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La terra magica: storia di un viaggio in Islanda

Il diario di viaggio di un'avventura di oltre 7.000 km in sella ad una Moto Morini 3 ½ alla scoperta dell'Islanda, con i suoi difficili paesaggi da cartolina
1/26 Viaggio in Islanda con una Moto Morini 3 ½

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Tutto sembra improvvisamente congiurare contro questo viaggio. Alla partenza di buon mattino da Este (PD), dopo pochi km, fanali, tromba e frecce decidono di non funzionare, senza preavviso. Non saranno, penso, due dispettosi cavi elettrici a fermarmi. Tra Rovereto e Trento cerco un meccanico; alla mia richiesta di aiuto non trovo il minimo di disponibilità, mi sembra persino di percepire una certo “distacco” quando vedono la moto. Così prendo la decisione più logica per un morinista di vecchia data come me. Chiamo al telefono Mario Perfetti, storico concessionario Moto Morini, “uno” che le mani sulla 3 ½ le sa mettere. La sua officina è a Passirana, alle porte di Milano... all’opposto di dove dovrei andare. Punto così il manubrio ad ovest. So che Mario ad una certa ora deve partire per Adria, dove con suo figlio Enrico ha prenotato dei turni in pista. Non ha quindi molto tempo. Nel pomeriggio l’intervento di emergenza risolve il problema a fanali e tromba, ma le frecce restano... assenti. Coraggio: farò tutto il viaggio usando le braccia come indicatori..., come si usava una volta. Riprendo la strada verso le Alpi con meta Passo del Brennero. A sera inoltrata arrivo all’Hotel Olimpia. Chiuso per ferie. Ma come, siamo a luglio... Intorno non vedo alternative. È tardi e inizio ad essere un po’ stanco. Poi, si affaccia la proprietaria, forse incuriosita dal rumore della moto. È una donna di poche parole ed è svelta a capire la situazione. Per una cifra simbolica mi lascia le chiavi e frettolosa se ne va. Non avrò né cena né colazione, ma mi ritengo assai fortunato ad avere la camera. Un inizio viaggio indimenticabile: domani dovrò recuperare. A casa il contachilometri segnava 5.374 km, al Brennero 6.143. Totali di giornata 769 km, nonostante tutto.
Ore 6:30, piove. Forse un modo per ricordarmi che di sole in questo viaggio ne vedrò poco. Entro in Austria e comincio a tirare: passo Innsbruck e in poco tempo sono in Germania, Kufstein, Rosenheim, München, Nürnberg, Würzburg… Massima concentrazione, ma a Würzburg - causa lavori in corso - sbaglio un imbocco e sono costretto a uscire dall’autostrada e fare una cinquantina di km sulle strade normali per ritrovare la A7 verso Kassel. Quindi Göttingen, Hannover, Hamburg, Flensburg, (Danimarca), Aabenraa, Kolding, Vejle, Århus, Aalborg: non ho il navigatore, ma un pacco di fotocopie sotto il trasparente della borsa da sella a indicare la strada che porta in cima alla Danimarca. Corro tutta la notte, un po’ piove un po’ tira vento, la moto va che è un piacere, l’ascolto ronfare sui 110 km/h: un infinità di ricordi passa per la mente nel buio verso il mar del Nord. Ho recuperato il tempo perduto.
Ore 8:30, arrivo ad Hirtshals, sullo stretto di Skagerrak, porto d’imbarco per l’Islanda. Il contachilometri segna 7.690 km. In 26 ore di viaggio effettivo, l’instancabile Morini 3½ ha percorso 1.547 km, bevendosi un centinaio di litri di benzina, che corrispondono a 7 soste per il rifornimento. Il resto del giorno riposo e visito il paese.
