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Avere successo a tutti i costi è la cosa più importante?

Che gara interessante quella della MotoGP a Le Mans! Come si suol dire, colpi di scena a gogò. Ma su tutto domina un pensiero: quanto vale la pena insistere ad avere successo a tutti i costi?

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Visto in tv: Bezzecchi vince il millesimo GP mentre, sotto di lui, sfila l'elenco dei caduti di Le Mans.

Che gara! Come sono contento che Bezzecchi abbia vinto, sia pure con un vantaggio risicatissimo (poco più di quattro secondi. Sì, sto scherzando, è un abisso, altro che risicato). Bez è alla sua seconda vittoria e si trova ad appena un punto dalla vetta iridata, dopo ben dieci gare. Sabato c'è stata la Sprint Race in cui sì, qualcuno è caduto, anche di "pesante" (Quartararo) ma, a smentire il credo per cui nella Sprint si ammazzano tutti perché è corta, ecco, il vero macello c'è stato nella gara "vera", quella lunga, dove i piloti sono più riflessivi. Cioè, dovrebbero esserlo, perché si sono sdraiati in otto. Chi da solo (Miller, Marc Marquez, Marini, Mir, Rins: quest'ultimo, iniziando con la R, ha inquinato quella distesa di M), chi facendo coincidere le traiettorie (Bagnaia, Viñales), chi investendo chi era già caduto (Alex Marquez). Incredibile la scena in cui due piloti pacati come Bagnaia e Viñales si prendono a spintoni, per poi tornare ai box serenamente in tre su una moto. Questa strage ha permesso ai tredici sopravvissuti di andare tutti a punti, compresi piloti tornati a correre part time in MotoGP, per sostituire infortunati, come Petrucci, Savadori e Folger. Ah, è riuscito ad andare a punti persino l'unico rookie del 2023, il povero Augusto Fernandez, il cui destino sembrava segnato dalla precedente esperienza di Remy Gardner e Raul Fernandez: bravissimi in Moto2, disastrosi in MotoGP, complice la KTM poco competitiva. Però ho scritto sembrava segnato, perché quest'anno le cose stanno andando diversamente: Binder va fortissimo in quasi tutte le gare, Miller in quasi tutte le mezze gare (poi si sdraia, o perde posizioni) e Augusto s'è permesso il lusso di arrivare quarto, a Le Mans!

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Quelli erano i temi caldi del GP, ma fin da subito io volevo parlare di Marc Marquez, in relazione a ciò che ho scritto nel sommario: quanto vale la pena cercare il successo a tutti i costi?

Chiaramente la missione di vita di Marc Marquez è quella di vincere i titoli mondiali, ci mancherebbe. Ha doti di guida sovrumane, è da sempre un piacere vederlo guidare, per anni è stato il più giovane pilota della Storia a conseguire determinati risultati (cosa che lo ha candidato ad essere il migliore pilota di tutti i tempi). Però è prigioniero del proprio carattere, che lo porta ad essere un vincente, ma al prezzo di incazzature, critiche e polemiche da parte di colleghi e appassionati. Fino al 2015 sembrava il pilota ideale, quello scanzonato, spregiudicato, geniale, che vince dando spettacolo; dopo quella data, nulla è più stato come prima e, da molti, s'è beccato il titolo di "infamone". Successivamente non s'è macchiato di accuse così gravi come quelle del 2015 (avere fatto perdere apposta il Mondiale a Rossi) però è rimasto fedele a due giudizi che di lui ha dato Mattia Pasini, una delle persone più irriverenti e divertenti quando si tratta di parlare dei piloti. Il primo è "Gli ho visto fare cose come mai nessun altro", quindi un complimento del massimo livello; il secondo però è "Non ha idea di cosa sia la sportività". Tutto questo mio pippotto scaturisce dal fatto che, dopo avere compiuto un grosso sbaglio in Portogallo, in cui ha travolto Martin e Oliveira, Marc avrebbe dovuto scontare un doppio long lap penalty nella gara successiva, in Argentina. Non c'era niente da dire, lui era stato palesemente colpevole. Ma poi ha scoperto di essersi rotto una mano, per cui in Argentina non avrebbe potuto correre. La logica avrebbe voluto che il doppio LLP andasse effettuato nella prima gara in cui fosse tornato, invece no. Honda ha fatto ricorso in base a una regola della corte d'appello della FIM, che dice questo: se fai un guaio, dovrai scontare una punizione nella gara successiva. Ma se ti dovessi fare male per motivi estranei al guaio e ti toccasse saltare la gara successiva, la punizione verrebbe considerata estinta. Già questa regola ci sembra una strunzata, ma Honda ha fatto valere il fatto che, al momento della comunicazione della penalità, Marc ancora non sapeva di essersi fratturato alla mano, o almeno questo è ciò che dice. Insomma, con un cavillo alla Machiavelli, Marc s'è salvato, ma mi domando quanto valga la pena fare queste cose. Certo, uno dovrebbe fare il massimo per avere il massimo. Che ne so, manca una gara dalla fine, sei a un passo dalla vittoria e ti capita 'sta cosa? Ok, ci sta arrampicarsi sugli specchi per non fare il LLP. Ma uno come Marquez, che su otto gare ne aveva già saltate sette, aveva così bisogno di salvarsi da quel long lap penalty? Perché, dal punto di vista sportivo, lui è uno che ha fatto cadere due piloti e si merita la punizione: è riuscito a evitarla per un cavillo da azzeccagarbugli, che ne lede ancora di più la "simpatia" sportiva. Ma poi è un continuo comportarsi sempre alla "il fine giustifica i mezzi", anche quando in classifica è messo malissimo. Venerdì, dopo essere caduto nelle prove, ha candidamente spiegato che "Quando sono entrato in rettilineo ho visto che ero ottavo e quindi ho dovuto spingere perché non ero al sicuro dentro la top-10. Così ho preso i rischi che dovevano essere presi, una bandiera gialla avrebbe comunque rallentato i piloti dietro di me". Della serie "vale pure rallentare gli altri". Per cui mi domando: avere il successo a tutti i costi è davvero la cosa più importante? O, magari, è meglio passare alla Storia per essere stato un grande pilota, anche dal punto di vista umano, che scaldava le folle, anche se magari non vinceva i titoli, come Randy Mamola?

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