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L’ingegner Carcano e le sue Guzzi; parte 1

La centenaria Casa di Mandello del Lario ha sempre avuto grandi progettisti nei suoi uffici tecnici, a cominciare da Carlo Guzzi. Ma un ingegnere si è imposto su tutti, stravolgendo, letteralmente, le regole delle moto di serie e di quelle da competizione: Giulio Cesare Carcano, l’uomo che ha ideato la 8 cilindri 500, la più sconvolgente racer che è stata mai costruita, e ha disegnato la V7, ancora oggi in produzione dopo quasi 60 anni. Vi raccontiamo le sue moto in tre puntate, ecco la prima

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L'ingegner Carcano ai tempi della progettazione della V8 500 con i suoi collaboratori Enrico Cantoni (al centro) e Umberto Todero (a destra).

Giulio Cesare Carcano sta alla Moto Guzzi come Fabio Taglioni e la distribuzione desmodromica stanno alla Ducati, come Corradino d’Ascanio è il sig. Vespa e pure Mr. Elicottero per le sue invenzioni nel mondo dell’ala rotante. Come Max Friz, che ha il merito di aver progettato la prima moto BMW, la R 32 del 1923; come l’irascibile quanto geniale Edward Turner, il padre della Triumph Speed Twin 500, l’antesignana delle moderne Bonneville. Un grazie sentito anche a Walter Kaaden e alle sue MZ due tempi da GP, ovvero come “due pezzi di lamiera”, sotto forma di un disco rotante e una espansione di scarico, hanno rivoluzionano le competizioni. Nel gruppo dei grandi, dal Giappone, arriva Soichiro Irimajiri, ingegnere di Casa Honda, responsabile delle Gold Wing, CBX 1000 sei cilindri, CX 500 e di straordinarie GP come la 125 cinque cilindri, ma pure del coraggioso, ma clamoroso flop, che si chiama NR 500 a pistoni ovali.

Prima e dopo la Guerra sul volo di un Colibrì

Tutta questa premessa per dire che l’ingegnere milanese, che amava i gatti, il lago di Como e pure la vela (ha progettato barche vincenti e innovative come Volpina e Vanessa), è nell’Olimpo dei tecnici che hanno saputo rendere il Paese motocicletta un mondo pieno non solo di moto eccellenti, ma di autentica e vincente passione per le due ruote.

Carcano si laurea nel 1934 (ha 24 anni) e due anni dopo entra in Guzzi. Il suo primo incarico è quello di compilare libretti di uso e manutenzione, cataloghi, manuali d’officina. Poi ha la responsabilità di seguire le moto da corsa dei privati. Quindi sviluppa tra il 1938 e il 1939 il Condor 500, il primo modello “da gara” che porta la sua firma. Durante la Seconda guerra mondiale ha il compito di progettare un motore ausiliario da bicicletta, un indirizzo tecnico molto in voga in Italia: si chiama Colibrì, seguendo il filone ornitologico delle moto di Mandello. Piccolo, davvero compatto, a due tempi per essere il più leggero possibile e cilindrata di 30 cc, ed è dotato di distributore rotante nell’albero motore, ma rimane allo stadio di prototipo. Dopo l’evento bellico il nostro ingegnere è di nuovo in pista e si occupa del Gambalunga 500. Da questa moto nasce la versione di 250 cc, chiamata Gambalunghino: si aggiudicherà tre titoli mondiali, nel 1949 e nel 1951 con Bruno Ruffo, nel 1953 è il turno di Enrico Lorenzetti, il “filaper”, il “filo” in milanese perché era alto e magro. Quando questa GP cresce di cilindrata per correre nella 350, sul serbatoio si aggiungono altre cinque gloriose tacche: sono titoli mondiali consecutivi (dal 1953 al 1957) e portano la firma dei britannici Fergus Anderson e di Bill Lomas, mentre l’ultimo acuto è dell’australiano Keith Campbell.