Ore 11:30, imbarco sul traghetto Norröna della Smyrill Line con rotta Islanda. Navigazione di 1.000 km, con sosta tecnica a Tórshavn, capitale delle isole Fær Øer. 6 luglio, giovedì, ore 8:30, sbarco al porto islandese di Seyðisfjörður sulla costa orientale. Tremo per l’emozione. Piove e tira un forte vento, ma la strada n. 93 per Egilsstaðir va magnificamente in salita dando l’ebrezza delle strade alpine. In cima al passo mi fermo euforico a salutare la terra d’Islanda… in partenza offro però il fianco al vento… ed è fatta: una “sberla” ci butta a terra. Leva della frizione rotta… ma ho quella di riserva! Due generosi italiani, Luca e Roberto (Yamaha Super Ténéré 1200 e BMW GS1200 Adventure) mi aiutano nella sostituzione, ma perdiamo nella ghiaia il cilindretto scorrevole di ottone che ferma il filo nel foro della leva. Farò tutto il viaggio con il filo della frizione che lavora solo con il suo terminale saldato. Luca e Roberto decidono che faremo squadra. Per strada io starò in mezzo anche perché sono senza lo specchio di sinistra che non siamo riusciti a fissare. A Egilsstaðir si entra nella Ring Road, la Hringvegur, Þjóðvegur 1, la principale strada islandese che ad anello fa il giro dell’isola. Andiamo verso nord, scoprendo i primi paesaggi desertici, sotto una pioggia sottile e fredda. Dopo 130 km svoltiamo sulla F864, tormentata pista sterrata (gravel road) che porta alla cascata di Dettifoss: una montagna d’acqua che precipita in un canyon primordiale con rumore assordante. Passeggiata fino allo spettacolare salto dell’acqua, poi riprendiamo il deserto di sassi verso Ásbyrgi e la penisola di Húsavík. Sullo sterrato fradicio trapuntato di buche la Morini corre sicura, mostrando tutta la sua briosa dinamicità rispetto alla massa imponente dei 1200 che impone una guida più impegnativa ai miei compagni di viaggio. In serata siamo ad Akureyri, la dolce capitale del Nord, sull’Eyjafjörður. Da Seyðisfjörður in questa prima giornata di vento e pioggia abbiamo fatto 397 km.
Emozionante visita all’Orto Botanico di Akureyri, (Hortus Botanicus Akureyrensis) che - a pochi passi dal Circolo polare artico - ospita una stupefacente varietà di piante, curate da un gran numero di volontari. È commovente scoprire nelle aiole colorate fiori anche dei miei Colli Euganei! Quindi sulla Hringve- L’Islanda gur n. 1 per verdi vallate scolpite dai ghiacciai verso Varmahlid a visitare la fiabesca fattoria di Glaumbær, antica abitazione di torba coperta d’erba: incantevole esempio di inserimento nel paesaggio. Ora verso Blönduós per risalire sulla F711 (gravel road) la solitaria penisola di Vatnsnes, sotto cieli di piombo, fino all’ostello di Ósar. Poi la meraviglia della passeggiata alla spiaggia delle foche e allo scoglio-troll di Hvítserkur. Per cenare corsa nella brughiera fino al solitario ristorante Geitafell, alto sopra la scogliera. Notte di pioggia a Ósar.
Ancora sulla F711 per completare il giro della penisola di Vatnsnes, rientrare sulla Hringvegur e scendere al bivio di Brú, verso i fiordi occidentali. Quindi a nord sulla strada costiera n. 61 (asfalto e tanto sterrato bagnato) verso Hólmavík, la porta del Vestfirðir. Ecco la serie spettacolare e interminabile dei fiordi di questa incredibile penisola correndo a pelo dell’acqua fino a Ísafjörður, all’estremo nordovest. Giornata di gran guida con forti sensazioni nordiche per oltre 400 km di curve.
