Statistiche web

MV Agusta 166 Arno GT: cilindrata letale

In tempi di grande crisi di mercato, la MV è fra le poche a proporre un nuovo modello al Salone di Milano del 1963. È una bella sportiva bicilindrica dall’insolita cilindrata di 166 cc. Il progetto sarà tuttavia fermato e ripensato: il mercato chiede cilindrate maggiori e la Casa lombarda si adegua con la 250 Bicilindrica
1/30 MV Agusta 166 Arno GT 1963
I primi anni Sessanta sono davvero duri per la motocicletta. L’industria automobilistica, sostenuta ampiamente dal Governo, sferra il suo micidiale attacco che è fatto anche di una campagna denigratoria. Sul primo fascicolo del 1964, Motociclismo offre un editoriale intitolato “Il 1964 deve essere l’anno della riscossa” che inquadra bene il brutto momento:

“Un bell’augurio innanzi tutto ai nostri governanti, che si rendano finalmente conto - e sarà sempre tardi - che i motociclisti non sono dei pirati, dei delinquenti, dei malfattori, dei teddy-boys, ma degli onesti lavoratori, dei bravi padri di famiglia, dei laboriosi giovani, che sono stanchi di vedersi continuamente guardati con sospetto, con diffidenza, con occhio accusatore, da un’opinione pubblica assurdamente alimentata dai pregiudizi e dai preconcetti che non sono degni di una collettività civile... Se i nostri uomini di governo si decidessero a considerare il motociclismo con larghezza di veduta guardando soprattutto a un domani abbastanza prossimo, potrebbero contribuire a risolvere il sempre più assillante problema della circolazione nei centri urbani.... Un fervido augurio all’industria motociclistica. Che si stringa in intelligenti alleanze, che unisca gli sforzi, per diffondere, per propagandare il mezzo a due ruote, trovando se necessario nuove soluzioni tecniche in vista di problemi della circolazione e, soprattutto, aiutando i giovani a rivolgersi alle due ruote, facilitandoli in tutti i modi..., così da rendere sempre più alla portata di tutti il motoveicolo... E un augurio ai nostri giovani. Che si accorgano che la motocicletta esiste e che è bella, pratica, divertente. Lo studentello che aspira all’automobile, ma incontra la resistenza logica del padre perché la macchina costa un pozzo di quattrini, se si rivolgesse alla motocicletta, allo scooter, al ciclomotore, probabilmente l’otterrebbe, perché costa una inezia, in rapporto alle quattro ruote, e poche lire come costo di esercizio. E così l’operaio che deve viaggiare in tram o in treno, mentre con le due ruote potrebbe spostarsi rapidamente, comodamente, a tutte le ore, e per di più avere a disposizione un mezzo dilettevole per la passeggiata con la ragazza, con la moglie, con l’amico, nelle sacrosante ore di riposo settimanale. Il 1964 deve essere l’anno della riscossa motociclistica. Deve essere l’anno in cui la motocicletta, lo scooter e il ciclomotore, debbono dimostrare che sono il toccasana di molti mali della nostra circolazione stradale; debbono dimostrare che sono mezzi vivi, vitali, perfettamente idonei alle esigenze pratiche e psicologiche del nostro tempo.”
