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Vincent Quadrophenia: brit rock

Si chiama come il mitico album degli Who, perché questa special suona ed emoziona come un concerto rock. Dettagli curatissimi fanno da cornice a un monumentale V-Twin che una volta era un... monocilindrico del 1951
1/21 Vincent Quadrophenia
Metti di esserti innamorato di una Vincent Black Shadow, bicilindrica di 1.000 cc degli anni Quaranta, capace di toccare la strabiliante vetta dei 200 km/h (il che la rendeva la moto più veloce della sua epoca). Comprensibile: è una delle moto inglesi più affascinanti e sofisticate del secondo dopoguerra. Ma riuscire a mettersela nel garage è tutta un'altra questione, data la rarità dell'oggetto e le sue quotazioni folli. Più abbordabile sarebbe una Comet, altrettanto invitante monocilindrica 500 sua coeva... Inizia così la genesi della special di queste pagine, ovvero con una Vincent Comet del 1951 trovata in Svezia e portata in Italia. Capita però che il felice acquirente, Stefano Martinelli, sia anche la mente creativa di PDF Motociclette, officina specializzata in trasformazioni - specie di sapore vintage - di Bergamo. Mantenere la vecchia inglese di serie è un'opzione nemmeno presa in considerazione: sarà trasformata in café racer. E dovrà avere due cilindri.

Tre anni di lavoro

Il titoletto di questo paragrafo è uno spoiler, ma sta qui il succo di una delle elaborazioni più complesse che abbiamo presentato sulle pagine di Motociclismo. Artigianalità, ricerca, prove, pezzi unici realizzati appositamente: ci vuole tempo e perizia per certe cose. Partire dall'assunto che le Vincent Comet e Black Shadow condividessero una ciclistica praticamente identica non semplifica le cose. In ogni caso stiamo parlando di moto molto rare, soprattutto in Italia, e il reperimento dei componenti originali - o comunque adatti - è stata la parte più complessa del lavoro. Si ritorna allora in Svezia, da dove è arrivata la Comet. L'amico Giulio - ingegnere meccanico esperto conoscitore di quel Paese - recupera da un anziano appassionato i disegni originali del motore Vincent Black Shadow, con tutte le quote e le misure. Con quelli si ricostruiscono i carter in alluminio, fusi in terra in pezzo unico. Il cilindro anteriore è quello della Comet, quello posteriore, insieme alla biella, all'albero motore, asse a camme e bilancieri, arriva da un ricambista specializzato. Le valvole sono Manley. Dovendo rifare tutto, si utilizzano pistoni ad alta compressione con alesaggio maggiorato da 84 a 88 mm: ora la cilindrata totale arriva a 1.088 cc.
Gli scarichi, in acciaio inox, sono realizzati su misura e sono completati da terminali a tromboncino. Accendere questo motore scalciando sul kick-starter non è proprio l'operazione più semplice del mondo e potrebbe spaccare più di una caviglia: ecco allora un pratico motorino di avviamento calettato sulla primaria. Il cambio separato originale della Comet a quattro rapporti è sostituito con un più robusto Quaife a cinque marce. "Un motore che non esiste", lo definisce orgoglioso Stefano: in effetti un bicilindrico così è mai esistito e lo si può considerare a ragion veduta un vero pezzo unico. Per accrescere l'esclusività della Vincent, però, non è sufficiente. Un abile battilastra materializza i disegni e le idee di Stefano modellando lastre di ottone, che diventano così serbatoio e codino. Si segue la sagoma del telaio - monotrave superiore scatolato con funzione di serbatoio dell'olio - e dell'inesistente sostegno sella per realizzare qualcosa di unico, che conferisce a Quadrophenia un aspetto muscoloso ed elegante. Tocco finale: due placchette, sempre in ottone, recanti il logo Vincent, sono poste sui lati. Le ruote sono un'altra opera d'arte: ai mozzi originali sono abbinati dei cerchi in alluminio ricavati dal pieno a 80 raggi (privi di nippli) costruiti appositamente dallo specialista brianzolo JoNich Wheels. Su di essi sono calzati pneumatici moderni, ma con intaglio vintage, Dunlop Roadmaster nella misura 4.10-19" identica davanti e dietro (sulla Balck Shadow originale, l'anteriore era addirittura da 20"!).

Più che rock, è heavy metal

Una café racer come quelle di una volta - certo - con sella monoposto, ma discretamente accogliente, serbatoio chilometrico e manopole basse e lontane. Le pedane non sono troppo vicine, perciò la posizione non risulta sacrificata. Unico fastidio: gli ingombranti cornetti da cui respirano i carburatori, che interferiscono con ginocchio e polpaccio sinistro. Le sospensioni non aiutano a elevare il livello del comfort, perché hanno poca corsa e sono abbstanza rigide. Inoltre quella posteriore scarica le sue oscillazioni direttamente sul codino. Una soluzione tecnica ereditata dalla Vincent di serie da cui deriva, ma che già all'epoca non era apprezzatissima dai biker che amavano percorrere molti km... Lo sterzo è molto aperto, i cerchi hanno il diametro di una ruota panoramica e, non proprio leggeri con tutti quei raggi, generano una certa inerzia. Tuttavia l'interasse contenuto e il peso spostato sull'avantreno rendono la Quadrophenia, se non agilissima, almeno abbastanza maneggevole tra le curve. Certo, va guidata "di corpo", come richiedono le sportive d'un tempo, tuttavia è ben piantata quando si va forte, e sfodera una buona stabilità. I quattro freni a tamburo, freschi di restauro e ancora da rodare, non sono il massimo in quanto a potenza, ma sono ben dosabili. Ma tutto - anche l'erogazione non ancora a punto durante il nostro test - passa in secondo piano quando si accende il motore. Mai sentita una colonna sonora simile! I due scarichi separati cantano, anzi gridano una colonna sonora che, a essere sinceri, non ricorda affatto gli arrangiamenti dell'album degli Who del 1973: la voce roca, sferzante, rabbiosa del bicilindrico fa sembrare quella di Roger Dartley (il cantante della band inglese) come il sussurro di un usignolo, a confronto. Quadrophenia - la special, non il disco - ha già conquistato diversi podi nei contest cui ha partecipato e probabilmente continuerà a farlo. Usarla su strada? Al proprietario piacerebbe, ma sarà richiesto ancora tanto lavoro...

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