Da Ísafjörður, sulla n. 60, per una cinquantina di km fino al bivio con la 624. Abbraccio Luca e Roberto che proseguono verso Reykjavík, mentre io seguo la sponda settentrionale del Dýrafjörður, verso Núpur. L’emozione è forte: vado a trovare una poesia. Mi spiego. “Skrúður è un orto riposto, adagiato sul declivio tra il fiordo e una cortina solenne di montagne dai fianchi mossi dall’erosione glaciale”. Qui sosterò due giorni per la visita-studio del minuscolo Orto Botanico di Skrúður à Núpi, che nel 2013 ha ricevuto il Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, promosso dalla Fondazione Benetton. Alloggio e cena all’Hotel Núpur tra la montagna brulla e l’azzurro profondo del fiordo.
Continuo lo studio in totale serenità del meraviglioso Orto Botanico, perso nella tundra dei fiordi rivolti alla Groenlandia. Anche qui un gruppo di volontari si è preso cura di questo gioiello naturalistico - che misura solo 66 x 33 m- voluto nel 1909 da un pastore protestante per completare l’istruzione dei giovani della scuola professionale. “A queste donne e a questi uomini la Giuria del Premio Carlo Scarpa, con profonda riconoscenza”, ha conferito “il sigillo dell’impegno e del riconoscimento”, per l’esempio di civiltà, di cultura e di amore per la propria terra!
Lascio a malincuore l’incanto profumato di Skrúður: metafora del Paradiso terreste. Il contachilometri segna 8.837. Da Seyðisfjörður ho fatto 1.204 km, da casa 3.463. Comincia il viaggio di ritorno. Vado a sud seguendo la n. 60 lungo la costa meridionale dei Westfjörds fino ad incontrare la Route 608 (Þórskafjarðarheiði), aerea strada sterrata che scavalca un altipiano sassoso. In alto sosto incantato dal paesaggio lunare macchiato da pozze d’acqua gelida, mi spoglio della “corazza” motociclistica e nel vento che alza la sabbia cammino su letti di licheni e muschi. La luce è fredda e tagliente, fotografo cuscini rosa di timo e sassifraghe tra le rocce scure: sono in un luogo metafisico che sarebbe piaciuto a Giorgio de Chirico. Ritrovo l’asfalto scendendo alla n. 61 che mi porta al bivio per il remoto borgo di Norðurfjörður, posto all’estremo nord-est dei Westfjörds. Quindi a nord per la 645, la 643 e la 646, splendide strade sterrate lungo la costa a fiordi attraverso paesaggi di una purezza virginale, passando per Drangsnes, Djúpavík, Árnes, in un continuo saliscendi fino a Norðurfjörður e alla magica piscina di Krossnes in riva all’Oceano Artico. Qui finisce la strada. Bagno termale da sogno entro un’atmosfera blu guardando il mare verso la Groenlandia. Notte in tenda a Norðurfjörður. Da Núpur fatti 389 km.
Sotto la pioggia ripercorro la strada lungo i fiordi settentrionali di questa straordinaria parte d’Islanda: quasi un’isola nell’isola, fino a rientrare nella n. 61 per Hólmavík, e giù fino al bivio di Brú dove si rientra nella Hringvegur. Quindi su a nord verso Blön- duós. Poco prima di questo centro costiero svolto a sud per iniziare la traversata degli altipiani interni dell’Islanda lungo la straordinaria pista F35, Kjalvegur che, ad un’altezza attorno i 700 m, taglia il deserto lavico di Kjölur tra i ghiacciai Langjökull e Hofsjökull, con un tracciato di quasi 180 km di sterrato duro. E naturalmente piove. Pozzanghere in lunga fila e fastidiose sequenze di secche cunette mettono a dura prova telaio e sospensioni. Ma la Morini è leggera e agile e “naviga” sicura su questo “mare” tormentato di sassi e buche. E qui il battistrada e la robusta struttura delle gomme Heidenau risolvono più d’una situazione scabrosa. Dopo il grande lago artificiale di Blöndulón appare come un miraggio la capanna arancione di Arnarbæli. Stanco e fradicio mi guardo attorno stralunato: sono solo e felice sul cuor della terra. Mi viene proprio da esclamare: “Cazzo che razza di posto da sogno!” Notte passata in beata solitudine nel bivacco sperduto nel deserto tra due ghiacciai, immerso in un formidabile silenzio di pietra. Il contachilometri segna 9.599: in giornata da Norðurfjörður fatti 373 km.