Non è quindi un bel momento, ma la rivista cerca come sempre di essere propositiva. Purtroppo la crisi ha portato la nostra industria ad arroccarsi nel tentativo di difendere le posizioni (o quantomeno di limitare il più possibile i danni). Molti e importanti Costruttori saranno costretti a chiudere, come la Bianchi, altri arriveranno ad un passo dalla fine, vedi la Moto Guzzi. Il Salone della moto di Milano che si è da poco concluso e che proprio sul n° 1 del 1964 Motociclismo descrive ampiamente, è davvero lo specchio dei tempi e rende palese quanto l’industria sia debole e spesso incapace di reagire di fronte al crollo delle immatricolazioni che, escludendo gli scooter, sono “scivolate” a 59.346 quando, solo tre anni prima, nel 1960, erano 131.561. Sarà un tonfo pazzesco se pensiamo che nel 1967 si toccherà il minimo, con appena 14.851 motociclette immatricolate! Il Salone, che Motociclismo definisce come “il festival delle 50 cc”, non è di quelli che ovviamente passeranno alla storia. Pochissime le novità “targate”, anzi la rivista scrive testualmente: “... le uniche vere novità esposte al Salone nel campo delle motociclette sono la MV 160 bicilindrica, la Laverda 200 Sport, ricca di interessanti dettagli e con importanti innovazioni rispetto alla consorella turistica (ad esempio le manovelle a 180°) e il modello Mach 250 della Ducati, macchina di caratteristiche e prestazioni veramente sportive.” “Circondata dal mistero fino all’ultimo momento e presentata a Salone già aperto con una cerimonia alquanto spettacolare” - scrive Motociclismo - la nuova bicilindrica dimostra che la MV Agusta è una delle poche Case che ha voglia e capacità per reagire al momento storico che abbiamo illustrato. Battezzata Arno porta come “sottotitolo” Gran Turismo, ma di questo genere di moto non ha nulla perché si tratta in effetti di una sportiva. Comunque si evita di usare, quantomeno, le poco comprensibili sigle che hanno accompagnato le 175 (CS, CSTL, CSTEL...) e 125 (TR, TRE, TREL, TRL, TRA).
La cerimonia ricordata da Motociclismo, e che riusciamo a mostravi in alcune fotografie che gentilmente il Museo Agusta ci ha concesso, è sorprendente. Quando apre il Salone allo stand è presente un grande punto di domanda con un cartello che annuncia una novità senza anticipare alcuna informazione. Solo il giorno dopo l’oggetto misterioso viene esposto, alla presenza di tutta la stampa, con il Conte Domenico Agusta a far gli onori di casa. Tolto il velo si mostra una moto accattivante nella linea e per di più dotata di un motore bicilindrico, frazionamento che troviamo solo su altri due modelli nazionali, la Laverda 200 e la Gilera 300. Nelle intenzioni della MV Agusta, l’Arno deve conquistarsi un posto nella nicchia delle moto sportive e far da traino al resto della gamma. Del resto c’è assoluto bisogno di fermare l’emorragia che sta riducendo sempre più le vendite, come evidenziato dalle immatricolazioni: nel 1962 le MV consegnate ai clienti sono state 5.308, ma l’anno successivo sono scese a 3.399. Entriamo un po’ nei dettagli di questa novità, iniziando dalla ciclistica. Il telaio con la parte posteriore per gran parte in lamiera stampata - soluzione tipica per la Casa di Verghera - è del tipo monotrave aperto (inedito per la MV) in tubo di acciaio, abbinato a sospensioni Ceriani, generosi freni a tamburo della Grimeca e ruote da 18”. L’estetica è fortemente caratterizzata dalla curiosa forma del serbatoio ovoidale che è verniciato in argento scuro con fregi rossi, coordinato con una stretta sella Radaelli che ha un accenno di codino e il manubrio moderatamente basso in due pezzi. Scenografiche sono anche le due marmitte a sigaro (inedite anche queste per la MV), mentre rientrano nella tradizione della Casa le due borsette laterali di forma triangolare con angoli arrotondati.
