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Moto Morini 3/2: per quel cilindro in più

Nel 1973 la Casa di Casalecchio di Reno spiazza il mercato con la sua prima bicilindrica a V, una media stradale tutto pepe e dalla guidabilità buona anche per chi vuole passeggiare.
Realizzata da Franco Lambertini, è una pietra miliare della storia della moto italiana.
Ad essa si ispirano le ultime “Seiemmezzo”, sempre con motore bicilindrico ma frontemarcia

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Moto Morini 3/2

Oggi come allora Moto Morini sta vivendo una sorta di “rinascita”. L’arrivo di capitale (cinese) insieme a una idea ben precisa di quello che si vuole fare “da grandi”, ha portato in questi ultimi due anni alla nascita di una gamma inedita di moto che sta avendo un successo quasi inaspettato, forse anche per la stessa azienda: l’enduro stradale X-Cape 650 e le due versioni STR e SCR della Seiemmezzo, infatti, si vendono bene e fin da subito dopo la loro presentazione, il che indica che i tre modelli hanno colto nel segno.

Il successo di queste due moto, oltre a portare liquidità con cui finanziare anche nuovi progetti (si vocifera di una imminente maxi crossover realizzata intorno al bicilindrico a V di 87° da 1.187 cc aggiornato, dopo l’esperienza con le Milano e Scrambler 1200), sembra replicare la svolta avvenuta con la 3½ del 1973, modello che ha ispirato il design sia delle 1200 sia delle Seiemmezzo sopraccitate.
I primi anni Settanta sono difficili per Moto Morini: nel 1969 viene a mancare Alfonso Morini, fondatore e faro dell’azienda, mentre da un punto di vista produttivo l’offerta è limitata alla Corsarino 48 e alle tante versioni della Corsaro, un po’ poco per non farsi trovare impreparati a quella che sembra una ripresa del mercato moto.

C’è bisogno di qualcosa di nuovo e questo arriva con Franco Lambertini, ingegnere modenese di 26 anni, papà della Morini 3½ (e anche del motore bicilindrico “milledue” che ha equipaggiato le Moto Morini degli ultimi 20 anni).
Lambertini è giovane ma già con un curriculum di tutto rispetto: dal 1961 al 1967 è in Ferrari, poi in MWM dove progetta una vettura da competizione con telaio monoscocca e motore V8 di 3.000 cc per la scuderia Serenissima. Moto Morini, interessata ad assumerlo, gli commissiona un aggiornamento tecnico del motore della Corsaro da Regolarità, così da ottenere più potenza. Il lavoro svolto dal tecnico (testa piatta e camera di combustione ricavata nel cielo del pistone) piace così tanto che le modifiche vengono subito applicate e lui diventa responsabile della progettazione.

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Il progettista Franco Lambertini ritratto di fronte ai disegni originali dell’epoca relativi al bicilindrico a V montato sulla 3½

I soldi non sono tanti ma Lambertini è un vulcano di idee e soluzioni e per la nuova moto disegna un propulsore con soluzioni inedite che rompe con la tradizione monocilindrica della Casa di Casalecchio di Reno. Il motore, infatti, è un bicilindrico a V di 72°, architettura scelta per la larghezza paragonabile a quella di un mono che permette ai cilindri di restare all’interno del profilo della moto (nonostante quello posteriore sia leggermente sfalsato rispetto all’anteriore, per ricevere più aria fresca) e per il giusto spazio lasciato al passaggio dei collettori di scarico. Il twin adotta teste di tipo Heron (stessa soluzione adottata per la Corsaro Regolarità), l’asse a camme è situato tra i cilindri nel punto più alto possibile per ridurre la lunghezza delle aste e il comando della distribuzione è affidato – per la prima volta in campo motociclistico – a una cinghietta in gomma (realizzata da Pirelli). E ancora, il cambio è a sei marce, l’accensione elettronica (firmata Ducati), l’avviamento elettrico.
Questo il progetto originario, poi ritoccato per tenere bassi i costi. Su richiesta del direttore generale Gianni Marchetti il comando del cambio viene spostato a destra (punto fermo di tutte le MM del tempo), l’avviamento elettrico tolto, mentre la frizione diventa a secco, soluzione utilizzata sulle moto da corsa, più compatta rispetto a quella in bagno d’olio.

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Moto Morini 3/2: in foto il concept presentato nel 1972 al Salone del Motociclo, a Milano

Al Salone di Milano del 1971 (20-28 novembre) arriva così il prototipo della 350 bicilindrica. L’estetica è convenzionale, il telaio è un classico doppia culla chiusa (realizzato dalla Verlicchi), le sospensioni sono Marzocchi, i freni a tamburo Grimeca. Ma le attenzioni sono tutte sul motore e sui suoi 35 CV a 8.500 giri, valore record per la cilindrata a quei tempi.
Tutto il 1972 è dedicato alla ricerca della messa a punto e all’approntamento della catena di montaggio. Un occhio di riguardo viene posto alla voce “costi”, il che porta Lambertini a realizzare il motore a V di 72° in chiave modulare, dando la possibilità di realizzare cilindrate diverse dalla “treemmezzo” (lo stampo di pressofusione del carter è lo stesso per tutti i propulsori successivi – da 125 a 500 cc – così come le bielle, il cambio e la pompa dell’olio).
Rispetto al prototipo visto al Salone del 1971, la versione definitiva della Morini 3½ monta una strumentazione Veglia Borletti con entrambi gli elementi a montaggio elastico, i supporti del faro hanno un diverso disegno e sono più leggeri, il clacson ora è della Fiamm, i carburatori sfruttano doppi filtri in scatola di plastica posti sotto il serbatoio, con quest’ultimo leggermente rivisto.

