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Harley-Davidson Road Glide Special vs Indian Challenger Limited

Due bagger americane con motori capaci di vagonate di coppia (che solo Indian tiene a bada col traction control), stile affascinante (con finiture al top per Harley), comfort e capacità di carico da vere touring e guida gustosa. Entrambe però pesano come elefanti in manovra e scaldano parecchio

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Le due bagger procedono appaiate sulla tangenziale che si allontana dalla città e si addentra nella valle che accoglie il lago, dove le pareti delle montagne intorno si tuffano quasi perpendicolarmente nelle acque scure. C’è poco spazio per le strade che, strette e arzigogolate, seguono il profilo di questo ramo “tutto a seni e a golfi” descritto anche dal Manzoni. Harley-Davidson Road Glide Special e Indian Challenger Limited incarnano alla perfezione lo stile americano in tema di due ruote interpretando un filone – quello delle bagger, appunto – tanto in voga Oltreoceano, ma che si sta affermando anche nel Vecchio Continente. Nell’immaginario collettivo sono tourer adatte solo alle highway o interstatali USA, ma se viaggi in moto in Europa non puoi eludere Alpi, Appennini o Pirenei, dove la rete stradale è un po’ diversa da quella disegnata tra la costa atlantica e pacifica: il confronto deve svolgersi anche qui. E rivelerà delle sorprese.

La Brianza scorre veloce attorno a noi, ma nella testa è come se stessimo attraversando qualche county della West Coast. L’impianto audio è sintonizzato su una stazione di musica rock. Quello della Challenger restituisce un suono cristallino e potente. Si alza il parabrezza sfiorando un tasto e l’aria scivola sulla sommità del casco, anche se il profilo superiore del plexiglas rimane un po’ in linea con l’orizzonte (chi scrive è alto 182 cm). Sulla Road Glide invece si generano vortici tra la carena (più distante dal pilota, rispetto alla Indian) e il busto; un casco aperto, se desiderate viaggiare, è sconsigliato. In più bisogna alzare al massimo il volume dell’hi-fi, se lo si vuole ascoltare ad andature poco meno che autostradali, e il suono ne esce un po’ distorto e coperto dal fischio dell’aria. Su moto di questo livello ci aspetteremmo un sistema automatico di regolazione del volume, che si alzi con il crescere della velocità e viceversa, senza dover tutte le volte lavorare sui comandi a manubrio. Comandi con i quali, sempre su entrambe le bagger, si possono scorrere le schermate e le mappe del navigatore, selezionare le tante informazioni e le fonti audio, compresi smartphone, lettori MP3 e interfoni bluetooth. E comunque sia Harley sia Indian hanno il TFT touch screen, che funziona bene anche indossando i guanti (però sono un po’ lenti nell’adeguare automaticamente la luminosità quando si entra o esce da una galleria). Roba da berlina di media gamma. Rock, dicevamo. Il dj annuncia Around The World del gruppo californiano Red Hot Chili Peppers. L’urlo di Anthony Kiedis, frontman della band, copre il rombo del motore (a dire il vero molto pacato su entrambe le moto) e subito dopo attacca a cantare con un ritmo da rapper; arrivano poi la melodia del ritornello e le incursioni del bassista Flea. E mentre ascoltiamo questa canzone che cambia ambienti di continuo, fondendo quattro stili in un unico brano mantenendo comunque un certo equilibrio, pensiamo che la Challenger sia esattamente uguale. La Indian sa mutare ritmo repentinamente, adattandosi a strade diverse senza mai sentirsi in difetto. Corre veloce in autostrada coccolando il pilota con tanto comfort, affronta strade tortuose senza rendere la guida affaticante, trotterella in riva al lago con l’unico scopo di farsi ammirare senza che il motore strappi anche girando al minimo.

