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Un popolo di navigatori…

Quattro chiacchiere con Stefano Viganò, l’AD di Garmin, per capire in che direzione va la navigazione satellitare, in un mondo sempre più popolato da smartphone e strumentazioni motociclistiche simili a tablet
L’idea di orientarsi sulla Terra utilizzando dei satelliti capaci di identificare la nostra posizione risale alla fine degli anni 50, quando il dipartimento della difesa degli Stati Uniti ideò e sviluppò il sistema Transit, superato poi, negli anni 70, da quello GPS (Global Positioning System). Questo sistema, nato per scopi militari, è stato reso pienamente sfruttabile per l’uso civile solamente nel 2000 (quando venne eliminato un errore volutamente applicato per togliere precisione al segnale), ma già in precedenza c’era chi ne aveva capito il potenziale al di fuori dell’ambito bellico. Ad esempio, a metà degli anni 90 ha iniziato a stravolgere il modo di navigare alla Paris-Dakar. E già nel 1989 c’erano due ingegneri, Gary Burrell e Min Kao che, in un garage del Kansas, avevano iniziato a realizzare dei prodotti destinati all’uso civile. Fondarono la Garmin e oggi sono a capo di un impero, con 50 uffici nel Mondo (che loro definiscono “centri di pensiero”), oltre 11.000 dipendenti e tre milioni di dollari di fatturato all’anno. Sono completamente autosufficienti, sia a livello hardware sia software, fanno tutto loro, dal progetto teorico alla consegna in negozio e sono quotati in borsa.

In redazione siamo consumatori abituali dei loro prodotti, ma siamo fieramente divisi tra i sostenitori del navigatore (che ti dice come raggiungere in fretta l’indirizzo che ti interessa) e del tracciatore, che in Garmin chiamano outdoor (dove tu disegni un percorso, anche al di fuori delle strade e poi lo segui). Così, quando siamo andati alla sede di Garmin Italia (a Milano, in via Gallarate) a intervistare l’amministratore delegato Stefano Viganò, di fatto era in atto una sfida. Sportivo e informale, possessore di una Harley-Davidson Electra Glide ancora a carburatori, con la sua risposta ci ha mandato a casa con la coda tra le gambe: “Come navigatori abbiamo gli Zumo, come outdoor da moto i Montana e il 276Cx. Ebbene, tra tutti fanno il 7% del nostro fatturato in Italia. Per l’esattezza, il 5% lo facciamo con gli Zumo e il 2% con Montana e 276 (da dividere tra moto e 4x4). Mentre con gli altri prodotti outdoor deteniamo il 95% del mercato italiano, ma sono usati soprattutto da chi va a piedi in montagna”.

L'intervista a Stefano Viganò (Amministratore Delegato Garmin Italia)

Siamo stupiti: pensavamo di contare di più, noi motociclisti. Tra l’altro, a livello outdoor usano tutti Garmin, mentre come navigatori sembra che vi stiate dividendo la torta con Tom Tom.
“Ci dividiamo il 50% del settore moto, mentre nel settore auto loro hanno il 60% del mercato dei navigatori. Si può dire che noi siamo più tecnologici e loro più popolari. Ma è un settore destinato a finire, dato che sono sempre di più le auto che escono con i navigatori integrati di serie. Il navigatore esterno è destinato all’estinzione. Un tempo era il regalo di Natale per eccellenza, oggi non più, soprattutto in un Paese come l’Italia, dove lo smartphone domina su tutto. In Germania e Francia i navigatori vanno ancora bene”.

Già, dovete fare i conti anche con la concorrenza delle app che trasformano gli smartphone in navigatori da manubrio. Perché dovrei comprare uno Zumo, se ci sono queste app?
“Perché usare uno smartphone in moto è macchinoso, non essendo nato per questo: richiede una custodia a prova di urti ed acqua, va trovato un sistema per connetterlo elettricamente in maniera stabile, non si legge bene sotto il sole…”.

Però le fate anche voi le app per il cellulare.
“Sì, come la Street Pilot, ma le facciamo per venderle. Costano. Mentre in giro si trovano gratis. Semplicemente, è molto meglio procurarsi un dispositivo nato apposta per navigare e per stare su un manubrio. Oltretutto, i nostri navigatori hanno dispositivi come la monitarizzazione della pressione degli pneumatici, o la funzione Round Trip che ti crea la gita su misura”.

Con i navigatori outdoor per moto fate solo il 2% del fatturato, ma siete sempre presenti a manifestazioni tipo la Hardalpitour o il Transitalia.
“Certo, ci crediamo. Ma ci vanno 500 persone al massimo, siete la nicchia della nicchia”.

Mentre alla maratona di New York ci vanno più di 50.000 persone, tutte potenziali utilizzatrici dei vostri smartwatch che tracciano il percorso e trasmettono dati “da corsa” come la frequenza cardiaca ed altro.
“Esatto. Noi oggi rappresentiamo l’80% delle vendite degli orologi da running in Italia. Lo sapete che gli smartwatch sono il regalo di Natale per eccellenza, oggi? Siamo i numeri uno in Italia mentre, nel Mondo, siamo in concorrenza con Apple e Samsung: abbiamo circa un terzo del mercato a testa”.

Come siete messi negli altri settori?
“Ci consideriamo una roccaforte della tecnologia satellitare destinata a migliorare la qualità della vita. Come Bergamo al sicuro dentro le proprie mura. Siamo i primi al Mondo nel settore nautico. In Italia deteniamo l’80% del mercato dei computerini da bicicletta dotati di navigatore e funzioni tipicamente ciclistiche come la cadenza di pedalata o la frequenza cardiaca. Ma esploriamo ogni direzione. Abbiamo il GPS per controllare lo spostamento degli animali domestici: avete idea quanto costi perdere un cane da tartufo? Abbiamo da poco presentato l’inReach, che lancia un segnale di soccorso in caso di difficoltà in zone isolate. Stiamo studiando connessioni sempre più articolate tra navigatore, smartphone, smartwatch e videocamere, di cui abbiamo da poco presentato anche la versione a 360°”.

Noi parliamo sempre di divisioni tra appassionati del navigatore e del tracciatore, ma perché non fate uno strumento unico? Con lo Zumo si naviga bene e si traccia male, con il Montana succede il contrario.
“I nostri clienti sono molto esigenti. Noi non siamo mai leader dell’entry level, Vendiamo più prodotti da 700 euro che da 400, abbiamo un pubblico elitario. Così preferiamo creare un prodotto specifico per la navigazione e uno per la tracciatura e non realizzare un unico prodotto che faccia tutto, ma male. Pensa solo agli spessori: lo Zumo è sottile, ma questo implica che debba avere batterie più piccole e meno durature. Mentre il Montana è fatto per durare otto ore, ma è troppo spesso”.

Ma lo spessore del Montana non dà alcun fastidio su una moto, del resto sul sito Garmin c’è scritto che è progettato anche per le biciclette, tanto che può essere dotato di cardiofrequenzimetro e lettore della cadenza di pedalata.
“I ciclisti sono sensibili al peso, preferiscono i Garmin Edge, 70 grammi contro i 300 del Montana”.

Stanno prendendo piede le strumentazioni-tablet anche sulle moto, con dei begli schermi TFT da 7 pollici: non pensate di entrare in questo mercato come primo equipaggiamento, dotando quegli schermi di navigatori Garmin?
“È ancora presto per parlarne. Ma è una tendenza di cui tenere conto”.
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