Quando venne presentata, nel 2015, la Leoncino 500 venne interpretata come un’alternativa meno costosa della Ducati Scrambler 400. Ma sarebbe un errore pensare che questa 250 appartenga a quella categoria, se la vostra idea di scrambler è che debba avere un’estetica anni Sessanta, una postura eretta con le gambe abbastanza avanzate, la ruota anteriore da 19” e un motore poco grintoso. Qui abbiamo una posizione di guida “sportiva”, con manubrio da enduro piuttosto basso e pedane molto arretrate, una ciclistica svelta con cerchi a razze da 17” anche davanti e un motore che, per essere un mono di soli 250 cc non troppo spinto, gira davvero bene. Si tratta di un bialbero a quattro valvole che non ha quella fase “morta” tipica di molti suoi colleghi di pari cilindrata che, aprendo il gas intorno ai 3.000 giri, sembra che dicano: “No, dai, oggi non ho voglia” e che si svegliano verso i 5/6.000. Sale invece volentieri di giri, con un bel timbro di scarico. La potenza limitata istiga a tirare le marce. La ciclistica agile ma precisa invoglia a fare dei bei piegoni. Si va a caccia di strade mosse, con tante curve. Se ce la facessero guidare bendati, la scambieremmo per una motard. Però non ne ha l’aspetto: a parte la Husqvarna 401 Svartpilen, in giro non c’è niente che somigli alle sorelle Leoncino. Rispetto alla 500 l’estetica è molto simile: disegnata da Stefano Casanova, riproduce l'arco romano nel serbatoio, nel faro anteriore, nelle frecce, nella chiave di avviamento, persino nella coda e nella criniera del leoncino fissato sul parafango anteriore, ma non nella strumentazione, che qui ha un aspetto tradizionale e che, tra l’altro, non accusa la scarsa leggibilità in pieno sole della sorella. Da lontano le due Leoncino sembrano uguali, in realtà ci sono profonde differenze perché la piccola ha linee rette dove l’altra le ha curve (telaio, fianchetti). Anche i serbatoi sono diversi, pur avendo la stessa capacità (intorno ai 12,5 l): sulla 250 è leggermente più squadrato. Il nome “Leoncino” e il piccolo animale sul parafan go anteriore sono richiami alla moto che permise a Benelli di uscire dalla crisi del dopoguerra, quando i tedeschi devastarono la fabbrica. Era una 125 cc, prodotta sia con motore a due tempi sia a quattro, che è stata prodotta dal 1951 al 1972 (in particolare, Casanova ha studiato la versione del ‘56). Era una moto popolare, robusta, che veniva impiegata anche in gara, nelle maratone tipo Milano-Taranto o Motogiro d’Italia (che Leopoldo Tartarini, quello della Italjet, vinse con questa moto proprio nel 1954). In Benelli stanno tentando un’operazione simile, in chiave moderna: creare una linea di moto da 125 a 800 cc dalla linea accattivante, divertenti da guidare e parche come prezzi di acquisto e manutenzione. Rispetto alla 500 la 250 ha, ovviamente, tanta birra di meno, ma è anche più leggera di quasi mezzo quintale. Le 250 monocilindriche sono le sole Benelli a non pesare sopra la media (la BN300 bicilindrica, che costa mille euro in più e va più forte, sfiora i 200 kg a secco!). Come è lecito aspettarsi la 500 è più veloce in rettilineo, ma è impressionante quanto l’altra sia più maneggevole, in virtù di quei 50 kg in meno, anche se entrambe hanno selle e baricentri bassi. Geometricamente parlando, sulla “piccola” l’interasse è più corto (1.380 mm al posto di 1.460) e, per recuperare stabilità, lo sterzo è più aperto (da 23° si passa a 26°) e l’avancorsa è maggiore (93 mm anziché 89,5). Persino le selle non sono uguali: quella della 250 è meno imbottita e ha un rivestimento più liscio. Anche qui, come sulla sorella maggiore, il passeggero ha poco spazio. Al posto di un doppio disco con pinze radiali abbiamo un disco singolo con pinze “normali”, sia pure a quattro pistoncini. L’ABS non si può escludere, come del resto sulle ultime versioni della 500 base (sulla Trail, per ora, si può ancora), a causa delle recenti normative. Forcella e monoammortizzatore sono più semplici, privi di regolazioni a parte quella del precarico del mono. A parte la leva del freno posteriore (brutta da guardare e con una corsa della leva troppo lunga) e qualche altra sbavatura, la moto è fatta bene, piena di particolari curati (la compreremmo solo per com’è fatto quel leoncino stilizzato sul parafango anteriore) ed è caratterizzata da una notevole omogeneità estetica ovunque la si guardi. Ci sono particolari economici, ci mancherebbe, come le leve al manubrio e i blocchetti elettrici, però tutto funziona bene e la sensazione è di essere in sella a un prodotto solido e maturo. Tanto per dire, ci sono tante moto che stanno in equilibrio precario sulla stampella laterale, che può risultare troppo corta, troppo lunga, troppo verticale. Qua invece la moto è bella stabile, anche a motore acceso. Oppure guardate dove è stato messo il regolatore di tensione: è un accessorio che non viene mai valorizzato e che viene nascosto, ma non troppo perché deve stare al fresco. In questo caso è stato usato come elemento estetico, incastonato nel telaio subito dietro all’aletta del radiatore.