Al Salone di Milano del 1971 (20-28 novembre) arriva così il prototipo della 350 bicilindrica. L’estetica è convenzionale, il telaio è un classico doppia culla chiusa (realizzato dalla Verlicchi), le sospensioni sono Marzocchi, i freni a tamburo Grimeca. Ma le attenzioni sono tutte sul motore e sui suoi 35 CV a 8.500 giri, valore record per la cilindrata a quei tempi.
Tutto il 1972 è dedicato alla ricerca della messa a punto e all’approntamento della catena di montaggio. Un occhio di riguardo viene posto alla voce “costi”, il che porta Lambertini a realizzare il motore a V di 72° in chiave modulare, dando la possibilità di realizzare cilindrate diverse dalla “treemmezzo” (lo stampo di pressofusione del carter è lo stesso per tutti i propulsori successivi – da 125 a 500 cc – così come le bielle, il cambio e la pompa dell’olio).
Rispetto al prototipo visto al Salone del 1971, la versione definitiva della Morini 3½ monta una strumentazione Veglia Borletti con entrambi gli elementi a montaggio elastico, i supporti del faro hanno un diverso disegno e sono più leggeri, il clacson ora è della Fiamm, i carburatori sfruttano doppi filtri in scatola di plastica posti sotto il serbatoio, con quest’ultimo leggermente rivisto.
Dal primo marzo 1973 prende il via il montaggio dei primi esemplari al prezzo di 790.000 lire chiavi in mano. La sola altra bicilindrica a 4 tempi in commercio, la MV Agusta Sport, costa 650.000 lire, mentre le monocilindriche Harley-Davidson SS e Benelli-MotoBi 250 2C sono vendute rispettivamente a 630.000 e circa 500 mila lire. La Honda CB350 Four, invece, circa 900.000 lire.
Venduta soltanto all’interno dei confini nazionali, la media stradale bolognese è subito un successo, con numeri che restano sempre nell’ordine di qualche migliaio di esemplari prodotti all’anno, in linea con la capacità produttiva della fabbrica. Ma non sono tutte rose e fiori: il propulsore mostra subito una certa tendenza a sbiellare per via di una tolleranza eccessiva che porta alla rottura dei bulloni di unione fra biella e cappello.
Risolto il problema con il cambio del fornitore, nel 1974 la moto non soltanto è affidabile, ma vede anche l’arrivo dell’altrettanto apprezzata sorella Sport, più potente (39 CV), con freni maggiorati e riconoscibile per il look da cafe racer. La 3½ (da allora identificata “standard” o “GT” per gli appassionati) conclude il suo primo ciclo nel 1977, quando arrivano i cerchi in lega leggera e il freno a disco anteriore, evolvendosi poi in altre versioni, riviste anche nell’estetica.
Queste non hanno però lo stesso successo né, soprattutto, la personalità della prima serie, che diede il via ad una vera e propria leggenda del motociclismo italiano grazie a doti dinamiche di tutto rispetto.
La prova su Motociclismo 11-1973 riporta come, grazie al peso contenuto, all’ottima geometria del telaio ed al limitato ingombro trasversale del motore, la bicilindrica bolognese offra eccellenti doti di maneggevolezza (sembra una 125), tenuta di strada e vivacità. Nel misto stretto segue bene i comandi del pilota, le pedane alte permettono pieghe importanti mentre le sospensioni risultano leggermente rigide, specie la forcella che fatica a digerire le piccole asperità stradali, trasferendole al pilota. I freni a tamburo sono potenti ed efficaci, anche se mancano di modulabilità nel primo tratto a bassa velocità, dove quello anteriore tende a bloccare con facilità. Il motore è poco rumoroso, si avvia con un paio di pedalate, non vibra eccessivamente, ha un forte tiro e una elasticità esagerata (da 2.000 giri si riprende ottimamente anche in sesta). Bene il cambio, preciso, fluido e silenzioso, con la prima corta (è facile impennare) e la quinta e la sesta ravvicinate che mantengono il bicilindrico sempre in tiro. Insomma, con queste qualità la Moto Morini 3½ è da considerarsi una delle migliori medie dei primi Anni 70.