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Inquinamento: quale futuro?

Nel 2020 entrerà in vigore la normativa Euro 5. A cosa porterà la progressiva riduzione degli inquinanti e dei consumi? Sarà una stretta micidiale - per quanto giusta, in termini ecologici - all’esistenza stessa delle moto, o possiamo aspettarci una svolta?
1/14 In certe parti del mondo questo è ciò che si può vedere ogni giorno su qualsiasi strada
Chi di voi ha considerato come elemento di valutazione nella scelta del modello da acquistare, i valori degli inquinanti emessi dalla futura vostra moto nuova? Le normative anti-inquinamento, le “Euro” per capirci (sono per la precisione denominate, in linguaggio tecnico, con il numero dell’articolo di Legge corrispondente, difficilmente memorizzabile), sono spesso considerate in funzione della possibilità di circolare o meno nelle città in cui i limiti ai cosiddetti “veicoli inquinanti” sono sempre più stretti. Attenzione: precisiamo che questa considerazione non è frutto di una seria analisi statistica, ma nemmeno è una semplice opinione personale: è quello che quasi sempre ci capita di sentire nei discorsi tra motociclisti (e automobilisti, sia chiaro), una sensazione di quello che sembra essere il pensiero comune. Intendiamo dire che la sostituzione della moto, dello scooter (e dell’auto), per passare a un’”Euro” più recente, sia motivata da esigenze di accesso ad aree sottoposte ai divieti anti-inquinamento, sempre più ristretti e riferiti ad aree anche extraurbane. Senza troppo generalizzare, il destino del Pianeta non ci sembra però il motivo principale che spinge ad aprire il portafogli per cambiare una moto troppo inquinante.

Di che Euro 6?

Siamo arrivati alla Euro 5 velocemente. Molto velocemente considerando i tempi di realizzazione di una moto e soprattutto di un motore nuovo, per quanto anche questi si siano velocizzati, con lo sviluppo di nuovi mezzi tecnologici. La Euro 1 era applicata ai veicoli immatricolati nel 1993, ma più che i 25-26 anni che la separano dall’attuale normativa, impressiona l’escalation “verticale” dei valori e della tipologia dei limiti imposti. Se infatti le prime versioni, Euro 1, 2 e 3, stabilivano limiti che “ragionevolmente” potevano essere rispettati dai motori dell’epoca (1993-1995-1999) prima con regolazioni accurate della carburazione, poi rinunciando un po’ di coppia nelle “riprese” a gas spalancato e infine con l’adozione di “barcollanti” soluzioni tecniche come i catalizzatori a 2 vie e “Retrofit” di varia progettazione, con l’arrivo della Euro 4 sui tavoli da lavoro degli ingegneri si deve essere creato un po’ di gelo negli Uffici Progettazione delle varie aziende. Eh, già, perché le diverse normative, Euro 5 compresa, non suggeriscono soluzioni, ma sottopongono problemi ai Costruttori. In altre parole, le norme indicano i valori da rispettare, che siano riferiti alle emissioni allo scarico, al rumore e poi agli equipaggiamenti di sicurezza e via via limitando. Ma non indicano come si debbano conseguire tali risultati. Prima della Euro 4 quasi tutte le Case hanno superato le sfide proposte dalle Euro. Dopo la 4, alcuni piccoli Costruttori sono stati costretti ad adottare propulsori di Aziende più strutturate e con le risorse tecniche e finanziarie indispensabili a costruire motori e moto in grado di “starci dentro”. L’altra opzione era chiudere.

Honda un passo avanti

Quando si discute di limitazioni “ecologiche” e tecnica motoristica, in genere è uso guardare a ciò che avviene in California nel mondo dell’automotive per conoscere quel che avverrà dopo 4-5 anni anche in Europa. Per quel che riguarda le moto, basta fare lo stesso osservando le strade che le grandi Case - con i marchi giapponesi in testa - intraprendono. Prima tra tutte Honda. La Euro 4 ha chiarito molto bene la direzione da intraprendere e, con quasi un decennio di anticipo, il colosso nipponico ha capito l’antifona, eliminando del tutto dalla propria gamma i propulsori a 2T e sostituendoli con i meno inquinanti (benché più complessi e pesanti) 4 tempi anche sui “cinquantini”. Questa scelta ha abbacchiato il morale di molti, vista la drammatica diminuzione di prestazioni e di “appeal” delle moto destinate al pubblico attratto da queste caratteristiche, ovvero i giovani, ma la strada era tracciata. Dopo aver eliminato i 2T, Honda ha anche ridotto il regime di giri di tutti i propri motori (ve ne eravate accorti?), fino a realizzare il bicilindrico parallelo con minor allungo della storia (quello che equipaggia le serie NC): dopo uno studio su scala mondiale, i suoi progettisti si sono accorti che il 90% dei motociclisti usa il motore in un range che, partendo dai 2.000 giri/min, quasi mai supera i 6.000 giri/min. Il che non è una valutazione da poco, perché rende molto più “semplice” il lavoro futuro sulle emissioni allo scarico, rumorosità meccanica, sui vapori oleosi del carter e moltissimi altri aspetti puntualmente considerati dalla Euro 5.

