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Special Laverda SF 750: opera prima

Uno strumento raro, perfettamente accordato, che suona una musica coinvolgente, interpretando con arrangiamenti raffinati una partitura classica: le sensazioni suscitate guidando questa café racer trasportano in una dimensione tra passato e presente
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Le viti hanno tutte l’intaglio per il cacciavite girato nello stesso verso, parallelo all’asse longitudinale della moto. Un dettaglio quasi invisibile, ma c’è. E denota una ricerca maniacale del particolare. Ricordo che anche l’ing. Carlo Riva, patron dell’omonimo cantiere navale, verificava di persona che ciascun motoscafo prodotto dalla sua azienda avesse tutte le viti con gli intagli allineati tra di loro. Manie o ricerca della perfezione? Francesco, proprietario e preparatore della Laverda di queste pagine, non è un caso da manicomio, ma un puntiglioso. Nel suo mestiere, il restauratore di moto, è necessario esserlo. Ma c’è qualcosa di più, in questa sua special. Si avverte – guardandola, ma soprattutto guidandola – la presenza di una componente poetica. Il fatto che, prima di aprire un’officina, facesse il musicista di professione è un indizio importante, a mio parere. Forse l’abitudine ad accordare strumenti, ad inventare e arrangiare composizioni, a cantare in rima si è sublimata nella ricerca diligente dell’equilibrio estetico e funzionale in una motocicletta.

Motore vigoroso e ciclistica stabile

La Laverda SF 750 vibra, scuote, ruggisce. Se fosse una canzone, sarebbe Rock 'n' Roll. Chitarra, basso e batteria condensate su due ruote. Questa special è una moto maschia, senza dubbio. E imponente. Sottile come un ago, ma lunga come un treno. Il telaio è derivato da quello della sportiva SFC, moto da corsa sviluppata e cucita addosso alle misure da corazziere del pilota Augusto Brettoni, che nei primi anni Settanta portò la Laverda al successo nelle gare di Endurance e Derivate di Serie. Io, che sono alto 182 cm, sto bene in sella, spalmato sopra il serbatoio per agguantare i semimanubri lontani e inclinati. Le pedane, alte e arretrate, non sono poi così scomode e la seduta è tanto spaziosa, per spostarsi a piacimento con il sedere: arretrato per correre veloce, avanzato per la guida disimpegnata. Che è solo un modo di dire, perché la Laverda impegna sempre, anche ad andatura da passeggio. Anzi, nei trasferimenti urbani e nel traffico, la frizione granitica (nonostante il kit per addolcirla) è causa di una precoce tendinite. Le manovre, per via del poco sterzo, non sono la cosa più facile del mondo. Nel misto stretto e nei rapidi cambi di direzione bisogna lavorare un po’ con il corpo, perché il baricentro è abbastanza alto. Di contro, il motore è trattabilissimo, riprende dal minimo senza strattoni e, pur non avendo una accelerazione bruciante, guadagno giri con vigore e progressione, accompagnato da una buona dose di vibrazioni e da una voce coinvolgente. Ai bassi si avvertono nettamente distinti il gorgoglio d’aspirazione e il tono cupo allo scarico; salendo di giri l’urlo si fa aperto, come il grido di battaglia di un barbaro; in rilascio c’è un “boooo!” come mai mi è capitato di ascoltare che mi sorprende alla prima staccata. Rispetto ad altri motori d’epoca che ho avuto occasione di provare, questo lo sento girare alla perfezione.
Torniamo al discorso iniziale: Francesco non si è accontentato di una revisione del bicilindrico, ma lo ha ricostruito completamente: "Se vedo un leggero trafilaggio alla base dei cilindri, fosse anche solo una lacrima d'olio, vado giù di testa - commenta - Il motore deve essere asciutto e frullare come un orologio. Se non lo fa, piuttosto lo smonto ancora e rifaccio tutto da capo". La verniciatura nero lucido offre un tocco di modernità, ma dentro è davvero tutto nuovo. Pistoni ad alta compressione, alberi a camme 6/C (offerti all’epoca come optional per le corse), valvole e sedi riviste, albero motore alleggerito e riequilibrato. E scarico 2 in 1 della SFC aperto. Il turrito frontemarcia mantiene l’accensione a puntine platinate originale, ma è alimentato da due carburatori Dellorto PHF36 con pompa di ripresa. È alloggiato nel telaio di serie (cromato, anziché verniciato), alleggerito di tutti gli orpelli e gli attacchi delle utenze: l’impianto elettrico, ridotto all’osso, è ospitato nel codino insieme alla batteria. Le quote rimangono quelle originali (come le misure delle gomme, calzate su splendidi cerchi Borrani in alluminio), ma le sospensioni sono migliorate. La forcella è una Ceriani con steli da 38 mm montati al rovescio per tenere le pinze freno dietro, più vicine al baricentro della moto.
Al posteriore ci sono due ammortizzatori a gas regolabili, con punto di attacco superiore avanzato, come sulle SFC. Poco maneggevole, la Laverda è però stabilissima, una vera lama. E le sospensioni lavorano benissimo: incassano le piccole asperità filtrandole a vantaggio del comfort, ma non si mostrano mai cedevoli anche forzando il ritmo. Vi sembra una replica della rara (e ipervalutata) SFC? In realtà questa SF 750 è una splendida café racer all'italiana, insolita e curatissima; non certo facile, ma anche per questo affascinante.
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