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20 January 2017

Un mito in (doppia) miniatura

La Moto Guzzi 500 V8 è una delle moto più straordinarie della storia della Casa di Mandello e del motociclismo. Presentiamo due splendide riproduzioni, opere d’arte in miniatura di due maestri del modellismo “d’epoca”. Le foto, i trucchi della realizzazione, la storia dei motomodelli in scala e della mitica “Otto Cilindri” originale (immancabile il video col suono del motore)

L’opera di Fulvio Svampa: tutta fatta in casa

L’affascinante Moto Guzzi 500 V8 da sempre accende la fantasia degli appassionati di moto, non solo d’epoca. La GP mandelliana manda in visibilio i cultori della bella meccanica e gli estimatori del motociclismo made in Italy anche se la vicenda è durata relativamente poco (la riassumiamo più avanti). Non può mancare poi l’interesse da parte dei collezionisti di motomodelli e dei maestri modellisti, tra i quali non è mancato chi ha affrontato con successo la sfida della replica in scala ridotta. Come Fulvio Svampa e Luciano Benedetti, dei quali proponiamo i rispettivi capolavori realizzati nella scala, con i materiali e le tecniche che caratterizzano le loro opere (qui le foto). In particolare Svampa ha sempre ridotto i suoi modelli 4 volte rispetto al vero, mentre il modenese Benedetti ha scelto la scala 1/5. Diversi sono anche i materiali utilizzati nella realizzazione dei vari particolari e, di conseguenza, pure le lavorazioni con Svampa - scomparso nel 2013  anni - che univa con adesivi le singole parti ricavate da metalli (per lo più alluminio), cartone e blocchetti di balsa, legno che essendo tenero è anche facile da lavorare. Sempre facendo tutto in casa (verniciatura compresa) con attrezzi semplici, pazienza e provata abilità nelle lavorazioni manuali. 
Il modello è lungo 50 cm e il numero 4 sulla carenatura è stato portato in gara da Giuseppe Colnago nel corso della vittoriosa prova d’apertura del Campionato tricolore 1957.

Complimenti a Luciano Benedetti: difficile distinguerla dall’originale

Con alle spalle una lunga esperienza di tornitore e rettificatore, Benedetti lavora invece solo metallo, al solito acciaio e anticorodal, in un attrezzatissimo laboratorio completo di macchine utensili. Le singole parti vengono riprodotte con assoluta fedeltà (guardate le foto del modello nella gallery, a confronto con l’originale…) e dovizia di particolari, poi allineate ordinatamente sul banco di lavoro e unite con viti e bulloneria in acciaio inox da 1 o 2 mm, pure autocostruita. Il telaio nasce dalla lavorazione di tubetti e tondini in metallo saldati a Castolin, mentre nella realizzazione del serbatoio il modellista modenese parte dal pieno di alluminio che viene portato a misura, svuotato e poi chiuso saldando il fondo. Le ruote sono sempre un bel banco di prova che ogni modellista affronta con metodi geniali e assolutamente personali. Benedetti parte da cerchi in alluminio ricavati al tornio (come le gomme) con raggi in filo di rame argentato, teso e poi bloccato all’interno del cerchio seguendo un metodo ingegnoso messo a punto personalmente. Il risultato finale affascina, suscitando ammirazione. Con una insolita concessione in quanto, come altri pezzi di Benedetti, anche la 500 V8 non ha parti verniciate, ma tutto è stato lucidato o cromato. “Lo faccio per evidenziare che tutte le parti sono in metallo e non in plastica, ricavate da scatole di montaggio commerciali” commenta Benedetti. È il retaggio della partecipazione a mostre e concorsi di modellismo dove le sue opere sono premiatissime e gli elementi di valutazione sono i più disparati, oltre che non sempre condivisibili.

... quegli 8 carburatori...

Il modello è lungo poco più di 40 cm  e la carenatura avvolgente a campana porta il numero 2 che nel 1957 ha accompagnato la vittoria di Dickie Dale nella quarta Coppa d’Oro Shell di Imola, davanti a 80.000 spettatori. Tra i dettagli più impressionanti, il bellissimo anteriore, con la forcella a levette oscillanti provvista di ammortizzatori teleidraulici e il freno a tamburo centrale sdoppiato. Anche il retrotreno è  difficilmente distinguibile dall’originale. E tutto è funzionante! C'è poi la postazione di comando, col frenasterzo meccanico e la strumentazione (contagiri e termometro dell’acqua). E infine il motore... La batteria degli 8 carburatori è impressionante, così come i dettagli dell'impianto elettrico.