Gimme Five

Già la Euro 4, entrata in vigore nel 2006, ha portato una rivoluzione vera nel modo di costruire e di interpretare le soluzioni ingegneristiche da adottare sulle moto, così come nel nel gergo dei test sui giornali. Termini come “pick-up del gas” (cioè il primo cruciale millimetro di riapertura dell’acceleratore), “effetto on/off” (l'erogazione che funziona come “acceso/spento”), e poi sonda Lambda, closed-loop e via discorrendo. Allocuzioni usate per descrivere, sfruttando la sintesi della lingua Inglese, gli effetti – negativi – dei primitivi sistemi di iniezione elettronica, diventati indispensabili, assieme a catalizzatori “a tre vie” per ottemperare ai limiti imposti senza rinunciare alle prestazioni. La Euro 5 sarà drammaticamente più restrittiva in termini di inquinanti allo scarico, ma introdurrà anche nuovi metodi di rilevazione del rumore che non sarà solo quello emesso allo scarico in “statica” (più avanti parliamo delle limitazioni Euro 5 nel dettaglio), un nuovo livello di diagnostica di bordo in grado di essere ”consultata” anche dalle Forze dell’Ordine, e altri limiti e sistemi di bordo relativi alla sicurezza dinamica che hanno agitato molto più i progettisti, rispetto a quando si trovarono sul tavolo da lavoro la Euro 4. Siamo ormai nel 2019 e l’applicazione, pur con tempi e modalità progressivi, è prevista per gennaio 2020: in termini di industrializzazione di una moto equivale a uno scatto di lancetta d’orologio… quella dei secondi.

Il tempo corre, le moto meno

I tempi di applicazione di alcuni provvedimenti previsti dalla Euro 5 sono al centro di verifiche di fattibilità; c’è poco da scherzare, molto da lavorare e tantissimo (in termini economici) da spendere per “mettersi in regola” con quest’ultimo livello del gioco al ribasso delle emissioni. Non entreremo nei dettagli più minuti perché sono tantissimi, ma in sostanza le moto Euro 5 saranno… una sola. Mentre prima esistevano differenze di limiti di emissione ammessi per le varie categorie, ora saranno considerati allo stesso modo le moto “vere”, i ciclomotori e le minicar (le “macchinine” che si possono condurre a 14 anni), che in questo modo riceveranno una bordata mica da poco, mettendo a rischio la loro esistenza, visto che i Costruttori dovranno sopportare spese notevolissime per adeguarsi. C’è poco da ridere anche per i colossi delle moto "vere": Honda ad esempio non ha fatto una piega quando si è resa conta che i motori tiratissimi delle medie supersportive avrebbero richiesto uno sforzo tecnico non ripagabile dal mercato. Un esempio? La Honda CBR600RR - zac! - è stata cancellata dal catalogo e buonanotte. Per fortuna alcune richieste, come la diagnostica di bordo (la centralina con connettore unificato che raccoglierà i valori degli inquinanti salvandoli in memoria assieme a diversi altri parametri), sono già in produzione e potranno essere acquistate e montate bolt-on senza spendere tempo denaro e risorse.

Qui ne parliamo estesamente, avendo visitato Texa, l’azienda italiana leader in questa tecnologia. Altre novità: il rilevamento dei vapori della benzina emessi dal serbatoio, il canister (raccoglitore dei vapori oleosi provenienti dal carter), e il rilevamento del rumore della moto nel corso di una prova “di passaggio”, che ha costretto (come da noi scritto nel test della MV Agusta Turismo Veloce Lusso) anche la revisione del rumore prodotto dalle molle all’interno della forcella, di quello della distribuzione, della frizione, del rotolamento dei cuscinetti e anche quello che viene generato dalla catena della “finale” e degli pneumatici sull’asfalto, oltre al fruscio aerodinamico. I rilevamenti degli inquinanti, inoltre, avverranno secondo un ciclo già introdotto con la Euro 4, molto più “severo” e praticamente in costante “transitorio”, cioè con il motore in accelerazione o rilascio del gas, fasi in cui mantenere le emissioni nel range bassissimo richiesto è davvero difficile. Il CO, monossido di Carbonio, dovrà infatti essere inferiore a 1 g/km, gli NOx (ossidi di Azoto) sotto i 0,006 g/km, e gli HC (idrocarburi incombusti) dovranno essere inferiori a 0,1 g/km. Infine per le moto che superano i 130 km/h è prevista una verifica egli inquinanti emessi dopo 35.000 km di percorrenza. Insomma si è partiti da moto Euro 0 per arrivare a moto da emissioni… zero. Una domanda però sorge: il veicolo che meno inquina è quello che in primis meno consuma. Una moto Euro 4 può consumare molta benzina in meno rispetto a certi SUV Euro 6. Senza contare che le gomme sono 2 e non paragonabili come quantità di materiale da smaltire a quelle di un’automobile media. Lo stesso dicasi per la plastica, l’acciaio, l’alluminio, l’oro (delle mille centraline e circuiti elettronici), e qualsiasi materiale “di costruzione”. Perché questi parametri non sono considerati nelle sacrosante Euro? Di questo passo l'obiettivo delle Zero Emissions a cosa porterà? O passeremo tutti alla propulsione elettrica, oppure utilizzeremo combustibili diversi.
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