Muovendomi in moto, nel traffico meneghino non ho problemi di traffico nemmeno nell’ora affollata dell’happy hour e raggiungo per primo l’evento Ducati. La luce del tramonto si insinua tra le strade del centro e imbiondisce le facciate dei palazzi come lo scalogno nel soffritto. Per rispettare il dress code sfilo la cintura dei pantaloni e la sostituisco con una color girasole. Non ricordo nemmeno come abbia fatto a finire nel cassetto del mio comò, ma quando l’ho trovata, ieri sera, mi ha risparmiato l’acquisto di una t-shirt, una camicia o qualsiasi altra cosa gialla. L’ingresso al Brian&Barry Building è preceduto dal profumo di risotto alla milanese, con lo zafferano, preparato dagli chef proprio per rimanere in tema yellow. Protagonista della serata è la Scrambler e una speciale versione delle calzature Blundstone, battezzata come la Ducati. Le Blundstone, per chi non lo sapesse, sono scarpe con gambale alto e senza stringhe (o stivaletti bassi, come preferite) che ho sempre snobbato perché straviste ai piedi di professionisti alla moda (che definisco “fighetti”). Una volta provate però, mi sono dovuto ricredere: sono veramente comode e pratiche da indossare (l’elastico laterale permette al piede di scivolare dentro con facilità e poi tiene il gambale ben fasciato alla caviglia, evitando così l’effetto pantofola). L’accostamento della moto con queste calzature è perfetto da un punto di vista di immagine e filosofia: gli uomini del marketing Ducati si sono confermati dei geni. Perché la Scrambler e le Blundstone sono roba per gente alla moda (e sulle prime mi sono sembrate antipatiche proprio per questo motivo), ma sono anche oggettivamente pratiche e belle da usare. Entrambe non sono specialistiche, ma si adattano ad una vasta gamma di situazioni: con la Scrambler non vai in fuoristrada, ma ci fai un po’ di tutto, dall’aperitivo alla gita fuoriporta (lo abbiamo verificato anche nella “comparativa classiche” protagonista di Motociclismo di aprile); le Blundstone non stonano sotto un completo formale in ufficio e vanno bene anche per una gita in campagna (guardate le foto). Quando sono arrivato ero un po’ prevenuto, lo ammetto, ma ora comincia a piacermi, questo ambiente. Che mi stia trasformando? Ad ogni modo: il locale è affollatissimo, ma solo in pochi hanno aderito all’invito di indossare qualcosa di giallo…
NERO E ROCK
Dopo poco più di un’ora saluto colleghi giornalisti e gli amici di Ducati, e lascio a malincuore il buffet con hamburger mignon che si sbranano in due bocconi: fuori è calato il buio ed è tempo di raggiungere l’evento Harley-Davidson. Nemmeno 15 minuti in moto sulla circonvallazione dei Bastioni di Milano e passo dai bicilindrici di Borgo Panigale a quelli di Milwaukee, dal giallo al nero. Carlo e Camilla in Segheria è un ristorante di gran moda, con una squadra di giovani cuochi che si avvicendano ai fornelli sotto la direzione dello chef Carlo Cracco, volto noto delle trasmissioni culinarie in TV, ma che stasera non s’è fatto vedere. La cena è informale, come il locale, una vecchia segheria con pareti scrostate e macchinari arrugginiti negli angoli ad arredare i grandi spazi interni. Camerieri girano tra gli invitati con piatti di varie prelibatezze. Bene, ho ancora un buchino allo stomaco… Interpretare il dress code richiesto qui è facile: via la cintura gialla, ne infilo tra i passanti una in cuoio nero, che fa pandant con la mia camicia a scacchi scura, biglietto da visita di ogni custom biker che si rispetti. Harley-Davidson mette in scena “il meglio della cultura Dark Custom”, cita testualmente l’invito. Esposte ci sono alcune H-D elaborate secondo lo stile Dark. E poi è presentata l’iniziativa “Battle of the Kings”, una sfida a suon customizzazioni sulla base Street 750 riservata ai concessionari. Il vincitore esporrà la propria special allo stand H-D al prossimo Eicma. Qui intanto sono parcheggiati tre esemplari interpretati in stili diversi, dalla tracker urbana alla cruiser (guardate la gallery). “In fondo siamo stati i primi ad inventare la cultura custom -afferma Maurizio Ruvolo, Marketing Manager di Harley Italia- Ora ci riappropriamo di questa tradizione”. Partner della serata è Gibson, noto marchio di chitarre (usate, tra gli altri, da Les Paul e BB King, Jimmy Page e Angus Young): il legame tra moto custom e rock è indissolubile, e la musica fa da sottofondo alla serata. Anche qui il tema è azzeccato: la Segheria è un locale dove lo stile grezzo è talmente esagerato da diventare glamour. Fossi un regista, ci girerei un film horror-splatter, ma se prenotate una cena qui, ne uscirete con portafoglio molto alleggerito. Anche le Harley, in fondo, sono così. Richiamano un mondo rude e rock ‘n’ roll, ammiccano ad una vita on the road, ma sono in realtà raffinatissime e non certo per tutte le tasche.
BIKER DEMODÉ
Che sia questo il succo di tutto? La vera moda su due ruote è apparire “brutti, sporchi e cattivi” senza in realtà esserlo? Basta una due ruote custom o post heritage a fare di un tranquillo bancario un biker vissuto? Oppure è l’opposto: il motociclista “vero” si sta lavando via il fango e la polvere della strada per entrare agli happy hour con uno stile personale e ammirato da tutti? Sarò sincero: non l’ho ancora ben capito. Accetto suggerimenti, voi che cosa ne pensate? Lasciate la vostra opinione in fondo all’articolo, nello spazio riservato ai commenti.
È ormai tardi quando mi avvio verso casa, in sella alla mia moto che, per par condicio, non è né Harley, né Ducati. È una moto per nulla fashion; non è vintage, ma semplicemente vecchia; non è nera né gialla. Però è con lei che attraverso la periferia “Dark” di Milano per immergermi nella mia personale “Land of joy”.