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Honda Hornet 600 (1998): il volo del Calabrone

La Hornet è stata una delle moto di maggior successo di Honda. Le vendite nel nostro Paese (dal 1998 al 2015) hanno sfiorato i 100.000 pezzi. Motore derivato dalla 4 cilindri CBR600F, telaio dall’ossatura originale a sezione rettangolare e ruota anteriore da 16”. Grande agilità grazie a misure contenute e peso ridotto. Migliorabili la forcella e l’autonomia

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Max Biaggi, uomo Honda nel 1998 (secondo posto nel Mondiale della 500) si esibisce con la Hornet

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Cosa cambia tra la nuova Hornet (qui il nostro test) e quella di 24 anni fa? A parte Max Biaggi in azzardato stoppie (che vedete nella foto qui sopra), la vera differenza sono due cilindri in meno per un motore che era considerato leggendario. Ora abbiamo praticamente la stessa potenza (erano 96 CV per la prima Hornet, e sono 92 per quella di oggi), ma con cilindrata diversa (599 cc e quattro cilindri nel 1998, e ora sono 755 cc e due pistoni).

Il motore della naked del 1998, (quella che punge perché Hornet vuol dire calabrone) arriva direttamente dalla CBR600F, la sportiva carenata, ma viene rivisto nell’erogazione per gestire una potenza minore (da 105 a 96 CV), carburatori ridotti nel diametro (da 36 a 34 mm), differente mappatura dell’accensione, impianto di scarico dalla forma diversa e dotato di un sistema anti inquinamento che invia aria fresca nei condotti di scarico per avviare una post combustione e abbattere gli inquinanti. La parte ciclistica si ispira alla versione di 250 cc, in vendita in Giappone, e verte su un telaio monotrave in tubo dal profilo rettangolare, il cerchio anteriore è da 16”, quello posteriore da 17” e le misure degli pneumatici sono le stesse di quelle adottate per la CBR900RR.

La Hornet diventa subito una moto di grande successo e dal 1998 al 2015 ne sono state vendute quasi 100.000: l’anno migliore è stato il 2003 con 11.776 immatricolazioni che corrispondono anche al primo posto nelle registrazioni tra le moto; il vertice sul podio delle targature è stato raggiunto anche nel 2000 (7.896 pezzi), poi 2001 (10.878), 2002 (9.691), 2004 (9.725), e 2007 (8.974).

Inizialmente la Hornet arriva direttamente dal Giappone, ma nel 2001 viene costruita ad Atessa, nella fabbrica che Honda Italia ha in Abruzzo, in provincia di Chieti. È la prima volta che il più grande Costruttore mondiale affida la produzione di una quattro cilindri al di fuori del Giappone. È un segno di grande considerazione per questa fabbrica che in quegli anni occupa 850 dipendenti e che è in grado di sfornare 110.000 veicoli. Anche la Dominator 650 esce dalle linee di montaggio della Val di Sangro, e le previsioni per la Hornet indicano 18.000 pezzi annui. La qualità di questa quattro cilindri, che viene costruita col 65% dei pezzi che arrivano da fornitori italiani, è davvero buona: a suo tempo visitammo la fabbrica di Atessa e la "difettosità” alla fine della catena di montaggio era molto bassa, limitata a pochi esemplari.

Guardando le moto sembravano perfette anche quelle scartate, tre di numero, ma i tecnici giapponesi ci avevano mostrato che queste Hornet non potevano essere inviate nelle concessionarie perché il manubrio aveva un punto di cromatura non proprio perfetto. Difficile pure da individuare, invisibile perché presente nella zona di attacco alla forcella. Ma i severissimi ingegneri di Honda l’avevano allontanata e posizionata all’area destinata alle moto da rivedere.

Le modifiche al motore ne addolciscono il carattere tanto è vero che si può spalancare l’acceleratore già a 4.000 giri; da 5.000 in avanti il quattro cilindri è molto vispo e placa la sua azione arrivati a 13.500, dove l'accensione viene "tagliata" dall'elettronica. Conviene cambiare rapporto molto prima, a 12.000 giri, tanto il motore spinge sempre con forza. Al banco prova della nostra rivista la potenza rilevata alla ruota è di 85,16 CV, 6 in meno rispetto alla CBR600F, la coppia massima è di 5,82 kgm, sono 5,86 per la sorella più sportiva. Come velocità massima abbiamo 232,9 km/h e il peso è di 186 kg a vuoto di carburante. Il cambio, lo stesso della CBR-F nella rapportatura interna, ha un minimo di impuntamento quando si cambia marcia verso il massimo dei giri, mentre per la Hornet la rapportatura finale si allunga (un dente di corona in meno, da 43 a 42), condizione permessa dalla differente erogazione della potenza e dal minor peso della moto (per la CBR600F ci sono 11,4 kg in più).

Abbiamo a che fare con un motore esaltante, sportivo e il suo comportamento ben si coniuga con il resto della parte ciclistica. La posizione di guida aiuta molto a destreggiarsi tra le curve: grande manubrio da controllo totale, pedane non troppo alte, super maneggevolezza: insomma, abbiamo a che fare con la classica “bicicletta”. Questo tra le curve di un tortuoso percorso di montagna.

Su pista, almeno quella di Cartagena in Spagna dove abbiamo avuto nel 1998 il primo assaggio della moto, non si sono evidenziati problemi di assetto: solo frenando forte la forcella risulta troppo cedevole nel comprimersi, scomponendo il miglior assetto. Sui curvoni stradali, la Hornet (o per meglio dire il suo pilota) soffre della essenziale nudità. La pressione dell'aria è rilevante sin da 130 km/h e occorrono muscoli del collo ben allenati per mantenere per lungo tempo andature più elevate. Qualche imprecisione dell'avantreno si avverte in caso di asfalto sconnesso: la Hornet accusa delle oscillazioni, sempre ben controllabili. Molto veloce nello scendere in piega, con una maneggevolezza da cilindrata ben inferiore (ricordiamo che deriva da una 250), questa Honda è equilibrata grazie anche ad un peso ben distribuito tra i due assi (ufficialmente viene dichiarata una ripartizione di 49,7% davanti e 50,3% dietro). Le strade più tortuose e labirintiche diventano così un vero piacere, grazie anche all’aderenza dei larghi pneumatici Michelin TX.

Ma la Hornet si presta a ben figurare anche in mani non esperte, tanto è facile da portare a spasso; addirittura, potrebbe costituire un'ottima base di partenza per chi vuole cominciare a conoscere la guida sportiva: si può permettere qualche errore, facilmente rimediabile grazie alla buona maneggevolezza e alla rapidità di risposta della ciclistica. La frenata, invece, non è prontissima, poiché per avere una decelerazione soddisfacente bisogna premere forte sulla leva. È vero che la pressione sul freno anteriore è proporzionale agli spazi di arresto, però ci si aspetterebbe una miglior risposta al comando.

Che sia una moto davvero divertente lo conferma anche Max Biaggi. Al di fuori delle moto da GP il suo abituale contatto con le due ruote è un poco limitato e preferisce muoversi con lo scooter nel centro di Roma. Ma la Hornet lo intriga e durante la sessione fotografica, dove l’abbiamo coinvolto per la copertina del numero di marzo di Motociclismo, insiste per scattare altre immagini: "Che ne dite di un paio di controsterzi? Quella curva in alto non è male e poi si può fare un bel burn-out per scaldare le gomme". Il pneumatico ha ora un profilo meno soddisfacente per le pieghe, molto, molto più adatto a un dragster!

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