Iniziamo dalla V7. Dato che la Stone l'abbiamo
provata in anteprima esclusiva qualche mese fa (
cliccate qui per acquistare il PDF completo della prova), e le versioni Special e Anniversario si differenziano solo nell’estetica, nei cerchi e nella sella, abbiamo deciso di concentrare il nostro test sulla Racer (
qui le foto della prova) che, a differenza delle sorelle si presenta con semi manubri, pedane arretrate regolabili ricavate dal pieno, perno di sterzo alleggerito, sella con gobba dal look monoposto (ma omologata per 2), aspetto sportiveggiante con tabelle portanumero e una coppia di ammortizzatori posteriori Öhlins, regolabili nel precarico molla e nell’idraulica in estensione e compressione.
Basta una rapida occhiata per notare che le qualità delle finiture è migliorata rispetto alla V7 II; bellissima ad esempio la sella con cuciture romboidali a vista, ma anche e il serbatoio satinato, con la fascia in pelle e l’aquila in “Rosso Corsa”, lo stesso colore che ritroviamo su telaio e forcellone. Si tratta di un richiamo esplicito alla prima serie di V7 Sport del 1971, soprannominata proprio “telaio rosso”. Oltre al colpo d’occhio, appena si sale in sella ci si rende immediatamente conto di trovarsi a che fare con una moto dalla posizione di guida completamente diversa rispetto alle sorelle. I semimanubri, bassi e lontani, e le pedane, tanto arretrate, obbligano il pilota a tenere il busto molto inclinato in avanti, con le braccia ad abbracciare il serbatoio come sulle sportive anni ‘80. Ci si ritrova quindi in una posizione caricata sui polsi, ma non estrema come quella di alcune “racer” che ci è capitato di provare di recente; una posizione sopportabile anche per molti chilometri. In più, il fatto di aver i piedi in posizione arretrata allontana le ginocchia dagli incavi del serbatoio, così anche i più alti hanno più spazio per le gambe.
Con la sua posizione così caricata in avanti, la Racer vuole una guida fisica, ama essere buttata in piega con il peso del corpo e una volta impostata la traiettoria offre un’ottima sensazione di controllo. Non è un fulmine tra le curve, ama piuttosto una guida rotonda, lineare, morbida. Per via del doppio Öhlins posteriore l’assetto della moto è un po’ più rigido rispetto a quello delle sorelle, ma la capacità degli ammortizzatori di assorbire le buche è nettamente migliore rispetto ai Kayaba delle sorelle e ciò fa ovviamente aumentare il comfort generale di marcia. Peccato che la forcella non sia all’altezza del posteriore e le buche più profonde si trasformano in un duro colpo sui polsi del pilota.