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Moto Guzzi V7 Rough vs Royal Enfield Interceptor 650

Caratteri diversi, missioni uguali: moto senza fronzoli, che badano al sodo e ti portano in giro facendoti fare un figurone al bar. La nuovissima Interceptor è più versatile ed equilibrata, inoltre costa molto meno. La Guzzi emoziona parecchio ed ha una ciclistica più divertente, ma è meno comoda e ha le pedane troppo basse

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Lo sapete: il vintage va di moda, ma le storie che ci sono dietro a ogni modello si possono ricondurre a quattro filoni. Uno, che chiameremo A, è quello delle moto che si ispirano al passato, realizzate da Case che però non ce l’hanno, quel passato. Tipo le cinesine col look da inglesi anni 60, o le custom giapponesi che copiano le moto americane anteguerra. All’opposto (B) ci sono le moto che sono sempre state così, costruite con lo stesso look e la stessa filosofia dalla notte dei tempi, anche se aggiornate tecnicamente, come le Moto Guzzi, le Harley-Davidson e le Royal Enfield Bullet. Il terzo filone (C) riguarda quelle Case che decidono di rimettere in produzione un modello del lontano passato, aggiornandolo ai tempi moderni: “facciamola come se non avessimo mai smesso”. Vedi Triumph Bonneville, Kawasaki W800, Indian Chief... e la Royal Enfield Interceptor di cui parliamo in queste pagine. Evidentemente consideriamo valida la cosa anche nel caso in cui la Casa sia fallita e qualcuno ne abbia acquistato il marchio, restando però fedele alle linee guida. Infine, il filone D è quello delle post heritage, ovvero motociclette attuali che reinterpretano modelli iconici del passato con linee e meccaniche moderne. Consideriamo tali le odierne Ducati Scrambler, Suzuki Katana, Indian FTR, Benelli Leoncino. In questa prova mettiamo a confronto una moto appartenente al filone B (la moto Guzzi V7 Rough) con una del filone C (la già citata Enfield Interceptor).

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The return of Interceptor

C’è chi pensa che la nuova 650 sia un esercizio di stile indiano privo di legami con il passato, quindi appartenente al filone A, perché le bicilindriche in linea inglesi che vengono subito in mente sono quelle della Triumph, della Norton e della BSA; ma c’erano anche le Royal Enfield, quando questa Casa produceva in Gran Bretagna. In particolare, l’ultima moto prodotta prima della chiusura dello stabilimento inglese, avvenuta nel 1970, è stata proprio la Interceptor, con cilindrata di 736 cc, presentata nel 1962. Era una signora moto, che puntava al predominio prestazionale: nacque con circa 53 CV a 6.000 giri/min e uscì di scena quando i CV erano diventati 60 a 6.500 giri. In linea con la tecnica inglese dell’epoca, era una bicilindrica in linea a corsa lunga, raffreddata ad aria, con i perni di biella a 360° e la distribuzione ad aste e bilancieri, con 2 valvole per cilindro. Avviamento a pedale, cambio separato a 4 marce con doppia leva (una per cambiare le marce, l’altra per innestare il folle in qualsiasi marcia ci si trovasse), velocità effettiva superiore ai 185 km/h, emotivamente corrispondenti ai 300 attuali. Pare che fosse impossibile arrivare a tale velocità, per via delle vibrazioni devastanti. L’attuale operazione Interceptor è molto diversa, perché lo scopo non è più ottenere l’equivalente di una Ducati Panigale V4, ma una moto che abbia il look anni Sessanta e l’efficienza di un mezzo moderno destinato a un uso turistico, tranquillo, facile, contemplativo. Per questo si è scelto di realizzare un motore più piccolo di cilindrata e meno potente (47 CV dichiarati a 7.250 giri/min), molto semplice e con poca elettronica.

