La Yamaha R1 che trovate a pag. 78 (riferimento al numero di Ottobre 2019) è la prima moto Euro 5 che guidiamo. Ci siamo saliti in sella a Jerez, rapportandoci a questa belva da 300 km/h con una trepidazione insolita. Niente smania da cordolo. Piuttosto la preoccupazione che la norma antinquinamento in vigore dal 1° gennaio 2020 avrebbe potuto compromettere il gusto di guida. Timore fugato al primo rettilineo, dove abbiamo riassaporato i 200 CV purosangue di sempre. Questo approccio eco-sensibile mi ha riportato indietro al 2003-2006-2016, quando debuttarono fra mille preoccupazioni (anche mie) le Euro 2, Euro 3 e poi Euro 4. Invece le normative che negli anni hanno disciplinato la pulizia di scarico ci hanno ricordato, ogni volta con maggiore convincimento, che i legislatori corrono veloci ma gli ingegneri sanno tenere il passo. Non a caso sentiamo parlare da tempo di modelli in commercio già “Euro 5 ready”. Penso tuttavia che la lenta stratificazione delle norme antinquinamento, a partire dalla Euro 1 del 1999, ci abbia dato il tempo di assimilare un cambiamento in realtà più grande di come lo percepiamo oggi. Se riavvolgiamo il nastro degli ultimi vent’anni, ci accorgiamo che la moto ha perso via via un po’ della sua essenza: semplicità, leggerezza, spazi vuoti per “guardarla attraverso”. Tutto questo ce lo racconta bene il duello di pag. 120 (Ottobre 2019) fra la Monster e la lontana discendente della Hornet. A fine anni 90, in un’altra era geologica, queste due icone del minimalismo pesavano 6 kg meno e, nel caso della Honda, avevano più brio nonostante una cilindrata inferiore. Visto lo straordinario progresso di cui è stata ed è capace la nostra industria, mi domando dove saremmo oggi senza le costrizioni della Euro 5. Qualcuno direbbe inquinati e contenti. La verità è che le nostre moto sono diventate meravigliose creature inzeppate di centraline, sensori, materiale fonoassorbente e acciai sempre più spessi e pesanti perché ultraresistenti al calore emesso da catalizzatori ogni anno più grandi e roventi (toccano gli 800 °C). E la Euro 5+ in arrivo il 1° gennaio 2024 complicherà ulteriormente la faccenda (Ottobre 2019 - pag. 22). Letta la norma, ho provato a immaginare la moto da qui ai prossimi 5 anni. La sfida più grande sarà l’abbattimento del rumore, e segnali di attenzione al tema già ce li danno i primi “velox acustici” (Ottobre 2019 - pag. 16). Per scendere dall’attuale soglia di 77 dB fino ai presunti 75-76, in molti casi si dovrà lavorare sugli organi interni o magari fare rinunce come... i clin clin clin della frizione Ducati (che musica!). Occorrerà “insonorizzare” il rotolamento delle gomme e il trascinamento della trasmissione finale. E le due principali casse acustiche della moto (aspirazione e scarico) saranno sempre più voluminose per smorzare le onde di pressione: quanto sarà difficile disegnare moto belle? E quanto saranno intriganti moto sempre più afone? Presumibilmente ci sarà una maggiore diffusione della carenatura, barriera per così dire naturale ai decibel. Con buona pace degli amanti di naked e offroad. O magari davvero si viaggerà elettrico. Qualunque strada si prenda, di certo registreremo un’impennata dei costi. Sofisticati software e hardware obbligati per legge a monitorare le emissioni inquinanti, segnalando in tempo reale eventuali anomalie (OBD2), potrebbero depauperare il consumatore finale ma anche le piccole Case, che in assenza di R&D qualificate dovranno necessariamente affidarsi a fornitori specializzati come Marelli, Bosch, Continental. Senza contare quant’è difficile e costoso progettare un motore davvero efficiente, ovvero capace di consumare -e quindi inquinare- poco per la capacità di trasformare senza sprechi la combustione in energia. Non a caso la nuova Africa Twin cresce nella potenza e nella cilindrata ma dichiara consumi inferiori (Ottobre 2019 - pag. 28). Tutto questo è facile se ti chiami Honda come anche BMW, Ducati, Kawasaki, Suzuki, Yamaha. Guarda caso le uniche Case con la fasatura variabile nella produzione di serie, a tutto vantaggio della “ampiezza” di utilizzo motore ma anche del rispetto dei parametri Euro 5. Sia ben chiaro: nei prossimi anni non moriranno i 2T e neppure i motori ad aria, ma le varie TM, Beta, Morini, SWM sono chiamate alla sfida più difficile. Queste considerazioni ci fanno capire una verità semplice semplice: non si risolve il problema dell’inquinamento con la sola bandiera intellettuale della sostenibilità o con la condanna sommaria del progresso inteso come moto, macchina, aereo. Occorre “imporre” investimenti non più grandi della capacità dell’industria di sostenerli.