Otto stagioni son trascorse dal dì in cui la sorte ci recò a conoscenza di un curioso veicolo artigianale, realizzato dalla capricciosa unione di componenti della più disparata derivazione e reso semovente dal motore agricolo stazionario dello storico marchio Slanzi. Invero certi che nessun altro ardito costruttore si potesse cimentare nuovamente in siffatta opera, veniamo smentiti visitando – al principio della trascorsa estate – l’area fieristica di Verona, allorché veniamo folgorati da un esemplare di fulgida apparenza e manuale costruzione.
Un veicolo di curatissimo aspetto ed esemplare eleganza di linea, razionalmente progettato e pur frutto di fantasiosa ingegnosità, giacché presenta soluzioni meccaniche di lodevole audacia. Per analizzarlo nel dettaglio e saggiarne le doti dinamiche, ci rechiamo là dove è nato, presso l’officina Plasmacustom: l’anglofona denominazione non tragga in inganno: essa è una artigianale realtà italica con sede nel cuore dell’industrioso Triveneto.
La strada che vi conduce dalla nostra redazione non presenta interesse turistico degno di nota, piana, piatta e polverosa com’è tra le praterie e i campi feraci che il Fiume sacro alla Patria irriga copiosamente. Ancora lontana è la prima festa dei colli e dei monti bellunesi, lassù verso settentrione, ed ecco Ponte di Piave. Il borgo ci accoglie in un canicolare meriggio di settembre che pare dar ragione all’asserito che vuole soppresse le mezze stagioni. L’antro della meccanica creatura è un antico casale dove opera Alessandro Rorato, giovane gagliardo e di spirito irrequieto, capace di investire il proprio tempo libero nella realizzazione delle sue brillanti visioni concretizzandole in machiavellici esercizi meccanici.
Ma veniamo alla speciale motocicletta: tale marchingegno è battezzato Fuìss, termine che in dialetto trevigiano nomina il furetto, bestiola invero leggera e furtiva. Fuìss, come soffio del vento, onomatopeicamente descrive il predatore delle praterie dedito a razzie e rapide fughe. In realtà lieve nel peso lo è, questa azzurra bicicletta motorizzata che grava la bilancia appena oltre il mezzo quintale, ma pur si rivela tutt’altro che scattante. Senza troppo soffermarci sull’appropriatezza del nome, lesti balziamo in sella stringendo l’esile e ampio manubrio tipo “filippina”, non prima di aver ricevuto dal costruttore precise istruzioni su come manovrare il mezzo. Un controllo al gigleur, si apre il rubinetto del carburante, s’aggiusta la leva dell’anticipo e, con deciso ma non eccessivamente vigoroso colpo di pedale, il motore prende vita. Si tratta di una macchina che ricalca lo stile in voga nel dopoguerra, di costruzione completamente artigianale. Il basamento è di un Lombardini di derivazione agricola, originariamente deputato a muovere pompe e irrigatori, e mantiene pistone e albero motore originali. Esso è uno dei pochi componenti acquistati: il resto è opera del nostro Alessandro.
Cilindro (in ghisa realizzato per fusione) e testa (quest’ultima ricavata dal pieno in alluminio) sono costruiti su misura e realizzano una cilindrata pari a 350 cc. Il singolare sistema a valvola esterna per l'aspirazione e interna per lo scarico è definito IOE, sigla anglosassone che sta a significare Intake Over Exhaust, un tipo di distribuzione in voga nei primi, propulsivi anni del ventesimo secolo. Di cilindrata pari a 350 cc, trasmette il moto alla ruota posteriore attraverso una duplice catena: la primaria fino alla frizione a secco, la finale con un cambio monomarcia innestabile tramite leva fissata a lato del serbatoio. Uno statore a magnete fornisce la scintilla per la candela.
Il telaio, di costruzione robusta e superbamente verniciato di un blue semilucido, è totalmente rigido e non presenta forcella, tradizionalmente intesa: lo sterzo è integrato nel mozzo, similmente a talune, esotiche realizzazioni da gara e di piccola serie. Ogni elemento è fabbricato su misura e con metalli ricercati: tubi di acciaio curvati a caldo per la struttura principale, pregiatissimo alluminio per i meccanismi, lucente ottone per fissaggi e finiture. Il serbatoio è null’altro che tubi di trasparente pyrex spesso 3 mm chiuso alle estremità da tappi, pure in ottone. Le ruote misurano 24” e calzano pneumatici da bicicletta da 8”. I cerchi, in tinta con il telaio, sono in alluminio, con grossi raggi del medesimo materiale, eccellentemente uniti ad essi e ai mozzi con fini saldature. Il sistema frenante, infine, si compone di un semplice tampone che, per sfregamento su una nuda e liscia puleggia ancorata ai raggi della ruota, genera attrito e, quindi, decelerazione. Nel suo complesso, il Fuìss, rappresenta una mirabile esecuzione meccanica che ha impiegato circa un anno e mezzo di lavoro.