1/12 Royal Enfield Interceptor 650 2019

Telaio e motore sono stati progettati dalla filiale inglese, con ingegneri provenienti dalla F1 e dai GP motociclistici. La tecnica del motore è figlia dei tempi moderni, a iniziare dalla corsa corta e dai perni di biella a 270°, che cambiano completamente il carattere del motore. Confessiamo che ci sta dispiacendo parecchio l’estinzione dei bicilindrici a 360°, anche se le pulsazioni dei 270° sono sempre gustose. Questi hanno gli scoppi a intervalli irregolari: due vicini e una pausa, cosa che li rende, ai bassi regimi, simili ai monocilindrici e piuttosto “vivi”. Con i perni a 360°, gli scoppi avvengono sempre con lo stesso intervallo e questo li rende molto regolari ai bassissimi regimi. Inoltre hanno un inconfondibile timbro di scarico, molto roco. I bicilindrici boxer come i BMW si comportano allo stesso modo (come erogazione e come sound) e sono molto apprezzati, per cui non capiamo del tutto questo abbandono senza rimpianti dei 360° a favore dei 270° (è successo, per esempio, passando dalla BMW F 800 GS alla F 850 GS, dalla Yamaha Super Ténéré 750 alla 1200, dalla Triumph Bonneville T100 ad aria a quella ad acqua). Attualmente le uniche moto nuove con perni di manovella a 360° sono le Benelli 500 Leoncino e TRK. Sulla nuova Interceptor troviamo anche l’iniezione elettronica Bosch al posto dei vecchi carburatori Amal Concentric da 30 mm, che venivano accusati di essere difficili da mettere a punto. Cambio a sei marce in blocco, frizione antisaltellamento e avviamento elettrico. Il serbatoio da 13,7 litri dell’attuale è una via di mezzo tra quello da 19 litri della vecchia Interceptor europea e quello da 9 della versione americana. Distribuzione monoalbero a 4 valvole per cilindro, più moderna delle aste e bilancieri, ma meno spinta di quella bialbero, proprio perché non si voleva fare una moto sportiva. Il freno anteriore a disco ha ben 320 mm di diametro e l'impianto ABS è Bosch.

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Enfield: figlia dei nostri tempi

Il risultato è una moto moderna e ben fatta, molto piacevole da guidare, che però fa comprensibilmente storcere il naso agli amanti delle moto inglesi dei tempi che furono. A costoro non importa nulla che quelle vibravano fino a farti staccare le otturazioni e questa no: sono le sensazioni, che ricercano. Inoltre quelle erano tutte di metallo, questa scende a compromessi per contenere il costo e così abbiamo parafanghi di plastica e alcuni particolari economici o poco vintage. Le moto "pos British" che più ricordano il passato sono le Kawasaki W, soprattutto la 650: corsa lunga e imbiellaggio a 360°. Ma, se non siete fanatici di vecchie moto britanniche, ma solo simpatizzanti, questo è proprio un bell'oggettino, con la possibilità di poter scegliere tra sei colori del serbatoio. Siamo stati fortunati: la Orange Crush era la nostra preferita ed è quella che ci è stata data in prova. Ci piacciono gli ammortizzatori con il serbatoio del gas separato color oro e i cerchi da 18" sia davanti sia dietro, come sulle stradali italiane degli anni 80 (la vecchia Interceptor aveva l'anteriore da 19" e la posteriore da 18").

1/12 Royal Enfield Interceptor 650 2019

Guzzi: country cittadina

Moto Guzzi, che per decenni ha sperimentato ogni genere di motore, da uno ad otto cilindri, nel '67 ha presentato la V7 con il V2 trasversale a 90° raffreddato ad aria e con trasmissione finale ad albero. Da allora, a parte qualche eccezione, le moto in gamma sono state solo così. In particolare, le V7 moderne derivano dalla V50 del 1977, dotata del motore "small block" con distribuzione ad aste e bilancieri e con 2 valvole per cilindro, oltre al telaio a doppia culla scomponibile e aperto posteriormente. L'evoluzione c'è stata, perché la V7 stesse al passo con i tempi, ma senza stravolgerne l'anima, perché sono molti i fedelissimi che la vogliono così. È stato fatto un grande passo in avanti, sul fronte della sicurezza, passando dalla V7 II alla V7 III, che ha l'ABS Continental e il controllo di trazione. La versione "Rough" viene definita country cittadina, nel senso che ha elementi estetici un po' campagnoli - le gomme da enduro stradale, i cerchi a raggi neri, la strumentazione con un solo strumento, i parafanghi in alluminio spazzolato naturale e i fianchetti in alluminio neri - che però fanno fare un figurone al bar. Esteticamente la troviamo strepitosa, sia per la sua finitura rough, sia per il suo essere Guzzi, con il motore che si pone al centro dell'attenzione. Tutto parte da lì.

