La CBF1000 è la prima maxi costruita ad Atessa e costituisce una vera svolta
nella qualità produttiva dello stabilimento italiano Honda. In Italia si
realizzano anche tutti i test di guida, affidabilità e durata
“
Adesso ci sentiamo pronti per fare tutto”.
Silvio Di Lorenzo, Vice Presidente di Honda Italia, è visibilmente soddisfatto.
Avrebbe motivo di esserlo già per il fatto di essere l’unico Vice
Presidente
non giapponese. La lista dei traguardi dello stabilimento abruzzese è
impressionante:
primo a esportare in Giappone una moto Honda prodotta fuori dalla
madrepatria
(la NS125F, 1987); primo a produrre una moto oltre 350 cc in Europa
(la NX650 Dominator, 1994); primo in Italia fra le aziende metalmeccaniche
ad ottenere la certificazione ISO 14000 (la normativa sul rispetto ambientale,
1996); primo a mandare in produzione un veicolo Euro 3 (l’SHi, già a
inizio
2005). Già questi risultati, oltre ai volumi (quasi 150.000 veicoli
l’anno)
fanno di Atessa uno dei 5 stabilimenti Honda più importanti, sugli 81 sparsi
per il mondo.
“
Ma la CBF è la svolta più grande dopo la
Dominator”, insiste
Di Lorenzo: “
Dopo questa moto ci sentiamo pronti per qualsiasi
progetto:
ci piacerebbe fare qui anche i motori, ma questo non è possibile a causa
delle sinergie con il resto della produzione della serie CB”.
Il motore infatti arriva già pronto e impacchettato da Hamamatsu. Ma
mettere in piedi una linea di
assemblaggio e collaudo che rispetti i
severissimi standard qualitativi Honda non è comunque uno scherzo.
Anche perché la componentistica locale incide per non meno del 47%: e per
locale si intende approvvigionata in Europa, prevalentemente in Italia.
Per essere ancora più precisi, nell’
indotto che lo stabilimento si
è letteralmente fatto crescere intorno, in Val Di Sangro, aiutando moltissimi
fornitori a imparare le metodologie di lavorazione più evolute.
La produzione avviene per lotti di 60 unità (corrispondenti ai lotti di
motori inviati dal Giappone) per un totale che può andare dalle 300 alle
420 unità al giorno circa. Dunque tra i 5 e i 7 lotti al giorno, fra
i modelli CB 500, CBF600, Hornet 600 o CBF1000, determinati in base alle
richieste del mercato.
Le parti comuni con la CBF600 non sono poi molte: alcuni particolari della
carrozzeria come le frecce, i cerchi e le misure delle gomme, lo scarico
(ma i silenziatori sono due) e la forma del telaio, le cui quote sono comunque
più abbondanti. Cambiano invece molte plastiche, serbatoio e strumentazione.
L’assetto della moto è stato definito in Italia, in funzione dei
clienti
europei.
I nostri si sono occupati di tutti i test, dalla fase di sviluppo a quelli
per l’industrializzazione, fino a quelli finali sul prodotto (dinamica
di guida su strada e in pista, funzionamento del motore, durata, affidabilità,
omologabilità).
I giapponesi ora si fidano, ma continuano a non scherzare:
la qualità per loro è più sacra di una vacca per un indiano.
Lo stabilimento ha ormai raggiunto il livello minimo di difettosità degli
stabilimenti Honda in madrepatria, tanto è vero che controlli che fino
a 10 anni fa venivano seguiti da Hamamatsu sono ora in gran parte affidati
ai “locali”.
Ma davvero non ci sono differenze tra una 1000 made in Atessa e una made
in Hamamatsu? Risponde l’
ingegner Giuseppenicola Serrecchia, vice
direttore
di stabilimento. “
Beh, un gap ci sarà sempre, dovuto alla diversa
mentalità. Il giapponese è più metodico, ordinato. Ma in Giappone puntano
a dare a tutta la produzione una qualità uniforme, a prescindere dal luogo
di produzione. Lo chiamano “made in global Honda”, e posso dire con
orgoglio
che Atessa è uno degli stabilimenti dove questa qualità è migliore”.
L’Italia è per Honda una sede strategica: dopo la serie CBF,
qui
nasceranno
molte altri modelli destinati al mercato europeo, per la tendenza a produrre
le moto direttamente nei mercati di vendita.
(Cristian Cavaciuti)