Arriva la V8 e poi la V7

Siamo nell’inverno tra il 1953 e 1954 e Carcano sta pensando alla più fantastica moto da GP mai costruita: la 500 V8. È un capolavoro di tecnica e di capacità di sfruttare materiali esotici e intuizioni meccaniche. Dopo la chiusura del reparto Corse del 1957, dovuto al ritiro della Guzzi dalle competizioni (il patto di astensione in comune con Gilera e Mondial), si dedica alla produzione di serie. Nasce un’altra pietra miliare della Moto Guzzi, quella V7 che è ancora oggi in produzione ed è ancora fondamentale per le vendite del Marchio italiano. Sotto la sua direzione arriva lo Stornello 125 Turismo e Sport: ne verranno costruiti la ragguardevole cifra, per quegli anni, di 46.700 pezzi.

Carcano lascia la Guzzi nel novembre 1966: “lei costa troppo” gli dicono dalla direzione, anche se non è vero. Ma l’industria delle due ruote è in crisi, la Guzzi ancora di più. L’ingegnere resterà a Mandello e aprirà uno studio di consulenza a Mandello del Lario, ma non si occuperà più di moto: il suo genio sarà dedicato alle barche a vela d’altura, raccogliendo ancora grandi soddisfazioni. Morirà il 13 settembre del 2005.

CONDOR 500: subito vincente

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Il Condor nasce nel 1939 e costa 11.000 lire. Gareggiando nella categoria "moto di serie" viene consegnata con silenziatore e impianto elettrico completo di fari.

È la prima moto da corsa sotto l’ala di Carcano. Nasce nel 1939 ed è costruita per gareggiare tra le moto di serie ed essere destinata ai corridori “privati”, anzi “gentlemen” come si diceva a quel tempo. In realtà, rispetto ai modelli turistici che le ispirano, siamo davanti a vere racer. Lo è anche il Condor, che con questo nome inizia il filone ornitologico che accompagnerà la Moto Guzzi sino agli anni Settanta. Costa 11.000 lire, quotazione straordinaria per una moto di "serie", che mediamente aveva una quotazione a metà di quel valore. Deriva dalla G.T.C.L. (Gran Turismo Corsa Leggera). Cilindro orizzontale, carter in electron (come i mozzi delle ruote), albero motore forgiato in acciaio speciale, volano alleggerito da 260 mm di diametro, la trasmissione primaria a ingranaggi diritti, il cambio con ingranaggi sempre in presa che rendeva la manovra più agevole. Il telaio era a doppia culla col motore usato come elemento stressato con parti posteriori in idronalio.

Il punto di forza del Condor era la grande resistenza allo sforzo, grazie al pieno raffreddamento della testa e l’abbondante circolazione di olio. L’albero motore poteva fare anche cinque o sei gare prima di dover essere rettificato. Le punterie andavano registrate a caldo, con gioco nullo; le vibrazioni si avvertivano dai 4.000 giri in su. La manovra del cambio era sempre un po’ “lunga”, sia per la corsa del pedale sia a causa dell’inerzia del volano. Buona la ripresa ed eccellenti il tiro e l’elasticità: il motore, che sopportava bene il fuori-giri, ed era godibile dal minimo al massimo. Le dimensioni della moto offrivano una buona abitabilità anche a piloti di alta statura come dimostrano le vittorie di Enrico. La tenuta di strada era accettabile in rettilineo, mentre nei curvoni veloci si manifestava un certo effetto di serpeggiamento. Le sospensioni erano morbide: si potevano irrigidire stringendo gli ammortizzatori, che però tendevano a sregolarsi dopo un po’ di strada; la forcella si regolava in marcia, ma per quelli posteriori occorreva fermarsi. La frenata non era proprio il massimo. Ma secondo Ferdinando Balzarotti, guida ufficiale e capo collaudatore della Guzzi, passare al Condor era cambiare dalla notte al giorno in fatto di maneggevolezza, stabilità, frenata.

Dati tecnici

Motore: monocilindrico orizzontale 4T con distribuzione ad aste e bilancieri. Testa e cilindro in lega leggera Idronalio 51, con canna riportata in ghisa al cromo-nichel-molibdeno. Alesaggio e corsa 88 x 82 mm. Cilindrata 498,4 cc. Rapporto di compressione 7:1. Valvole in testa scoperte e inclinate di 62° fra loro. Diametro valvola di aspirazione 44,5 mm, di scarico (al sodio) 40 mm. Albero motore monopezzo in acciaio con contrappesi imbullonati, ruotante su un cuscinetto a sfere dal lato distribuzione e uno a rulli lato trasmissione primaria.

