La Diavel pesa 236,4 kg in ordine di marcia e con il serbatoio vuoto, la Rocket 3 R arriva a 308,1 kg. Sono oltre 71 kg di differenza, davvero molti, per cui la sfida in accelerazione è giocoforza vinta dalla Ducati. Ma se la confrontiamo con una supersportiva come la Panigale V4 S Corse, che pesa solo 189,7 kg? Qui non dovrebbe esserci storia, anche perché oltretutto eroga la bellezza di 193,4 CV alla ruota, eppure non è proprio così. Nello 0-100 km/h la sportiva fa segnare un 3,1 s, ma non c’è da stupirsi, perché in accelerazione con moto potenti il limite è sempre quello del ribaltamento e l’interasse di ben 1.600 mm della Diavel, unito a una sella a soli 780 mm da terra, fanno tutta la differenza. Una riprova l’abbiamo nella prova di frenata, dove le nostre due roadster fanno vedere i sorci verdi a quasi tutte le supersportive. Gli impianti frenanti Brembo possono essere portati al limite fino all’arresto completo ben più di quello che si riesce a fare con una supersportiva, sempre grazie alle quote, che per la Rocket 3 si possono sintetizzare in un interasse monstre di 1.677 mm. Per fermarsi da 90 km/h con la Diavel sono sufficienti 32,7 metri (contro i 34,6 della Panigale V4 S Corse), mentre con la Rocket 3 R ne bastano ancora meno: 32,5 m sono un dato notevolissimo che ci esprimono la potenza dell’impianto, la bontà della taratura dell’ABS, l’ottimo grip offerto dalle coperture Avon di serie e l’eccellente lavoro della forcella Showa che deve gestire trasferimenti di carico importanti. Abbiamo capito bene adesso che siamo di fronte a due moto che al semaforo fanno tanto fumo, ma che poi accelerano e frenano come o meglio di una supersportiva, fino a velocità codice, ovviamente. Andiamo ora a cercarci un po’ di curve. Pennelliamole… … queste curve. Non siamo pittori impressionisti, ma pittori impressionati. Tra le curve la Rocket 3 dipinge come un pennello Cinghiale (quello per le pareti grandi della famosa pubblicità): all’inizio sembra impossibile pensare di godersela in un misto guidato, ma poi ci si fa l’abitudine e tutto cambia. Le prime curve che si affrontano con la tre cilindri lasciano un po’ disorientati, non tanto per la notevole massa avvertibile nei cambi di direzione, quanto per lo strano feeling trasmesso dagli pneumatici, che hanno sezioni larghe, ma soprattutto spalle più alte di quello a cui siamo abituati (150/80-17” 240/50-16”). Il risultato è una moto che non segue d’istinto la linea che abbiamo in mente, non è intuitiva e la prima soluzione che ci viene naturale è quella di forzarla un po’ tirandola verso la linea ideale. Ma basta poco per prenderci la mano e capire che va condotta senza forzarla, riducendo lo sforzo sul manubrio e anche quello psicologico perché, seppur in un modo un po’ personale, lei tra le curve sa far divertire. Ovviamente non possiamo immaginare di avere un pennellino da ritocchi per sgusciare nelle esse come una Street Triple, ma anche con un Grande Pennello il divertimento nel guidato non manca di certo. E questa è la più grande differenza rispetto alla vecchia Rocket III. Restando sul tema della pittura, la Diavel 1260 S è un rullo: rapido ed efficace. Quel suo ruotone posteriore, con una spalla più classica (240/45-17”) e abbinato a un avantreno tradizionale da 120/70-17”, è un vero rullo compressore: nonostante un bilanciamento classico con una leggera prevalenza di peso sull’anteriore, la guida è tutta di posteriore. Ci si appoggia a sua enormità 240 e si percorre la curva in modo sicuro, con una bellissima trazione in uscita di curva. L’avantreno è leggero tra le mani, ma saldo. La posizione di guida distesa in avanti, con il manubrio piuttosto rialzato rispetto al piano di seduta, non fa caricare peso sui polsi e questo non fa sentire l’avantreno come su una naked sportiva classica. C’è fiducia verso l’eccellente lavoro della forcella Öhlins da 48 mm e il grip delle Pirelli Diablo Rosso III di serie. La situazione sulla Rocket 3 è diversa, perché il busto è più proteso per afferrare il lontano manubrio e quindi c’è più carico sui polsi. D’altro canto, però, abbiamo un bilanciamento più spostato al posteriore (49-51% ant-post) e un avantreno a spalla alta che mal digerisce ingressi in curva troppo garibaldini: preferisce una guida più rotonda e, se non devi cambiare traiettoria, lei ringrazia sentitamente, perché non è così intuitivo modificare la linea impostata. Sul misto veloce da terza marcia la Triumph è nel suo habitat e sa far divertire tantissimo, ma è anche il terreno di caccia ideale della Diavel, che ha dalla sua un comparto sospensioni ancor più valido di quello della rivale, in grado di digerire anche tratti sconnessi, regalando al pilota un discreto comfort di guida. In velocità la protezione aerodinamica è pressoché nulla per entrambe, ma c’è una bella differenza comunque: la posizione del busto sulla Ducati permette di contrastare meglio la spinta dell’aria e le forme di serbatoio e convogliatori tengono il flusso lontano dalle ginocchia rispetto alla Rocket 3 dove occorre stare esterni al generoso tre cilindri, con le ginocchia esposte all’aria.