Inizia così il progetto di Michele Fabbris per un cliente che desidera una classica di sapore vintage, ma da poter usare tutti i giorni e capace di rivaleggare con naked più moderne in tema di prestazioni ed efficacia di guida. Il suo lavoro dura quattro mesi e vale circa 25.000 euro. Troppo, dite voi? Aspettate di arrivare all’ultima riga, prima di giudicare. Nella prova della Honda CB750F SevenFifty, sul fascicolo 10/1992, Motociclismo commentava una moto con una “ottima guidabilità, comoda e versatile”, “poco impegnativa e tuttofare”, ma accusava anche un’estetica “fin troppo discreta”. Ecco allora che le sovrastrutture originali sono accantonate: rimane solo il serbatoio da 20 litri (bello lungo e stretto il giusto da stringere tra le gambe) riverniciato di un vivace giallo-oro che attinge a piene mani alla tradizione Honda. Fianchetti e codino finiscono nel bidone della plastica da riciclare, seguiti dalla sella, che è completamente ricostruita e accorciata. Il retrotreno rimane così sensualmente “nudo”, con il parafango in alluminio a filo ruota e il monolitico portatarga assicurato ad un braccio del forcellone. La seduta è ampia abbastanza per ospitare comodamente anche un pilota di statura medio-alta; assume però un look filante e perfettamente raccordato al telaietto, tagliato per non superare la proiezione del perno ruota posteriore. Le pedane rialzate e arretrate, insieme ai mezzi manubri non troppo spioventi completano un’ergonomia più aggressiva persino della CB di Eduard Bracame (l’Ed il polso del Joe Bar Team, ricordate?). Ma se il protagonista dei fumetti era più fanfarone che “manico” vero, con la SevenFifty 2.0 – così è ribattezzata questa special – ci si può togliere la soddisfazione di tenere dietro a qualche neoclassica appena uscita dal concessionario. Il motore non è stato stravolto, ma solo revisionato. Nel 1992, il settemmezzo raffreddato ad aria aveva erogato 74 CV all’albero, al nostro banco prova. Con cornetti liberi e scarico un po’ più aperto dell’originale potrebbe esprimerne qualcuno di più, ma quello che più conta è che il quattro in linea giapponese non ha perso nemmeno un grammo della coppia generosa e dell’elasticità che lo caratterizzano. Spinge da subito e con gran progressione. Non spaventa: ha i CV “giusti”, senza esagerare, ma talmente ben erogati da non voler chiedere niente di più. E che sound! Grintoso, pieno, avvolgente; ma non tanto assordante da attirare le imprecazioni dei passanti. La frizione, come annotato tre decenni fa, non è il top per modulabilità e così si riconferma oggi, ma fa il paio con un cambio perfetto per dolcezza e precisione negli innesti.