Il motore nasce su un nuovo basamento per forma solo simile a quello dei 125-150 cc, con il coperchio della primaria (lato sinistro) personalizzato dal rigonfiamento per la frizione. L’albero motore ha le manovelle a 360°, teste e cilindri (separati) sono in alluminio e all’interno scorrono due pistoni leggermente bombati (sono gli stessi del modello Checca 83). La distribuzione presenta l’asse a camme nel basamento che aziona tramite aste e bilancieri due valvole per cilindro inclinate. Le candele sono in zona posteriore, ma non così “nascoste” dal flusso d’aria come sulla Laverda 200. All’alimentazione provvedono due carburatori Dell’Orto da 16 mm con un’unica vaschetta centrale e condotti paralleli al terreno. Concludono il quadro tecnico la frizione multidisco in bagno d’olio e il cambio a quattro marce (ripresi dal motore 125, al pari della pompa dell’olio). Le prestazioni dichiarate sono “stuzzicanti”: 12 CV e 122 km/h sono superiori a quelle di molte 175 monocilindriche, ma un po’ distanti dalle moto di cilindrata di poco maggiore: 18 CV per la Ducati Elite 200, 16 CV per la Laverda 200 Sport (che non però andrà in produzione), 14 CV per la MotoBi Sprite 200. Bisogna a questo punto aggiungere una considerazione. La cilindrata di 166 cc è anomala per il mercato, si potrebbe dire “nè carne nè pesce”. Finora le 4 tempi erano suddivise nelle classiche cilindrate di 125, 150 e 175 cc, ma la crisi del mercato ha rotto questi equilibri. Come sottolinea Motociclismo del servizio dedicato al Salone del 1963, “cresce l’offerta di 125 sportive, ma si nota un certo abbandono delle 175 per portarsi sul limite dei 200 e anche 250 cc, ottenendo dei motori che in effetti non costano molto di più ma in compenso consentono prestazioni maggiori senza esaperare eccessivamente le condizioni di funzionamento. Tipiche di questa tendenza la MotoBi Sprite e la nuova Gilera 175 Super che in effetti è una 202 cc e altre, che vanno ad aggiungersi alle già conosciute Moto Guzzi Lodola 235, Laverda 200 e Aermacchi 250”.
Pressoché sparite dal mercato le 150 cc. Ad ogni modo in MV il progetto va avanti nell’ultima fase di messa a punto. Infatti, nel corso del 1963 sono stati realizzati cinque motori, due per le prove al banco e tre montati su motociclette complete destinate alle prove su strada che iniziano nel 1964. Viene pure fissato il prezzo in 246.000 lire, analogo a quello delle 175 allora in commercio. Tutto sembra filare liscio, ma improvviso arriva lo stop e non è dovuto a motivazioni tecniche, bensì commerciali. Infatti in MV decidono di seguire il nuovo orientamento, di provare a stimolare le vendite con nuovi prodotti in segmenti di mercato più attraenti. Il cambio di rotta lo si vede già al Salone di Milano del 1965, che al contrario del precedente, dimostra il concreto desiderio di tanti Costruttori di risalire la china. Non è un caso che ci siano parecchie novità: la Gilera presenta la 124 5V, la Laverda svela una 125 a 4 tempi e la Moto Morini la Settebello GI 250. Ancora di 250 cc sono tre nuove Benelli/MotoBi (una a cilindro verticale, le altre con il tipico motore a “uovo”) e la Moto Guzzi Lodola Sport (che purtroppo non andrà in produzione). E poi ecco le prime maxi-moto italiane: Moto Guzzi V7 700, MV Agusta 600 a 4 cilindri e la Italjet Grifon 500 a motore Triumph. Proprio la Casa di Verghera dimostra una notevole dinamicità. Perché oltre all’imponente 600, propone due nuove versioni del Liberty 50 a 4 tempi, il Super Sport e l’America, mentre di 125 cc sono la GTL (Gran Turismo Lusso, con cambio a 5 marce), la Scrambler e la Regolarità. E nonostante i riflettori siano puntati tutti sulla pluricilindrica 600, non passa certo inosservata l’altra grande novità della MV, la 250 Bicilindrica, presentata a sorpresa e con la stessa modalità dell’Arno e dalla quale riprende il telaio e il basamento motore. Una moto che richiederà tempo (tre anni) e rifacimenti (il motore) prima di arrivare alla produzione nel 1968, ma che avrà il merito di introdurre la MV nelle medie cilindrate e di rappresentare la metà delle sue vendite in Italia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA