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di Mario Ciaccia
14 September 2023

MotoGP: un tempo Pedrosa correva, oggi ci manda in confusione

La domanda che tutti si pongono: ma uno così perché è stato mandato via dalla Honda? E perché un trentottenne che corre una volta ogni tanto va così forte?

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Iniziamo però col dire una cosa: il tizio lì per terra, con una moto sopra le gambe, sei giorni dopo quel disastro è salito sul podio di Misano. E lo ha rifatto il giorno dopo.

Ci abbiamo messo pochissimo a passare dallo shock "effetto Simoncelli" al gioire per vedere Bagnaia due volte sul podio, come se nel week end precedente non fosse successo niente. Questi piloti sono allucinanti. Pecco, poi... Fuori dalla moto sembra quasi un ragioniere, ma i ragionieri, dopo che hanno rischiato la vita, non tornano a lottare per la vittoria senza alcun timore. Pensate solo al fatto che, a Barcellona, è caduto senza sapere perché. Quando un motociclista cade senza aspettarselo, ci mette parecchio prima di tornare a fidarsi. Bagnaia è mostruoso proprio per questo motivo: perché non sembra un pazzo incosciente, ma è uno che vince il Mondiale più tosto sembrando il vicino di casa gentile, quello che ti presta il sale quando rimani senza. Invece Bezzecchi lo associo alla gioia di vivere tipica della riviera romagnola, quella delle immense spiagge di sabbia, delle piadine, del tirare tardi per il semplice piacere di chiacchierare con gli amici. Il circuito di Misano è questa cosa e Marco me ne sembra il più degno rappresentante. Anche lui è stato eroico, arrivando due volte secondo nonostante i postumi della caduta della domenica precedente.

Eppure...

Eppure, nonostante fossero italiani e nonostante trovassi incredibile ed eroico che i due riuscissero a salire sul podio già a Misano, a essere onesto m'è venuto da tifare più per un pilota spagnolo che per loro. A me piacciono le Storie con la S maiuscola, tipo Hailwood che torna a vincere al TT a 38 anni, dieci anni dopo avere mollato il Motomondiale. Quindi vedere Pedrosa salire sul podio a praticamente 38 anni, cinque dopo il ritiro, sarebbe stata una Storia. Quinto in prova, quarto nella Sprint, quarto la domenica: impressionante. E quei quarti posti li ha ottenuti a ridosso di Bagnaia in entrambe le gare. Per un destino beffardo, adesso in classifica Pedrosa si trova al diciottesimo posto, una posizione e un punto davanti a Marc Marquez, l'ingombrante compagno di squadra ai tempi del suo ritiro. Anche se adesso sembrano amici, tanto che Dani lo ha tirato durante le prove, permettendogli il miracolo di entrare nella top ten con una Honda 2023!

Piccolo di statura (158 cm) e dotato di una guida sopraffina, Daniel ha militato nel Mondiale per ben 18 anni, sempre in sella a moto Honda. Detiene tre record: è il più giovane ad avere vinto due titoli consecutivi in 250; è l'unico ad essere riuscito a vincere almeno una gara all'anno in un arco di 16 anni; e, con 31 vittorie, è il più vincente tra coloro che non hanno mai vinto un titolo nella classe regina (quindi compresa la 500). Inoltre, con 153 podi è terzo nella classifica di tutte le classi, con un podio in più rispetto a Jorge Lorenzo e sei in meno nei confronti di Giacomo Agostini. A Misano 2023 ha rischiato di portare a quattro questo distacco!

Ha esordito nel 2001 e ha gareggiato in Moto3 per tre anni, vincendo otto GP e un titolo iridato. Nel biennio 2004/2005 ha corso in 250, vincendo il titolo in entrambe le stagioni, con 15 primi posti.

Ha esordito in MotoGP nel 2006, vincendo due gare ma rischiando di passare alla Storia per avere abbattuto il compagno di squadra Nicky Hayden mentre si giocava il titolo iridato con Valentino Rossi.

Protetto e sostenuto dal suo manager Alberto Puig, Dani è diventato il riferimento della Honda che, nel 2007, ha affidato soprattutto a lui lo sviluppo della RC212V da 800 cc. 

Nonostante riuscisse a vincere almeno un paio di gare all'anno, con una punta di sette nel 2012, non è mai riuscito a far suo un titolo iridato nella classe regina, vittima soprattutto del suo fisico esile, facilmente incline alle fratture. Inoltre s'è trovato in squadra due fenomeni come Casey Stoner e Marc Marquez. Nel 2011 ha terminato soltanto al quarto posto, dietro ai compagni di squadra Stoner (primo) e Dovizioso (terzo), anche a causa del famoso contatto con Simoncelli, che lo fece cadere, procurandogli una frattura e facendogli saltare tre GP. Nel 2013, dopo 14 anni, s'è separato dallo storico manager Alberto Puig, ma se l'è ritrovato in seguito come direttore della HRC. E nel 2018, primo anno di Pedrosa senza vittorie, Puig ha deciso di liberarsi di lui, prima come pilota, poi come collaudatore, nonostante Dani si fosse offerto.

Dani nel 2018 ad Aragon, suo ultimo anno nel Mondiale... a tempo pieno.

Ora, visto il disastro attuale delle Honda, come si fa a non pensare che Puig abbia commesso non uno, ma due spaventosi errori? Pedrosa è stato ingaggiato come collaudatore da KTM ed è impossibile non pensare che sia anche merito suo se, oggi, le moto austriache sono nettamente migliori delle Honda. Ma com'è possibile che, a Misano, Pedrosa sia stato il migliore tra tutti i piloti KTM?

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Già! Com'è possibile?

Va detto che, una volta uscito dal Mondiale, a 33 anni, Dani non ha appeso il casco al chiodo, come hanno fatto i suoi rivali diretti. Come collaudatore di punta di KTM s'è mantenuto in forma ed ha continuato a guidare al limite le MotoGP, adeguandosi alla nuova guida, più fisica e faticosa, imposta sia dagli aumenti delle potenze, sia dalle appendici aerodinamiche, che migliorano la stabilità a scapito della maneggevolezza. Resta però il fatto che un collaudatore di 38 anni non ha la stessa freschezza fisica e la stessa dimestichezza con la bagarre di un ventiquattrenne, tanto più che, ai tempi di Dani, le Sprint non esistevano. A Misano ha raccontato che adesso capisce la grandezza di Rossi e Capirossi, capaci di vincere la loro ultima gara a 38 anni. "Ai tempi ero giovane e non mi rendevo conto di quanto fossero vecchi". C'è chi afferma che i risultati di Misano (ma anche il sesto e settimo di Jerez, pochi mesi fa) siano la prova che la generazione dei cinque fenomeni - Rossi, Lorenzo, Stoner, Pedrosa e Marquez - fosse superiore a quella attuale. Però, se così fosse, perché Dani nel 2018 arrivò soltanto undicesimo, preceduto da piloti che corrono ancora adesso (Marquez, Viñales, Rins, Zarco) e da Valentino Rossi, che ha continuato a correre fino al 2021, andando però sempre meno veloce? Probabilmente la spiegazione sta nel fatto che una wild card può permettersi di vivere la gara con meno stress di quando corre la stagione intera. Ci arriva concentrato al massimo, con una fame pazzesca e nessuna pressione. Altrimenti non si spiegherebbero risultati quanto meno inaspettati da parte di altre wild card.

Troy Bayliss a Jerez, nel 2006.

L'australiano è, forse, l'unico pilota ad avere vinto la sua prima gara, in MotoGP, in occasione dell'ultima della sua vita. Dopo tre stagioni ad alto livello in Superbike, con la Ducati, che gli avevano fruttato un titolo iridato, Troy approdò in MotoGP nel 2003, con l'onore di portare al debutto la prima Desmosedici, insieme a Loris Capirossi. Disputò una grande stagione, ottenendo tre terzi posti e un sesto finale ma, nel 2004, non si adattò a una Ducati che era stata modificata in maniera piuttosto radicale. Finiva sempre per terra, si ritirò otto volte e colse un solo podio, per cui venne licenziato e, nel 2005, passò alla Honda cinque cilindri che, in quel periodo, era la moto da battere. Ma lui ci si trovò male. Non riuscì mai a fare meglio del sesto posto e, a fine stagione, dovette emigrare in Superbike, di nuovo tra le file della Ducati. Lì gli tornò il buonumore, perché vinse il titolo 2006. Per premiarlo, Ducati gli offrì di correre l'ultima tappa della MotoGP di quell'anno, a Jerez. Una gara di estremo interesse, dove Rossi cadde e Hayden vinse il titolo. Nessuno dava retta a Bayliss, che non aveva mai vinto in quella classe, non guidava una MotoGP da un anno e, soprattutto, una Desmosedici da due. Ma Troy prima ottenne la pole position, poi l'holeshot e quindi fece tutta la gara in testa, senza venire mai insidiato da quelli dietro. Una delle vittorie più perentorie e inaspettate della MotoGP.

Questo invece è Can Öncü, anche lui a Jerez, ma nel 2018.

Al turco era stata regalata quella gara, da KTM, come premio per avere vinto la Red Bull Rookies Cup. Non aveva mai gareggiato nel Mondiale, del resto era ancora giovanissimo. A Jerez pioveva e lui fece una gara incredibile, staccando tutti anni luce in una classe, la Moto3, dove i piloti arrivano quasi sempre in volata. Nel finale rallentò vistosamente e concluse, in ogni caso, con 4" di vantaggio sul secondo, ottenendo il record di giovinezza tra i vincitori di un GP: 15 anni, 3 mesi e 23 giorni. Tutti pensarono che fosse arrivato il nuovo Marquez e KTM lo ingaggiò per correre a tempo pieno nel 2019, ma la magia era già finita: Öncü, nel corso dell'intera stagione, non è mai riuscito a entrare nei primi dieci, tanto da non trovare più un ingaggio per il 2020, anno in cui ha ripiegato nella Supersport. Cos'è successo a Jerez, quando ha vinto? Probabilmente fa parte di quella categoria di gare sul bagnato in cui un outsider fa la differenza per un motivo molto banale: non solo ha delle doti naturali, ma ha anche meno esperienza degli altri, quindi è più incosciente, in più sa che non ha niente da perdere visto che non sta lottando per il titolo, per cui rischia di più. Vengono in mente imprese simili disputate in passato da Ruggia (Belgio 1990), Jacque (Cina 2005), Miller (Assen 2016). Fa impressione che Öncü, quando vinse quella gara, si mise dietro gente che oggi corre in MotoGP, basti pensare che il Campionato Mondiale 2018 della Moto3 è stato conquistato da Jorge Martin, davanti a Fabio Di Giannantonio, Marco Bezzecchi ed Enea Bastianini!

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Cambiando completamente argomento: bella la storia di Giulio Maceroni, il chitarrista che, per la seconda volta in carriera, ha avuto l'onore di poter suonare l'inno nazionale italiano - e quello di San Marino - al via della gara della domenica, mentre le Frecce Tricolori gli passavano sulla testa. Da brividi. Questa volta ha condiviso l'esperienza con Alberta Saccani degli Jbees.

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