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Rimanendo in tema musicale, anzi attingendo sempre dalla discografia dei Red Hot Chili Peppers, la Road Glide Special è invece uguale al brano Road Trippin’. “Viaggiando con i miei due migliori amici ben riforniti di spuntini e vivande. È ora di lasciare questa città, è il momento di scappare Andiamo a perderci ovunque negli Stati Uniti”. Il testo della canzone sembra dire tutto di questa moto. È rilassante, ti ispira viaggi senza pensieri, ma senti che manca qualcosa: voci, basso e chitarra, niente percussioni. Ma se nel brano musicale la batteria sarebbe di troppo, un elemento di disturbo, l’Harley appare invece incompleta. Possono ribadire quello che vogliono i più accesi sostenitori del Marchio, ma quando la concorrenza – non solo europea, ma anche americana – offre riding mode e traction control, l’assenza di certi dispositivi è un peccato grave. Specie su moto non certo facili da gestire come queste. Con quasi quattro quintali in ordine di marcia e una coppia che potrebbe muovere una portaerei, bisogna sentirsi sicuri di poter aprire il gas anche su asfalto sporco o bagnato. A 2.000 giri/min, i motori di questi due giganti esprimono più coppia di quanto faccia una qualunque maxienduro al regime di picco. Certo l’erogazione è pastosa, regolare, fluida. Ma aprire il gas a metà di una curva umida in ombra, è questione delicata con la Road Glide. In sella alla Challenger invece si osa un po’ di più, potendo confidare sul TC che, benché non invasivo, corregge le intemperanze del polso destro. Curioso però che sia disinseribile… Nei cilindri, capienti come boccali di birra, si muovono pacifici i pistoni quasi senza generare vibrazioni. Sono appena percettibili – su entrambe le moto – giusto per farle sentire vive e sono accompagnate da un timbro basso e profondo sulla Harley, cupo e intenso sulla Indian. Il Milwaukee Eight della Road Glide lo riconosceresti tra mille: ha quel ritmo al minimo un po’ zoppicante che è come un marchio di fabbrica e un sound che conquista.

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Il PowerPlus della Challenger invece frulla più regolare, ha una voce più “moderna”, non priva di carattere, ma diremmo meno coinvolgente. Però spinge un po’ di più e la differenza si avverte scendendo dall’una e salendo sull’altra moto. Con la Harley tireresti al limitatore solo per sentire il rombo del motore, ma per il resto potresti mettere una marcia alta e tenerla tutto il giorno senza mai superare i 3.000 giri/min (che in sesta corrispondono quasi alla velocità autostradale). La Indian invece, per quanto altrettanto regolare ed elastica nell’erogazione, fa subito capire che ha un po’ più di grinta ed è un po’ più rapida a prendere giri. Così, in accelerazione, scappa via. E anche in ripresa: in un sorpasso ad andatura sostenuta, con la Road Glide bisogna scalare una marcia, per starle dietro. Cambio e frizione richiedono un po’ di energia per essere azionati, sia con l’una, sia con l’altra. Gli innesti sono un po’ duri (Indian specie a freddo) e la leva al manubrio non è propriamente di burro (quella Harley ha un carico leggermente superiore). Da cubature così imponenti ci si aspetta quantità elevate di calore provenire dai motori e infatti è così, soprattutto con la Road Glide. Entrambe hanno il dispositivo di spegnimento automatico del cilindro posteriore: oltre una certa temperatura, quando la moto è ferma a motore acceso al minimo (la classica sosta al semaforo), l’accensione del cilindro più vicino alla sella viene disinserita, così che possa raffreddarsi un po’ mentre solo l’anteriore “trascina” l’albero motore. Appena si inserisce la marcia e si riparte, il contatto è ristabilito. Ingegnoso, ma non sufficiente a risolvere del tutto un problema che nella stagione estiva e nella marcia a bassa andatura toglie un po’ del piacere di stare in sella.

