A colpo d’occhio qualcosa nella YZF-R6
è cambiato, anche se le modifiche più importanti, iniezione al posto dei
carburatori e nuovo telaio, sono poco visibili. Partendo dal davanti, il
puntale del cupolino è più aggressivo ed i fari, ora 4 polielissoidali,
sono più sottili.
Il telaio e il forcellone, sempre in lega leggera ed ottenuti per pressofusione,
sono nuovi realizzando un risparmio di 0,5 kg. In tutto solo 3 pezzi: il
blocco formato dal cannotto e dalle travi laterali è saldato alle piastre
che portano l’attacco per il forcellone, più lungo di 10 mm e di forma
diversa.
La guida è piacevole, dettata dal buon equilibrio, tra telaio e sospensioni,
raggiunto su questa versione, e dal comportamento dell’impianto di
iniezione.
I tecnici hanno, infatti, lavorato privilegiando la linearità
d’erogazione.
Allo scopo sono state montate valvole a saracinesca per l’aria
sull’aspirazione,
così da simulare il funzionamento di un carburatore a depressione. Il sistema
funziona bene: la moto è fluida nell’apri-chiudi del gas, anche se
l’allungo,
leggi cattiveria in accelerazione, è un poco calato. Un appunto è mosso
all’impianto frenante che si rivela buono su strada, dove non è certo
possibile toccare i limiti di questa moto, ma diventa un po’ meno
rassicurante
in pista, quando bisogna intervenire con forza sulla leva. Una maggior
propensione verso la strada rispetto alla pista è dimostrata anche dalla
taratura standard delle sospensioni: volendo girare in circuito è necessario
intervenire sulle regolazioni, peraltro abbondanti ed efficaci, di forcella
e ammortizzatore al fine di aumentare la rigidità dell’insieme. Rispetto
alla precedente R6 la potenza è salita a 117 CV a 13.000 giri (potenza
dichiarata. Motociclismo rileva invece al banco 105 CV a 12.500 giri alla
ruota, ma con la sovralimentazione dinamica fornita dall’air-box si
raggiungono
123 CV allo stesso regime). Per quanto riguarda le prestazioni, la Yamaha
è la più veloce tra le moto schierate nella comparativa.