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09 October 2007

Guida all'acquisto: Triumph Bonneville

La Triumph Bonneville venne presentata nel 1959 con la cilindrata di 650 cc e rimase in produzione fino al 1988. Presto divenne un mito per le sue brillanti prestazioni e per essere il simbolo di una generazione ribelle che si può collocare tra l’inizio e la fine degli Anni Sessanta.

Come nasce




La Triumph Bonneville venne presentata nel 1959 con la cilindrata di 650 cc e rimase in produzione fino al 1988. Presto divenne un mito per le sue brillanti prestazioni e per essere il simbolo di una generazione ribelle che si può collocare tra l’inizio e la fine degli Anni Sessanta. Poi, nel 1983, fu la Triumph stessa a chiudere lo storico stabilimento di Meriden per insanabili dissesti finanziari. La costruzione della Bonneville proseguì però fino al 1988 grazie a Les Harris (Racing Spares) di Newton Abbot.

Quell anno, dopo 300.000 esemplari prodotti in totale dal ‘59, sembrava proprio che per la “Bonnie” fosse giunta la fine. Ma nel 1991 la Triumph rinasceva nel nuovo stabilimento di Hinckley grazie a idee e capitali freschi che portavano nel 1992 ad azzeccate e moderne motociclette. Queste, però, a parte la nomenclatura di qualcuna di esse, poco o nulla avevano a che spartire col passato. Fu nel fatidico anno 2000 che venne annunciata e concretizzata la nuova Bonneville, al contrario di quanto fatto fino a quel momento, una vera e propria operazione di revival, nel senso che si avvicina davvero nella fisionomia al modello originale degli anni Sessanta. Naturalmente le similitudini si fermano qui, nel senso che i progettisti non hanno conservato nulla se non in parte il concetto teorico di come era costruita la vecchia Bonneville.

Com'è fatta




Gli studi per la progettazione ed i collaudi durano a lungo e portano ad un prodotto che reincarna certamente i caratteri genetici dell’antenata, ma in chiave assolutamente moderna. Il motore è salito a quasi 800 cc di cilindrata conservando la struttura di bicilindrico parallelo frontemarcia che è un vero e proprio segno di appartenenza per i britannici.

È raffreddato ad aria, il che non significa “vecchio” perchè, e questa moto lo dimostra, questo schema trova molti apprezzati vantaggi proprio nella sua semplicità, naturalmente quando ben progettato come nel nostro caso. Ottimale in questo senso l’idea di montare il radiatore dell’olio, mimetizzandolo in modo da nasconderlo alla vista, ma essenziale per un buono e duraturo effetto lubrificante.

Le quattro valvole per cilindro con doppio albero a camme in testa, i due contralberi antivibrazione che neutralizzano la naturale propensione a vibrare del bicilindrico a 360°, i 4 supporti di banco ed i carter tagliati orizzontalmente, sono solo i principali tra le varie “bellezze” interne di questo motore. Che quindi non deve ingannare con le sue forme armoniche, morbide e così bonarie, perchè le prestazioni ci sono, certo non paragonabili ad un motore plurifrazionato di analoga cilindrata, ma più che sufficienti a divertirsi con l’aggiunta di uno stile inimitabile.

Come va




Pubblichiamo sul numero di dicembre 2000 la prima prova su strada. L’avviamento è immediato. La moto è bassa, si tocca terra con entrambi i piedi da fermo anche se si è un poco sotto la media, la sella (775 mm da terra) è comoda ed accogliente, lascia un bello spazio anche per il passeggero ed il serbatoio, con le opportune svasature per le ginocchia, è largo il giusto per sentire bene la moto. Il manubrio è ampio e piuttosto alto, ma non stancante per il contrasto con l’aria. Morbida la frizione dal comportamento sempre impeccabile. Dentro la prima con un sonoro “clank” e via.

Leggera di sterzo, stabile ma reattiva al minimo accenno del pilota, possiamo davvero dire di trovarci a nostro agio. Quando la strada si fa dritta apriamo il gas e tiriamo le marce. Il manubrio, le pedane ed il serbatoio, classicamente le zone più affette dal “morbo di Parkinson”, restano ben fermi e silenziosi. In quinta abbiamo inserito l’ultimo rapporto e viaggiamo alla velocità autostradale con grande comfort. Si scende insomma soddisfatti e piacevolmente sorpresi di quanto una moto che sembra d’epoca, in realtà sia in grado di rispondere pienamente ad ogni esigenza.

In città si ha un comportamento assimilabile a quello di un maxi-scooter: grazie al buon angolo di sterzo si riesce a passare agevolmente tra le auto manovrando con sufficiente eleganza anche in spazi ristretti, ed il posto per parcheggiarla lo si trova sempre. I consumi sono ragionevoli, tra i 15,5 del ciclo urbano ai 19,3 dell’extraurbano (17,5 a 130 km/h in autostrada). Le uniche critiche riguardo al comportamento dinamico si possono invece muovere agli ammortizzatori, che sono piuttosto duri e corti nell’escursione, ed in una certa facilità con cui si strisciano al suolo le pedane, gratificante effetto certo, ma anche pericoloso in certi casi. Considerando che la nuova Bonneville è un oggetto particolare e quindi dedicato ad una cerchia di appassionati, la sua accoglienza sul mercato risulta sin da subito buona.

La T100 ed i costi




Nel 2004 arriva la versione sportiva denominata Thruxton che monta l’identico motore maggiorato però a quasi 900 cc (865 cc). Logico quindi aspettarsi di trovarlo presto anche sulla Bonneville, fatto che si verifica sulla Bonneville T100, già presente sul mercato dal 2002. Viene provata sul numero 2-2005. Esteticamente non c’è nulla di nuovo, ed idem la ciclistica, a parte l’inclinazione del cannotto di sterzo scesa da 29 a 28°.

La curiosità sta quindi tutta nel provare il nuovo motore. “Onestamente - scriviamo nella prova - la differenza tra i due motori non è così immediatamente avvertibile su strada ed è più che altro il cronometro a dire che la T100 è più rapida sia in accelerazione che in ripresa”. La moto si conferma quindi nelle prerogative precedenti: grande macinatrice di km, buoni consumi, fluidità e facilità di guida, confort eccellente.

In assoluto non sono costose rispetto alla loro qualità: con 8.000 euro ci si porta a casa una Bonneville nuova di zecca e con 900 euro in più la T100.
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