Dal primo marzo 1973 prende il via il montaggio dei primi esemplari al prezzo di 790.000 lire chiavi in mano. La sola altra bicilindrica a 4 tempi in commercio, la MV Agusta Sport, costa 650.000 lire, mentre le monocilindriche Harley-Davidson SS e Benelli-MotoBi 250 2C sono vendute rispettivamente a 630.000 e circa 500 mila lire. La Honda CB350 Four, invece, circa 900.000 lire.
Venduta soltanto all’interno dei confini nazionali, la media stradale bolognese è subito un successo, con numeri che restano sempre nell’ordine di qualche migliaio di esemplari prodotti all’anno, in linea con la capacità produttiva della fabbrica. Ma non sono tutte rose e fiori: il propulsore mostra subito una certa tendenza a sbiellare per via di una tolleranza eccessiva che porta alla rottura dei bulloni di unione fra biella e cappello.
Risolto il problema con il cambio del fornitore, nel 1974 la moto non soltanto è affidabile, ma vede anche l’arrivo dell’altrettanto apprezzata sorella Sport, più potente (39 CV), con freni maggiorati e riconoscibile per il look da cafe racer. La 3½ (da allora identificata “standard” o “GT” per gli appassionati) conclude il suo primo ciclo nel 1977, quando arrivano i cerchi in lega leggera e il freno a disco anteriore, evolvendosi poi in altre versioni, riviste anche nell’estetica.
Queste non hanno però lo stesso successo né, soprattutto, la personalità della prima serie, che diede il via ad una vera e propria leggenda del motociclismo italiano grazie a doti dinamiche di tutto rispetto.

La prova su Motociclismo 11-1973 riporta come, grazie al peso contenuto, all’ottima geometria del telaio ed al limitato ingombro trasversale del motore, la bicilindrica bolognese offra eccellenti doti di maneggevolezza (sembra una 125), tenuta di strada e vivacità. Nel misto stretto segue bene i comandi del pilota, le pedane alte permettono pieghe importanti mentre le sospensioni risultano leggermente rigide, specie la forcella che fatica a digerire le piccole asperità stradali, trasferendole al pilota. I freni a tamburo sono potenti ed efficaci, anche se mancano di modulabilità nel primo tratto a bassa velocità, dove quello anteriore tende a bloccare con facilità. Il motore è poco rumoroso, si avvia con un paio di pedalate, non vibra eccessivamente, ha un forte tiro e una elasticità esagerata (da 2.000 giri si riprende ottimamente anche in sesta). Bene il cambio, preciso, fluido e silenzioso, con la prima corta (è facile impennare) e la quinta e la sesta ravvicinate che mantengono il bicilindrico sempre in tiro. Insomma, con queste qualità la Moto Morini 3½ è da considerarsi una delle migliori medie dei primi Anni 70.

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Moto Morini 3/2

Scheda tecnica

MOTORE 4 tempi, 2 cilindri a V longitudinale di 72°, alesaggio per corsa 62x57 mm, cilindrata 344,16 cc, rapporto di compressione 10:1, camera di combustione tipo Heron, distribuzione ad aste e bilancieri con albero nel basamento con comando a cinghia e 2 valvole per cilindro, raffreddamento ad aria, lubrificazione a carter umido. Potenza max 35 CV a 8.200 giri/min, coppia max 3,28 kgm a 5.900 giri/min, velocità max 166 km/h.
ACCENSIONE elettronica Ducati, candela per cilindro Bosch 225 o 240 oppure NGK BP8ES; avviamento a pedale.
ALIMENTAZIONE 2 carburatori Dell’Orto VHB 25BS; capacità serbatoio 16 litri di cui 2,5 di riserva.
TRASMISSIONE primaria a ingranaggi elicoidali, rapporto 2,275; finale a catena, rapporto 2,714 (corona 38, pignone 14).
FRIZIONE a secco con 6 dischi; comando a cavo.
CAMBIO a 6 rapporti. Valore rapporti interni: 3,200 in prima, 2,000 in seconda, 1,470 in terza, 1,210 in quarta, 1,047 in quinta, 0,954 in sesta.
TELAIO doppia culla in tubi di acciaio, inclinazione cannotto di sterzo n.d., avancorsa n.d.
SOSPENSIONI Marzocchi, forcella con steli da 35 mm non regolabile, escursione n.d.; forcellone oscillante in acciaio con doppio ammortizzatore regolabile nel precarico molla, escursione ruota n.d.
FRENI Grimeca, anteriore a tamburo da 200x30 mm a doppia camma; posteriore a tamburo mono camma da 160x30 mm.
RUOTE E PNEUMATICI cerchi a raggi; Pirelli ant 3.25-18”, post 4.10x18”.
DIMENSIONI (IN MM) E PESO lunghezza 2.060, larghezza n.d., interasse 1.390, altezza sella 770, peso a vuoto 144 kg.
PRESTAZIONI 166 km/h di velocità massima
PREZZO 790.000 lire c.i.m. (in vendita da marzo 1973)

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