Il tempo è bello e l’aria fresca, tre pecore pascolano attorno alla capanna. Passano due ciclisti e si fermano a salutare la Morini. Sono liguri, il papà di uno di loro aveva la stessa moto. Sono entusiasti dei luoghi, ma mi avvisano che più avanti la pista si farà brutta… non hanno ancora visto quello che li aspetta! Riprendo la corsa nel deserto verso un’altra sorpresa. Hveravellir è una spettacolare area termale con polle gorgoglianti a 80°/100°C, vapori di zolfo, pozze di fango bollente, soffioni e piccoli geyser, con la calotta del Langjökull sullo sfondo. Dopo la magica Krossnes mi godo un altro bagno rigenerante. Da Hveravellir a Gullfoss ci sono gli ultimi 91 km di hard gravel road. Il paesaggio severo, essenziale, di assoluto respiro poetico chiama il vecchio naturalista alla sosta, a camminare lasciando libera l’anima di vagare sul plateau. Cielo azzurro e aria artica. Mi stendo in meditazione sulla liscia distesa di sassi resi compatti dal peso del ghiaccio invernale. Basterebbero solo questi momenti a giustificare il viaggio. A Gullfoss visito la cascata più famosa e più frequentata d’Islanda. Altra sosta veloce al geyser di Strokkur, svilito da troppi turisti vocianti scesi dai pullman dei viaggi organizzati. Per loro sarà anche divertente, ma per me questo turismo di massa è peccato. Riprendo la strada verso sud e finalmente appare la foresta di betulle e salici del Parco Nazionale di Þingvellir (Thingvetlir). Luogo di grande respiro ambientale per quest’isola priva quasi di alberi. Cammino lungo l’impressionante frattura dell’Almannagjá (Patrimonio mondiale dell’Umanità) dove le placche tettoniche dell’America del nord e dell’Europa si stanno separando ad una velocità di 2 cm l’anno, facendo dell’Islanda un “paesaggio in divenire”. In questo luogo, agitato da una formidabile energia tellurica, nel 930 d.C. il popolo islandese istituì l’Alþing, il primo Parlamento europeo. Altre faglie scure tagliano la verde piana immergendosi nel vasto lago di Þingvallavatn, creando un paesaggio fiabesco. Notte in tenda con vento e pioggia. La moto resiste a tutto e tutto sommato anche io. Ogni sera la ringrazio. Dal rifugio di Arnarbæli fatti 253 km.
Trasferimento breve, di circa 50 km, ma sotto una pioggia feroce fino all’ostello di Reykjavík. Sosta di due giorni per la visita-studio all’Orto Botanico (Hortus Botanicus Reykjavikensis), magnificamente ordinato e curato. Sorprendente il numero di piante ospitate a questa latitudine, 20 paralleli a nord dell’Orto Botanico di Padova. Mi concedo cene vegetariane nel bistrò-serra con le verdure coltivate nel giardino.
Partenza per il parco di Þórsmörk (Thórsmörk), ripassando per Þingvellir. In tutto circa 200 km, seguendo prima la n. 36 fino a Selfoss e la Hringvegur fino a Hvolsvöllur, poco dopo Hella, dove lascio la Morini per l’autobus speciale in grado di superare i guadi sul fiume Krossá. Dopo la scenografica cascata di Seljalandsfoss in serata arrivo al rifugio Volcano Huts dove mi accoglie in festa un giovane del mio paese, Alberto, capo cuoco: sarò suo ospite per due giorni!
