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Anni 80’: la Kawasaki ZX-10

Nel 1988 Kawasaki conferma con questa super tourer la sua tradizione di moto dalle prestazioni assolute, da record. Motore quattro cilindri straordinario nell’erogazione, grande protezione aerodinamica, ma frizione che si dimostra debole, mentre il peso è davvero elevato

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Possiamo datare l’inizio della guerra delle superpotenze, guerra non ancora finita viste le prestazioni delle hypermoto di oggi, con l’arrivo delle “turbo”. L’offensiva parte da Honda nel 1980: al Salone di Colonia presenta la sua moto fornita di turbocompressore: la base di partenza è la CX500, una pacifica bicilindrica, però permeata di tecnologia allo stato dell’arte. Il grande Costruttore giapponese, oltre a spingere sul piano delle prestazioni (da 50 CV si passa a 82, che diventeranno 100 nella versione di 673 cc), mostra un modello superbo nelle rifiniture, nella qualità costruttiva, una bicilindrica maggiormente votata al granturismo, dalla trasmissione finale con albero cardanico, provvista di una protettiva -bellissima nel design- carenatura. Valorizzare l’aspetto tourer, piuttosto che quello supersportivo, significa dare un preciso messaggio a chi la guiderà: attenzione, è potente, ma non devi avere paura nell’usarla. Sulla scia di Honda si inseriscono le altre giapponesi: prima Yamaha con la XJ650, una quattro cilindri da 90 CV e 653 cc; poi Suzuki con la XN85 che ha 85 CV, cilindrata di 674 cc ed è strutturata per essere una moto sportiva; quindi è il turno, nel 1983, di Kawasaki con la GPZ750, la più potente tra le rivali: il suo quattro cilindri di 738 cc eroga 112 CV. E proprio la Kawa è quella che si guida meglio quando si spinge al massimo. La moda del turbo passa in fretta, velocemente dimenticata per gli oggettivi problemi legati al ritardo di risposta all’acceleratore ai medi regimi e alla successiva “botta” di potenza quando la turbina entra realmente in funzione mossa dai gas di scarico. Dell’era “turbo”, oltre a modelli affascinanti, resta la sofisticata elettronica di controllo del motore, preludio ai sistemi di gestione della potenza che oggi imperano sulle moto.

La ricerca delle massime prestazioni non si ferma con l’interruzione del turbinio di una turbina, anzi continua imperterrita, alimentata dalla crescita delle potenze delle maximoto. E qui la Kawasaki prende il sopravvento perché dopo la GPZ1000RX del 1986 che battagliava contro le Honda CBR1000F e la Suzuki GSX-R 1100, arriva nel 1988 la ZX-10 che vedete in questo servizio. È un progetto tutto nuovo che vede, per la prima volta su una maxi di Akashi, l’uso di un telaio in lega leggera, mentre il motore, che deriva dalla RX, viene completamente rivisto e galvanizzato nella potenza che passa da 125 a 137 CV grazie a camere di combustione, distribuzione, alimentazione, accensione completamente ridisegnati, pistoni e le bielle alleggeriti, trasmissione irrobustita e raffreddamento migliorato. Non siamo ancora davanti alle repliche delle moto che gareggiano in pista (il mondiale Superbike inizia proprio nel 1988), ma abbiamo di fronte una ultracarenata stradale da granturismo veloce, anzi velocissimo visto che è su il record della top speed con 264 km/h. Non solo un incremento di CV, ma un enorme lavoro dei progettisti per risparmiare sul peso, passando dai 238 kg di stazza della RX a soli 222 kg. Per dimagrire di tutti questi kg oltre all’alluminio per il telaio, sono stato tolti 4 kg al motore e affinato ogni componente, compresa la super aerodinamica carenatura, che ricorda soltanto nelle forme il modello precedente. Nuove anche le ruote, l’accoppiata ant e post da 16” viene sostituita da una 17” per il davanti e una 18” dietro. Così si è resa più agile oltre a dotarla di sospensioni riviste, un impianto frenante più efficace (nuove pinze a doppio pistoncino, dischi da 300 mm ant al posto di quelli da 280 e scompare l’antidive sulla forcella).

La ZX è una grossa moto, al pari della RX, e l’assetto in sella è molto turistico, con un cupolino che ripara con efficacia sino a 180 km/h. Solo il serbatoio è troppo largo nella zona posteriore (contiene 22 litri in totale) e costringe a divaricare eccessivamente le gambe. Sicura nella guida, efficace nelle sospensioni, nei freni e ben gommata con le Dunlop K455 radiali, la nuova Kawa resta una moto “massiccia”, ma equilibrata. Sui percorsi più tortuosi la ZX-10 si mostra sempre precisa e non va troppo in crisi quando la si usa sportivamente: le pedane restano lontane dall’asfalto anche verso la massima inclinazione e i freni resistono alle continue sollecitazioni. Quello che veramente sorprende è il motore: questo quattro cilindri vibra poco, ha rumorosità meccanica e di scarico contenute, ma nella prova pubblicata sul numero di Motociclismo di aprile 1988 definivamo l’erogazione della potenza “furibonda”, e il potenziale del motore “davvero tremendo. Oltre i 6.000 giri l’erogazione è mozzafiato con prestazioni che con il turismo hanno ben poco a che fare”. La progressione è impressionante fino all’intervento del limitatore (siamo a 11.500 giri), ed è il 4 cilindri “più esagerato che mai ci sia capitato di provare”. Da record per potenza e velocità massima, la ZX-10 lascia il passo alla Suzuki GSX-R 1100 in accelerazione: sui 400 m da fermo la ZX stacca 10,711 secondi contro il tempo di 10,568 s della GSX-R. Il risultato “deludente” è dovuto all’affaticamento della frizione e al peso elevato della Kawa (la Suzuki è più leggera di ben 29 kg). Scrivevamo che “il motore l'avrebbe meritato il record”. La responsabilità è da rivolgere al reparto trasmissioni: la frizione non incolla a freddo ed è modulabile, ma quando viene stressata mostra segni di fatica e tende a strappare; il cambio è preciso, ma a caldo si impunta. La ZX-10 è una moto dall’enorme potenziale, ma di base il suo progetto non è del tutto coerente. Ha una forte vocazione turistica grazie alla protezione dell’abbondante carenatura, al rigore dell’avantreno che non ha flessioni sulle veloci autostrade e pure per la stazza di oltre 220 kg; d’altra parte lo strabiliante motore da 140,8 CV (all’albero) invita a togliersi vigorose soddisfazioni tra le curve, situazioni che non tutti sono in grado di cogliere al massimo per l’impegno che richiede tutta la moto.

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