Guzzi Otto Cilindri: potenziale pazzesco, espresso solo in parte

Non ci sono dubbi: a sessant’anni dal debutto in gara, regina nella storia della tecnica motociclistica da corsa è sempre la Moto Guzzi 500 V8. Una regina senza corona, però, in quanto pur avendo dimostrato in più di una occasione un potenziale che la rendeva imbattibile, nei due anni di presenza in pista (1956-1957) non è mai riuscita ad imporsi in una prova valida per il Mondiale. Complessivamente, a causa delle difficoltà di messa a punto e dei diversi infortuni dei piloti, nell’arco delle due stagioni ha sommato un totale di 13 presenze gara con due sole vittorie, peraltro entrambe ottenute in Italia, e tre primati del mondo. A tarpare definitivamente le ali alla fantastica creatura di Mandello, decisamente più potente delle rivali 4 cilindri di Gilera e MV, è poi stato il patto d’intesa del settembre 1957 in base al quale Moto Guzzi, Mondial e Gilera hanno abbandonato il mondo delle competizioni. Nel frattempo nello stesso anno, dopo il precedente che è stato soprattutto di sperimentazione e messa a punto, la conquista del record mondiale sui 10 km da parte di Bill Lomas (243,112 km/h, con uscita dalla base cronometrata di Terrracina a 282 km/h: nella foto), il successo colto da Ernesto Colnago nella gara d’apertura del Campionato italiano disputata a Siracusa, quello di Dikie Dale nella Coppa d’Oro Shell di Imola, il fantastico giro veloce ottenuto a Francorchamps da Keith Campbell prima del ritiro (più di 190 km/h), quando stava dominando nettamente sul lotto delle 4 cilindri, e i grandi tempi spiccati nelle prove della vigilia del GP delle Nazioni di Monza dallo stesso Campbell prima della tremenda caduta alla curva Ascari a 240 km/h, avevano delineato per l’innovativo bolide di Mandello un futuro di conquista che a causa dell’astensione della Guzzi dalle corse non ha potuto realizzarsi. 

Dopo soli cinque mesi già cantava

All’ingegner Giulio Cesare Carcano, in Guzzi dal 1936 e dal ‘38 progettista al reparto corse, l’idea di schierare una nuova 500 plurifrazionata da contrapporre alle 4 cilindri di Gilera e MV è maturata al termine della stagione 1953, il cui andamento aveva indicato con chiarezza come sia la monocilindrica bialbero che la 4 cilindri in linea con trasmissione a cardano non fossero competitive. Approcciandosi alla progettazione della nuova moto, Carcano si è subito posto l’imperativo di non esplorare indirizzi tecnici già sviluppati dalla concorrenza, anche per non concedere alla stessa i vantaggi derivanti da anni di sviluppo. Accantonata pure l’ipotesi del 6 cilindri per motivi d’ingombro (una unità in linea disposta ad orientamento trasversale avrebbe indotto una eccessiva sezione frontale, mentre la disposizione dei cilindri a V richiedeva un’apertura delle bancate di 120°) Carcano optò per l’affascinante, pur se inevitabilmente più complesso, frazionamento a 8 cilindri a V che, come richiesto dalle logiche di equilibratura, sono poi stati posti rigorosamente a 90°. Al di la delle prestazioni, obbiettivi primari mirati nella progettazione dell’unità plurifrazionata sono stati il contenimento dei pesi e degli ingombri ma anche, pur a fronte della notevole complessità strutturale, la semplicità costruttiva con lo scopo di agevolare il montaggio e velocizzare gli interventi. Resta il fatto che a soli 5 mesi dalla stesura dei primi disegni la nuova unità già “cantava” come una sirena sul banco prova di Mandello (andate a vedervi il video in fondo all’articolo…). La testimonianza è di Umberto Todaro, il tecnico che con Enrico Cantoni ha messo sulla carta le indicazioni che giungevano dall’ingegner Carcano. Fin dalle prime sessioni di prove sono stati letti una sessantina di CV a 11.500 giri poi evoluti, secondo i dati ufficiali, fino a raggiungere quota 80 a 12.500 giri. Nello stesso periodo lo step 1956 della Gilera 4 cilindri attingeva a poco meno di 70 CV a 10.500 giri, potenza accreditata anche al 4 cilindri MV nell’evoluzione di fine 1956 che si spingeva fino al limite degli 11.000 giri. Ma mentre l’unità di Cascina Costa allungava ulteriormente la corsa raggiungendo i 58 mm (per 52 di alesaggio), la Guzzi 500 V8 disponeva di geometrie interne sottoquadre (alesaggio 44 mm, corsa 41) per una cilindrata unitaria di soli 62,341 cc che, riducendo le forze alterne di massa, favoriva il raggiungimento di un più elevato regime di rotazione. Nel caso specifico fino a toccare il 14.000 giri, come ha raccontato lo stesso progettista nell’intervista pubblicata sul fascicolo n. 6-1995 di Motociclismo d’Epoca. 

Più stretto di un 4 cilindri

Autentico capolavoro di architettura motoristica e schema di frazionamento mai più esplorato nella progettazione da corsa, la nuova unità della Moto Guzzi presentava un ingombro frontale inferiore a quello offerto dalle 500 a 4 cilindri in linea trasversali della concorrenza. Con un peso complessivo della moto, pronto corsa, contenuto in 162,5 kg (circa 5 kg in più della Norton Manx monocilindrica) dei quali 56 da accreditare al motore. Il risvolto negativo da addebitare alla strutturazione 8 cilindri a V, con collocazione trasversale all’asse della macchina, era rappresentato dall’impossibilità di raffreddare adeguatamente la bancata dei cilindri posteriori, da qui l’obbligo del raffreddamento ad acqua (4 litri) con posizionamento del radiatore fronte marcia, dietro la ruota, con ai lati le bobine d’accensione. Per contenere il peso, il basamento era realizzato in magnesio e fungeva anche da fulcro per il forcellone della sospensione posteriore. Con telaio tubolare a doppia culla continua e trave centrale contenente i serbatoi di olio e acqua, forcella a levette oscillanti con ammortizzatori teleidraulici esterni “tanto cara all’ingegner Carcano”, ha sottolineato in una intervista il pilota australiano della 500 V8 Ken Kavanagh.
Il tutto vestito con una carenatura integrale (a “campana”) in lastra d’alluminio battuta a mano, che ha fornito l’ispirazione per una bella special sull’improbabile base della Eldorado!

Che concerto!

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