Tutto il giorno a camminare per i sentieri di Þórsmörk (Bosco di Thor) in un paesaggio naturalistico di forte impatto emotivo: scabro, austero, primigenio. A sud il ghiacciaio sotto cui sonnecchia il vulcano Eyjafjöll (Eyjafjalljökull), che svegliatosi nel 2010 sparò in atmosfera tante polveri da mandare in tilt il traffico aereo in mezza Europa! A nord est si alza la grandiosa calotta del Mýrdal (Mýrdaljökull) che copre la caldera dell’Hekla, il vulcano più famoso e pericoloso d’Islanda, considerato nel Medioevo la porta dell’Inferno! Ai piedi dei vulcani coperti di ghiaccio - in rapido scioglimento a causa del Global warming - cattedrali laviche puntute, creste rocciose taglienti e impressionanti forme d’erosione delle ceneri nere, coperte di muschi e licheni d’infinite sfumature di verde e poi … il grande silenzio delle montagne generate dalla faglia oceanica che uscita dal mare sta creando l’Islanda.
Rientro in pullman nella civiltà, ma all’arrivo l’autista riparte quasi subito portandosi via il mio bagaglio. Inutile inseguimento sotto la pioggia sulla strada sbagliata fino a Selfoss. Sconcertato devo aspettare la sera quando rientrerà. Il pensiero va ai 600 km che mi separano da Seyðisfjörður dove giovedì parte il traghetto per il Continente. Recupererò la giornata guidando di notte: ma il tempo è pessimo e l’autista del pullman mi mostra sullo smartphone che le strade sono chiuse per una bufera di vento e sabbia sulla costa verso Vík e Höfn. Alle 18:30 parto lo stesso: so che la bravura del pilota può finire di colpo, mi affido quindi anche alla fortuna! Pochissimo traffico sulla Hringvegur, vento a folate forti senza tregua. La moto è una spada che taglia muri invisibili danzando sulla larghezza della carreggiata a seguire in un ballo mutevole il capriccio del vento… e sull’asfalto ruvido le gomme tengono, miracolosamente tengono con teutonica caparbietà. Nelle stazioni di servizio i display televisivi mostrano la situazione delle strade spazzate da venti fino a 25 m/s: “Alerts & Warnings: No travel conditions! Very strong winds in southeast Iceland”. Soste e ripartenze continuando il surf sulla strada, e viene la notte breve che dalle parti di Vík al vento aggiunge la pioggia. E succede un fatto che da solo occupa gran parte della memoria del viaggio. Nel buio arriva da dietro un TIR che accende tutta la luminaria sopra la cabina: era meglio non lo facesse perché ai lati della strada appare un campo di lava irto di punte come la bocca di uno squalo! Solo fermandomi riesco a farlo passare. Ma dopo una quindicina di minuti lo ritrovo con le frecce di stazionamento inserite, fermo all’imbocco della strettoia di un ponte. Aspetto ma non si muove: forse il ponte è saltato o il fiume è uscito… Mi affianco alla cabina e chiedo cosa succede: apre la portiera un uomo dai capelli bianchi che mi guarda stranito: sta aspettando me! “Mettiti dietro che ti porto fuori” ... non ho parole… ho trovato un buon samaritano! Gli sto dietro a fatica: a momenti sento il gelo che scende dall’enorme calotta glaciale del Vatnajökull lì nel buio a qualche km di distanza. Mi spiace non vedere la scenografia della laguna glaciale di Jökulsárlón, ma spero di non finirci dentro! Poco prima di Höfn il cielo si schiara, il camionista entra in una stazione di servizio chiusa dove mi raccomanda di restare e riposare. Riparto presto, il vento si è calmato e trovo riparo in un campeggio, dove ho la possibilità di asciugare un po’ i vestiti e mi offrono anche un tè. La notte più lunga è passata: ho avuto davvero fortuna. Mi ripeto l’aforisma di Paulo Coelho “Nessun giorno è uguale all’altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, nel quale i vecchi universi vengono distrutti e si creano nuove stelle”.
