ISTANBUL: SULLA SCIA DEI RICORDI La cosa normale, quando si va per la prima volta in un posto che è stato mitizzato per anni, è restare delusi. Nel caso di Istanbul, però, non è successo. Eppure è dalle scuole elementari che sentiamo parlare di questa città in toni esaltanti e la delusione poteva starci, tutto sommato. Ma quello che abbiamo vissuto sulla nostra pelle non ci era mai stato raccontato da nessuno, da quelle strane costruzioni di legno dalle parti di Santa Sofia (sembrano case scandinave) a quel senso di amicizia e cameratismo trasmesso dagli uomini che vanno a pescare in gruppo sul Bosforo. A cavallo del braccio di mare che separa Europa ed Asia, Istanbul gode di una delle posizioni più strategiche del pianeta, ma la prima cosa che ci ha colpito è stato il traffico stradale. La supplente di quarta elementare raccontò che la circolazione di Milano non era nulla, a confronto. “Non puoi circolare con la tua auto - raccontava – perché tutti vanno come pazzi, usano sterzo e clacson al posto dei freni, passano col rosso, si toccano continuamente e non c’è un’auto con la carrozzeria intonsa!”. L’insegnante, ovviamente, ci parlò anche delle moschee, dei misteri del Topkapi e dei tramonti sul Bosforo ma, nella nostra mente di ragazzini, quello che rimase più impresso fu quel traffico delirante. E, da allora, abbiamo sempre legato la città alla mobilità, anche in relazione alla strada per arrivarci. Alle scuole medie, leggemmo di tre ciclisti che erano andati da Torino a Istanbul, passando per quella che, allora, era la via più logica, ossia la Yugoslavia. Per quei ciclisti, ma anche per noi, il fascino di quella traversata di 2.500 km era rappresentato dallo spingersi ai confini estremi dell’Europa, quasi che al di là ci fosse un mondo ancora più vago e inquietante del mare oltre le Colonne d’Ercole. E quel fascino rimane sempre: è di pochi anni fa un’impresa analoga, firmata dal giornalista Paolo Rumiz, dall’insegnante Emilio Rigatti e dal fumettista Altan.