Alimentazione: carburatore Dellorto SS 30 M, getto max 150, polverizzatore 1.330, valvola gas 110, spillo SS al primo foro visibile. Serbatoio da 18 litri.

Accensione: magnete Bosch o Marelli e anticipo manuale; Candela grado termico 260 vecchia scala Bosch (3 della scala attuale).

Lubrificazione: a carter secco con doppia pompa, a ingranaggi di mandata, a palette di recupero. Serbatoio da 3 litri.

Trasmissioni: primaria a ingranaggi con dentatura diritta e parastrappi con molla elicoidale nel pignone motore, rapporto 1,78. Finale a catena sulla destra; pignone cambio da 16 denti; corona posteriore da 36 a 40 denti.

Frizione: a dischi multipli metallici (acciaio e bronzo); lubrificazione con vapori di olio.

Cambio: in blocco a 4 rapporti con presa diretta, ingranaggi sempre in presa e innesti a denti frontali, comando con pedale a bilanciere sulla destra.

Telaio: a doppia culla aperta, in due parti, l’anteriore in profilati di acciaio chiodati e saldati, la posteriore-inferiore in piastre doppie di Idronalio 51.

Sospensioni: anteriore, forcella a parallelogramma in tubi di acciaio con molla unica centrale in compressione e ammortizzatori laterali a frizione; posteriore, forcellone oscillante in tubi di acciaio a profilo triangolare agente su molla in compressione e contromolla, poste sotto il motore; ammortizzatori a frizione del tipo a compasso ai lati della ruota, regolabili.

Ruote: a raggi con cerchi in lega leggera, misura 21” x 2 1/4.

Pneumatici: anteriore 2.75- 21” rigato, posteriore 3.00-21” scolpito.

Freni: anteriore e posteriore a tamburo laterale in electron, diametro 220 mm; mozzo posteriore a perno sfilabile.

Impianto elettrico: dinamo Marelli 6V-30W; fanale anteriore da 150 mm; fanalino posteriore; clacson; Batteria 12 Ah.

Dimensioni e peso: interasse 1.480 mm; lunghezza 2.160 mm; larghezza manubrio 630 mm; altezza max 975 mm; altezza manubrio 940 mm; altezza sella 770 mm; altezza pedane 300 mm; altezza minima da terra 175 mm; peso a vuoto 140 kg.

Prestazioni dichiarate: potenza 28 CV a 5.000 giri/min; velocità massima 160 km/h circa.

V7: la moto della rinascita

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Nel 1966 Carlo Perelli, il nostro compianto direttore di Motociclismo d'Epoca, prova in esclusiva mondiale un prototipo preserie della V7.

Questa bicilindrica è il simbolo del risveglio della Moto Guzzi a metà degli anni Sessanta e la prima ad avere il motore a V di 90°. Venne esposta al 39° Salone del Ciclo e Motociclo di Milano nel novembre 1965. È imponente, questo il primo pensiero di chi la vede per la prima volta. La genesi della V7 non è quella consueta di una moto da turismo perché viene progettata per partecipare ad un concorso indetto dalle Forze Armate all’inizio del 1964. L’Esercito deve sostituire l’onusto Falcone con una motocicletta più prestante, più adatta alle strade di quel tempo e Carcano si mette al lavoro; l’ingegnere milanese ha già ben in mente la nuova moto: motore bicilindrico per avere più prestazioni di un mono, disposizione dei cilindri a V trasversale per migliore raffreddamento e facilitare la manutenzione, olio nella coppa per una lubrificazione a carter umido non in un serbatoio separato. Inoltre utilizza particolari già in uso sulle vetture Fiat come frizione, spinterogeno e motorino d’avviamento. Trasmissione finale ad albero cardanico, sempre in tema di minore manutenzione. Il motore con il gruppo trasmissione ed il pieno d’olio pesa 92 kg. Per dare la necessaria energia elettrica a radio, sirena e lampeggianti la dinamo eroga 300 W.

La V7 derivata dal modello “Polizia” resta in produzione per quattro anni e non subisce che poche modifiche fino al 1969, quando arriva la V7 Special. Dal 1968 i carburatori Dellorto SSI da 29 mm a vaschetta separata vengono sostituiti dai più moderni ed efficienti VHB con vaschetta incorporata. Cambia la forma dei coperchi delle punterie , la V7 diventa di un bianco. Prima di andare in pensione, nel 1972, la V7 farà in tempo a crescere di 100 cc trasformandosi nella V7 850 GT.