Prima delle 7 accarezzo il “58” del Super Sic sul cupolino… stanotte c’era anche lui a tener duro nella bufera! Riprendo la Hringvegur: mancano ancora 200 km al porto di Seyðisfjörður. La strada per un bel po’ segue la costa poi a Breiðalsvík entra tra le montagne e con lunghi tratti sterrati si arrampica su un passo nebbioso oltre il quale si apre la verde vallata del lago Lagarfljót illuminata da un sole pieno. Sosto a godermi il paesaggio e un attimo di riposo. Rabbocco l’olio e faccio benzina dalla tanica di scorta, prima di arrivare a Egilsstaðir dove mancano solo 25 km a Seyðisfjörður. Ritrovo la n. 93 che porta al passo ventoso che mi ha dato la prima lezione islandese. All’inizio della salita un cartello luminoso avvisa del pericolo per raffiche di vento a 21m/s. Ancora! La salita e la discesa sembrano molto più lunghe rispetto a quel primo giorno: guido prudente ripassando il film di queste due settimane grandiose… un’esperienza dura, ma è stato il modo migliore per festeggiare la pensione a 65 anni suonati. Quando spengo il motore davanti l’ostello di Seyðisfjörður è mezzogiorno. Ho recuperato il tempo perduto guidando per 18 ore in condizioni proibitive per quasi 600 km. Sono stanco ma felice: non perderò il traghetto del ritorno. Il contachilometri segna 10.777. In quest’isola meravigliosa ho fatto 3.144 km.
Imbarco ore 10:30. In fila al check-in ritrovo Roberto, che abita vicino a Venezia. Faremo il viaggio di ritorno assieme. Mi godo il relax della nave anche con mare agitato.
Tranquilla navigazione.
Ritorno in Danimarca al porto di Hirtshals. Prendiamo la via per casa verso le ore 14 con l’intenzione di fare più strada possibile: puntiamo a passare Hamburg. Viaggiare in compagnia di una GS 1200 alza necessariamente la media che per ore si stabilizza sui 120/130 km/h. Le vibrazioni sono tante. Entrando in una stazione di servizio dopo Flensburg scopro che la leva della frizione ha perso il fermo di fortuna che avevo usato (una chiavetta a brugola!) al posto della vite volata via il giorno dell’inseguimento al pullman con i miei bagagli… già ho viaggiato la notte del vento con una frizione di fortuna! Il bravo Roberto trova una lunga vite da legno che inseriamo nel foro della leva… avanti indomabile Morini! A sera chiudiamo la giornata in albergo poco dopo Hannover. 23 luglio, domenica. Tempo incerto, ma teniamo una media sempre sostenuta. Ritrovo i bei tratti autostradali in mezzo ai boschi e alla campagna ben curata. Ma all’ennesimo rifornimento il cavalletto laterale non tiene più: ho perso la vite… tentativo di ripristino ma alla fine lo fissiamo col nastro americano: per scendere, obbligato come sono dai bagagli, devo appoggiare la moto o chiamare qualcuno che la regga… Entrando nel “tremendo” Ring di Monaco perdo contatto con Roberto… che segue il navigatore… Rimango solo e ritorna a piovere, ma ormai sento l’aria delle Alpi. Abbasso la media e sorrido guardando il contagiri - da anni inattivo - coperto dai misteriosi glifi del Vegvisir, la magica bussola dei Vichinghi per trovare la strada nella tormenta. Al bivio di Rosenheim svolto per Innsbruck e inizio la salita del Brennero, dove arrivo con il sole abbastanza alto. A Este mancano 300 km. Scendo le Alpi leggero e rilassato. Arrivo a casa quasi a mezzanotte. Il contachilometri segna 12.591 km. L’ultima tappa è stata di oltre 1.100 km. In tutto abbiamo percorso 7.217 km. Una carezza d’affetto sul serbatoio, con la firma di “papà” Franco Lambertini. Come non amare questa straordinaria compagna di viaggio, forte, semplice, adattabile a tutte le situazioni, leggera e resistente, parca nei consumi e … bella nonostante gli anni?
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