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Sam Sunderland: "Alla Dakar 2022 quasi come giocare a scacchi a 170 km/h"

Dopo il successo alla Dakar 2022 con GASGAS, abbiamo incontrato Sam Sunderland nel quartier generale di Airoh ad Almenno San Bartolomeo (BG). Il produttore del casco che lo ha "protetto" durante la sua gloriosa camminata ci ha accolti per incontrare - e parlare - con il Campione britannico. Dalle difficoltà del roadbook alle difficoltà del 4° giorno, fino al confronto tra Arabia Saudita e Sud America: qual è la migliore secondo Sunderland?

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La Dakar 2022 è ormai terminata e Sam Sunderland si è aggiudicato il suo secondo trionfo in carriera. Il pilota inglese, a 32 anni, ha portato in vetta la neoarrivata GASGAS (che, sotto le sue spoglie "rosse" cela una ciclistica "arancione" firmata KTM), dopo che il primo successo è arrivato con la KTM 450 Rally nel 2017. Per lui è la prima volta che riesce a dominare la categoria delle due ruote nel deserto arabo: prima, infatti, era riuscito nell'impresa in terra sudamericana. Quest'anno ha battagliato anche contro Danilo Petrucci, decisamente sfortunato al suo esordio, che ci ha raccontato la propria esperienza ai nostri microfoni.

Ma dopo i "vinti" è il turno del vincitore: ecco cosa ha raccontato Sam Sunderland in occasione della sua visita ad Airoh, l'azienda bergamasca che lo "ha messo in sicurezza" durante il suo cammino verso la vittoria finale. Per rendergli omaggio, la famiglia Locatelli gli ha preparato un casco celebrativo che lo stesso Sunderland ha avuto modo di assemblare con l'aiuto di ragazzi e ragazze della produzione.

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Sam Sunderland, vincitore della Dakar 2022, visita Airoh Helmets

Un alto livello di competitività quest’anno, non credi?

“Quest’anno la competitività era molto alta: di solito il 50% dei top rider nelle fasi finali era fuori dai giochi oppure troppo lontano per sperare nella vittoria. Quest’anno c’erano almeno 6 piloti che all’ultima tappa potevano vincere, me compreso. Infatti non ho mai dato per scontato nulla: finchè non ho tagliato il traguardo dell’ultima tappa, non ho mai avuto la vera sensazione di “avere in mano qualcosa”. Mi ricordo che quando sono arrivato al traguardo chiedevo ai miei uomini “Ma ho vinto?” e nessuno sapeva darmi una risposta. Poi è arrivata la notizia, ed è stata una gioia infinita”

C’è stato un momento in cui hai veramente pensato di non vincere la Dakar 2022?

“Sicuramente è stato il Giorno 4. ho avuto un grande incidente e mentre pensavo di mollare, ho trovato la motivazione per andare avanti. Avevo perso praticamente entrambi i freni, avevo male dappertutto, ero in mezzo al deserto… da una parte volevo abbandonare, dall’altra ho pensato a tutti i sacrifici che ho fatto durante l’anno per essere dov’ero. In questi piccoli momenti, ho trovato la motivazione per continuare. Arrivato a fine giornata avevo perso circa 5 minuti, ma avevo mantenuto la leadership e… ho tirato un gran sospiro di sollievo!”

Tra l’altro, la navigazione non è stata per nulla facile…

“Negli ultimi 3 anni la navigazione si è fatta decisamente più complessa. Il roadbook presentava scritte decisamente piccole o confuse nell’ultimo box di ciascuna riga, cioè di ciascuna indicazione: è come giocare a scacchi andando a 170 km/h tra sassi e sabbia”

Come hai gestito il tuo problema al polso destro?

“Nell’ultima Dakar (2021, ndr) ero arrivato 3° e ho sofferto sin dal primo giorno di una forte tendinite, come se avessi il fuoco nella mano. Per risolvere la situazione una volta per tutte, sono andato dal Dr. Mir (famoso per curare e operare tanti piloti della MotoGP, ndr) nonostante avessi solo 15 giorni per recuperare definitivamente. Anche il Dottore mi ha detto che se avessi avuto 3 settimane non ci sarebbe stato nessun problema. Ma 2 settimane… non sarebbe stato perfetto. Sono stato molto attento e fortunatamente non ho mai avuto alcun tipo di ricaduta”

Com’è cambiata la gara da Sud America all’Arabia?

“Non in termini di deserto, perché ora c’è ampia diversità in termini di scenario desertico, ma in Sud America c’era più idea di avventura perché si attraversavano diversi paesi. Mi ricordo che un giorno partivo per andare sulle montagne a -3 °C e poi, il pomeriggio, ero tra le dune a 45 gradi. Ma poi lì c’era uno spirito diverso per la competizione, con tanta gente pronta a vedere i piloti”

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