Così Carcano ricorda in una nostra intervista la genesi del motore V7: “Dopo il ritiro dal Mondiale nel 1957 ho continuato ad occuparmi della sperimentazione. Carlo Guzzi ormai si disinteressava della progettazione e i Parodi mi lasciavano la massima autonomia. Così per divertimento ho iniziato ad interessarmi alle quattro ruote. Prima, col permesso dei superiori, ho elaborato un motore BMW R 75, portandolo da 26 a 45 CV. Visto il risultato ci ho poi costruito attorno una monoposto. Poi, ho progettato un motore bicilindrico a V di 90° da montare sulla mia FIAT 500. Perché l’ho fatto? Mi piaceva tanto quella vetturetta, ma il suo motore era fiacco. Col mio bicilindrico da 35 CV filava a 135-140 km/h, lasciando tutti di stucco. La Moto Guzzi lo propose anche alla FIAT, ma purtroppo non se ne fece niente. Non è vero, come si dice, che quel motore andò a finire prima sul Mulo Meccanico 3x3, poi sulla V7. Il Mulo Meccanico non l’ho progettato io, ma Antonio Micucci, mentre la paternità della V7 è mia, ma con una motorizzazione che non aveva nulla in comune con quella della vetturetta, salvo l’architettura frontale dei cilindri e l’angolazione a 90°. Se la 350 GP ultraleggera è stata la mia favorita tra le moto da corsa, la V7 è quella che mi ha dato maggior soddisfazione, proponendo uno schema che ancor oggi rappresenta il pilastro della produzione di Mandello.”

Motore: bicilindrico 4 tempi a V di 90°, teste in lega leggera, cilindri in lega leggera con canne cromate. Alesaggio per corsa 80x70 mm, cilindrata 703,7 cc, rapporto di compressione 9:1. Distribuzione ad aste e bilancieri con asse a camme nella V dei cilindri comandato da ingranaggi elicoidali. Avviamento elettrico.

Accensione: a batteria, spinterogeno con distributore Marelli S123A. Candela grado termico 225 scala Bosch, distanza tra gli elettrodi 0,6 mm.

Lubrificazione: a carter umido, 3 litri di olio SAE 20W40 nella sottocoppa del carter, pompa di mandata ad ingranaggi comandata dall’albero motore con coppia di ingranaggi elicoidali, filtro a rete nel basamento motore.

Alimentazione: due carburatori Dellorto SSI 29 (D e DS) con filtro aria comune a cartuccia. Diffusore diametro 29 mm. Capacità serbatoio carburante 22 litri di cui 3 di riserva.

Frizione: bidisco a secco sul volano motore, con parastrappi.

Cambio: a 4 rapporti in cascata con ingranaggi sempre in presa ed innesti a manicotti scorrevoli con denti frontali. Rapporti interni: 1,81: 1 (16/29) in prima, 1,25: 1 (20/25) in seconda, 0,95: 1 (23/22) in terza, 0,73:1 (26/19) in quarta.

Trasmissione: primaria ad ingranaggi a denti dritti, rapporto 1,35: 1 (17/23); finale ad albero con doppio giunto cardanico omocinetico e coppia conica elicoidale posteriore, rapporto 1:4,62 (8/37).

Telaio: a doppia culla continua in tubi d’acciaio.

Sospensioni: anteriore forcella telescopica con ammortizzatori idraulici, cambio ogni 20.000 km. Posteriore, forcellone oscillante con ammortizzatori telescopici idraulici regolabili su tre posizioni.

Ruote e pneumatici: cerchi in lega leggera 3.00x18 con pneumatici 4.00x18.

Freni: a tamburo centrale, anteriore e posteriore a doppia camma con ceppi autoavvolgenti, dimensioni 220x40 mm.

Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza 2.230, interasse 1.445, larghezza 795, altezza 1.050, luce a terra 150. Peso a secco 230 kg.

Prestazioni: potenza 50 CV a 6.300 giri/min, coppia max 5 kgm a 5.000 giri/min, velocità max 170 km/h, consumo 6,5 litri/100 km.

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