Chiaramente la missione di vita di Marc Marquez è quella di vincere i titoli mondiali, ci mancherebbe. Ha doti di guida sovrumane, è da sempre un piacere vederlo guidare, per anni è stato il più giovane pilota della Storia a conseguire determinati risultati (cosa che lo ha candidato ad essere il migliore pilota di tutti i tempi). Però è prigioniero del proprio carattere, che lo porta ad essere un vincente, ma al prezzo di incazzature, critiche e polemiche da parte di colleghi e appassionati. Fino al 2015 sembrava il pilota ideale, quello scanzonato, spregiudicato, geniale, che vince dando spettacolo; dopo quella data, nulla è più stato come prima e, da molti, s'è beccato il titolo di "infamone". Successivamente non s'è macchiato di accuse così gravi come quelle del 2015 (avere fatto perdere apposta il Mondiale a Rossi) però è rimasto fedele a due giudizi che di lui ha dato Mattia Pasini, una delle persone più irriverenti e divertenti quando si tratta di parlare dei piloti. Il primo è "Gli ho visto fare cose come mai nessun altro", quindi un complimento del massimo livello; il secondo però è "Non ha idea di cosa sia la sportività". Tutto questo mio pippotto scaturisce dal fatto che, dopo avere compiuto un grosso sbaglio in Portogallo, in cui ha travolto Martin e Oliveira, Marc avrebbe dovuto scontare un doppio long lap penalty nella gara successiva, in Argentina. Non c'era niente da dire, lui era stato palesemente colpevole. Ma poi ha scoperto di essersi rotto una mano, per cui in Argentina non avrebbe potuto correre. La logica avrebbe voluto che il doppio LLP andasse effettuato nella prima gara in cui fosse tornato, invece no. Honda ha fatto ricorso in base a una regola della corte d'appello della FIM, che dice questo: se fai un guaio, dovrai scontare una punizione nella gara successiva. Ma se ti dovessi fare male per motivi estranei al guaio e ti toccasse saltare la gara successiva, la punizione verrebbe considerata estinta. Già questa regola ci sembra una strunzata, ma Honda ha fatto valere il fatto che, al momento della comunicazione della penalità, Marc ancora non sapeva di essersi fratturato alla mano, o almeno questo è ciò che dice. Insomma, con un cavillo alla Machiavelli, Marc s'è salvato, ma mi domando quanto valga la pena fare queste cose. Certo, uno dovrebbe fare il massimo per avere il massimo. Che ne so, manca una gara dalla fine, sei a un passo dalla vittoria e ti capita 'sta cosa? Ok, ci sta arrampicarsi sugli specchi per non fare il LLP. Ma uno come Marquez, che su otto gare ne aveva già saltate sette, aveva così bisogno di salvarsi da quel long lap penalty? Perché, dal punto di vista sportivo, lui è uno che ha fatto cadere due piloti e si merita la punizione: è riuscito a evitarla per un cavillo da azzeccagarbugli, che ne lede ancora di più la "simpatia" sportiva. Ma poi è un continuo comportarsi sempre alla "il fine giustifica i mezzi", anche quando in classifica è messo malissimo. Venerdì, dopo essere caduto nelle prove, ha candidamente spiegato che "Quando sono entrato in rettilineo ho visto che ero ottavo e quindi ho dovuto spingere perché non ero al sicuro dentro la top-10. Così ho preso i rischi che dovevano essere presi, una bandiera gialla avrebbe comunque rallentato i piloti dietro di me". Della serie "vale pure rallentare gli altri". Per cui mi domando: avere il successo a tutti i costi è davvero la cosa più importante? O, magari, è meglio passare alla Storia per essere stato un grande pilota, anche dal punto di vista umano, che scaldava le folle, anche se magari non vinceva i titoli, come Randy Mamola?