Per il suo nuovo “mostro” la Laverda dichiara una potenza di 80 CV a
7.200 giri, una coppia di 8,6 kgm a 4.200 giri e una velocità massima
superiore
ai 210 km/h.
Quanto basta per far sognare i motociclisti dall’animo più
sportivo, disposti
a
chiudere un occhio su alcuni particolari della macchina migliorabili,
come le finiture spartane - specie dei primi esemplari - le sospensioni
inevitabilmente rigide viste le prestazioni e il peso della moto (però
anche gli utenti delle maxi giapponesi di quegli anni si lamentavano, ma
per il motivo opposto), la frizione “granitica” e la scarsa
maneggevolezza,
soprattutto alle basse andature. Anche le bizze all’accensione riscontrate
in diversi esemplari della prima serie, dovute ad un tiristore
dell’accensione
elettronica fornita dalla Bosch che va in tilt per l’umidità,
passano
in secondo piano davanti alle prestazioni di cui la 1000 tre cilindri è
capace.

Per
ò
i capricci dell’accensione costano alla Laverda una campagna di richiamo
per la sostituzione del particolare, che non sono il massimo dal punto
di vista dell’immagine per un modello appena lanciato sul
mercato.
Nelle
prove strumentali dell’epoca, la prima versione riesce a raggiungere una
velocità di punta di 209,74 km/h, con velocità di uscita
dai 400 metri
(percorsi in 12”210) di 174,557 km/h, contro i 212,6 km/h della sua rivale
più diretta - la Kawasaki Z1 900 - che percorre i 400 metri in
12”153
con velocità di uscita di 178,217 km/h. Unica nota dolente della 1000
è
il suo prezzo di vendita: quando arriva sul mercato, nel 1972, costa 1.593.000
IVA compresa.

Sol
o
l’MV Agusta 750 S con le sue 1.980.000 lire è più cara,
mentre tutto il
resto della concorrenza è più abbordabile. La Kawasaki Z1 costa
1.550.000
lire, la Moto Guzzi V7 Sport 1.480.000 lire, la Triumph Trident 1.350.000,
la Suzuki GT 750 1.365.000 lire, la Honda CB750 1.280.000 lire, la BMW
R 75/5 1.240.000 e la Ducati S “solo” 1.180.000 lire.
VENDITE RECORD

Non
ostante
l’handicap del prezzo
i motociclisti risultano gradire la nuova
arrivata,
tant’è vero che le vendite della Laverda quasi raddoppiano nel
giro di
un paio d’anni. Se nel 1971 la Casa di Breganze aveva piazzato sul
mercato italiano 1.915 motociclette, l’anno successivo si passa a 3.082
e nel solo primo semestre del 1973, grazie ai 1.275 esemplari venduti,
si supera addirittura il consuntivo totale del 1970 (1.096).
Ma è
all’estero
che la Laverda 1000 riscuote i maggiori consensi, soprattutto in Inghilterra
dove trova un fertile terreno in un mercato che ha dimostrato di apprezzare
i motori tre cilindri frontemarcia (vedi Triumph e BSA). Il mercato
d’oltremanica
è tenuto nella massima considerazione, al punto che è proprio
l’importatore
inglese Dave Slater a suggerire il nome Jota, preso in prestito da una
danza spagnola, per identificare una delle ultime evoluzioni della tre
cilindri veneta.