Lasciata la superstrada, iniziano le curve e… sorpresa! Immaginavamo di dare inizio ad un concerto di stridii, con le pedane che graffiano l’asfalto ad ogni minima inclinazione. Invece no. La luce a terra in curva è buona con entrambe le moto e questo ci permette di affrontare tornanti e curvoni con serenità. Certo ricordiamo che siamo a bordo di transatlantici e le traiettorie vanno impostate pulite, rotonde. Eppure non sono affaticanti come ci si potrebbe immaginare. Sia Harley, sia Indian offrono un’ergonomia di pieno controllo, con selle basse e manubri ampi. Il peso c’è e si sente, specie in manovra, dove sarebbe gradita una retromarcia: se parcheggi col muso leggermente in discesa, non ne esci da solo. In movimento invece sono sorprendentemente maneggevoli e piacevolmente stabili, ben bilanciate. La guida è davvero gustosa. Se l’asfalto è perfetto, diremmo addirittura goduriosa. Se però vi trovate sul pavé o non riuscite a schivare una buca, stringete i denti e preparatevi ad un appuntamento con l’ortopedico per farvi raddrizzare la colonna vertebrale, specialmente se siete in sella alla Road Glide. La forcella è abbastanza soffice da incassare i colpi più duri senza mancare di sostegno in frenata, ma il posteriore sembra quasi non avere corsa, sulle sconnessioni più accentuate. La Challenger si difende appena meglio, offrendo un po’ più di escursione, ma non fa miracoli. Bene invece la forcella, davvero ben tarata sia per la guida rilassata, sia per quella un po’ più arrembante. E, anche se non è propriamente nelle corde di queste moto affrontare le strade montane con staccate assassine, ci figuriamo come potranno comportarsi al Cavatappi. Per chi ancora non lo sapesse, infatti, da quest’anno è prevista la categoria Bagger nel Campionato Americano SBK, con una sola gara a Laguna Seca. Chissà come le guideranno, i piloti. Dal canto nostro, ci attacchiamo ai freni senza lesinare, strizziamo la leva e ci aiutiamo quasi sempre anche con il pedale: fermare quattro quintali in spazi ragionevoli lo richiede. La Indian sfoggia, all’avantreno, pinze radiali da maxisportiva e i rilevamenti del nostro centro prove danno ragione a questa scelta: la Harley-Davidson, da 90 km/h, richiede oltre 4 metri in più per arrestarsi. Eppure la risposta dell’impianto della Challenger sembra meno incisiva; quella della Road Glide è più pronta. In entrambi i casi l’ABS fa sentire la sua presenza in maniera discreta, quando davvero c’è poca aderenza o quando si scala un po’ bruscamente una marcia in frenata.

A conti fatti, dunque, la Indian convince di più. Se analizziamo oggettivamente motore, dinamica e comfort, è lei la vincitrice di questa comparativa. Anche l’elettronica è più sofisticata e l’impianto audio è superiore, il TFT touch screen è più vicino al pilota e intuitivo, mentre la protezione dall’aria non è nemmeno paragonabile. Peccato che nessuna delle due bagger offra di serie le manopole riscaldabili: su delle moto votate al turismo sono un componente imprescindibile, a nostro parere. Però alla Challenger manca qualcosa, che invece non difetta alla Road Glide. È lo stile. Una cosa difficile da spiegare in maniera obiettiva. Non parliamo di qualità costruttiva, perché è elevata su tutte e due le contendenti. Però alla Indian non basta un motore sofisticato e moderno, un telaio in alluminio pressofuso e l’iconico fregio luminoso sul parafango anteriore con la forma del capo indiano per spiccare. Il design è elegante e proporzionato, ma non iconico come quello della Road Glide. E poi quei pannelli di plastica intorno alla strumentazione, sui fianchetti e sulle borse, insieme alle tante superfici cromate di questa Limited non convincono. Meglio forse la versione Dark Horse, che sostituisce il nero al cromo e le superfici opache a quelle lucide. In questo, Harley ha fatto scuola.

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