1/12 Moto Guzzi V7 Rough 2019

Sempre diverse

Una si ispira alle inglesi degli anni Cinquanta, l'altra a se stessa: e anche usandole si notano pochi punti in comune. Con la Enfield si sta sopra, con la Guzzi dentro: sono gli effetti delle loro triangolazioni sella/manubrio/pedane. Se scendete dall'italiana, a confronto l'altra sembrerà una enduro, perché si sta più in alto e in posizione più eretta. Il piccolissimo cupolino devia l'aria sul petto, col curioso effetto di sentire più freddo se le temperature non sono ancora primaverili, come nei giorni del test. Sulla V7 si sta invece più infossati e anche sbilanciati all'indietro, quasi come su una custom e questa postura ci piace alle basse velocità, soprattutto negli zig-zag cittadini, dove la moto si trova particolarmente a proprio agio. La serie III rimedia a un difetto delle due serie che l'hanno preceduta, ovvero le pedane troppo alte. Qui sono più basse. Postura e gambe meno flesse si pagano, però, in autostrada (già a 100 km/h si fa fatica a resistere all'aria, perché le gambe non sono abbastanza arretrate da aiutare il busto a resistere alla pressione) e in curva (è facilissimo strisciare le pedane). Questa cosa di non riuscire a piegare più di tanto si scontra con uno dei suoi migliori pregi, ovvero la velocità con cui entra in curva: ha un avantreno più piantato e preciso rispetto alla Interceptor, ma è anche più maneggevole. È da quando Moto Guzzi ha rifatto la V7 che, nelle comparative, non c'è mai nessuna moto capace di entrare in curva velocemente e facilmente come lei, tranne la Ducati Scrambler 800. Per cui la Interceptor, che presa da sola va benissimo, a confronto con la Rough sembra meno agile, più pesante e più in difficoltà a stringere la traiettoria. Ma non è un suo demerito: è quell'altra che spicca. Quindi con la V7 si entra più in fretta, si gira più stretto... e poi si tocca con la pedana, per cui alla fine, sui percorsi di montagna, è la Enfield quella che scappa via. Anche perché entrano in scena le sospensioni: ci sarà un motivo se, nel corso degli anni, siamo passati dalla coppia di ammortizzatori laterali a quello centrale con leveraggi, e questo motivo sta nella progressione. I vecchi "stereo", che oggi si trovano solo sulle "vintage" per motivi estetici, se li vuoi un minimo confortevoli non sono in grado di assorbire le buche e gli avvallamenti presi in velocità e, tra le due moto, la V7 è quella messa peggio, pur avendo più escursione. Va subito a fondo corsa, poi ti spara in alto, mentre la schiena implora pietà. La Interceptor è decisamente più comoda.

1/12 Moto Guzzi V7 Rough vs Royal Enfield Interceptor 650 2019

Due bei motori

Anche riguardo ai motori siamo su pianeti diversi, ma non perché uno sia migliore dell'altro. I Guzzi sono unici al mondo e solo loro pulsano e suonano in quel modo. Come tutti i prodotti ad altissimo tasso di personalità, c'è chi li ama alla follia e chi li odia, senza via di mezzo. A noi piacciono fin dall'avviamento, quando l'albero motore longitudinale provoca i famosi scuotimenti laterali dovuti alla coppia di rovesciamento. Poi arrivano le pulsazioni, che adoriamo. Non tutte le V7 III sono uguali: la prima che abbiamo provato, nel 2015, aveva un leggero ritardo all'apertura del gas, mentre questa è perfetta, fluidissima fin dai 2.000 giri. Gode anche di 100 cc in più, rispetto alla concorrente, che si sentono fin dalla prima apertura in termini di tiro ai bassi regimi. Il nuovo 650 della Royal Enfield, però, è già nato bene ed è un gran bel motore, perché gira molto fluido fin dai 1.800 giri, senza incertezze, con suoni molto piacevoli di scarico e aspirazione. Non è pieno ai bassi come il Guzzi, ma allunga bene fino ai 6.000 giri, dopodiché si siede. Frizione dolce, cambio preciso e con poca corsa (anche la trasmissione della V7 non è male... per essere una Guzzi). Insomma, è un motore "bello", facile da usare, che mette subito a proprio agio e, anche se non è un mostro di potenza (45 CV all'albero), ha CV e coppia a sufficienza per andare ovunque.

In conclusione, si tratta di due prodotti ben definiti. La Moto Guzzi ci diverte molto di più come motore e come ciclistica (è una moto italiana e buon sangue non mente), esteticamente ci piace da morire, ma è faticosa in autostrada, piega poco in curva e ha una coppia di ammortizzatori sottodimensionati. L'altra è molto facile e piacevole da guidare, ha un bel sound e non soffre di difetti particolari, in più costa quasi 3.000 euro di meno.

1/12 Moto Guzzi V7 Rough 2019
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