ridurne la massa percepita, altre per enfatizzarla. Gli scarichi di oggi sono, stilisticamente parlando, sempre meno elementi tecnici e sempre più estensioni della carrozzeria, un mix di cover e superfici lavorate.

Guardando al futuro, c’è una generale tendenza eco-friendly e green che interessa anche lo stile dello scarico, ma vedere un impianto irriverente, potente ed evocativo come quello della nuova Harley-Davidson Sportster, mi fa capire ancora una volta che quando tutti vanno in una direzione, è il momento giusto – per un designer – per innovare, piuttosto che inseguire. Anche se… mi domando quanto grandi diventeranno gli impianti di scarico per rispondere alle normative anti-inquinamento, sempre più rigide. Su naked e sportive soprattutto, dove c’è poco spazio per “nascondere” precamere e catalizzatori, forse torneremo a vedere i “tubi di stufa” laterali degli anni Ottanta. Sarà l’ultimo step prima della svolta verso la mobilità full electric.

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