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Ducati Scrambler 1100 Sport PRO vs Triumph Scrambler 1200 XC

Due modi differenti di interpretare il tema maxiscrambler: l’italiana è praticamente una naked con scarico alto, maneggevole e aggressiva, ma con ergonomia un po’ raccolta; l’inglese è curatissima e adatta anche all’offroad easy, ma accusa un peso superiore e un eccessivo calore emanato. Le abbiamo messe a confronto, per scoprirne pregi e difetti

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Dal dizionario Garzanti inglese-italiano del 1961, alla voce Scramble: “Arrampicata; scalata. Contesa, gara, lotta; tafferuglio, parapiglia: the scramble for a living, la lotta per l’esistenza; to fling oneself into the scramble, gettarsi nella mischia”. Difficile risalire a chi utilizzò per primo questo termine per ribattezzare, alla fine degli anni 50, le moto stradali modificate per essere efficaci anche in offroad: probabilmente un californiano del sud che si guardò intorno e si rese conto di essere circondato da centinaia di miglia di deserto, in pratica un infinito parco giochi motociclistico. Risalgono proprio al ‘61 i primi prototipi di Ducati Scrambler 250, una monocilindrica da fuoristrada che condivideva il motore della più stradale Diana, e che venne presentata nel 1962 su specifica richiesta del mercato statunitense. La Triumph invece era già presente nel settore dal 1956, anno di nascita della TR6 Trophy: di fatto una Bonneville 650 equipaggiata per affrontare percorsi accidentati. Le TR6 in configurazione desert sled divennero ben presto protagoniste delle gare che proliferavano nella zone aride della costa ovest degli Stati Uniti. L’atmosfera pionieristica di quei pericolosi rally raid sarà immortalata anni dopo nella storica pellicola “On Any Sunday”. Dopo un lungo periodo di oblio della categoria, Triumph ha riproposto nel 2006 la Scrambler 865, sempre derivata dalla Bonneville, mentre Ducati ha atteso fino al 2015 per lanciare la sua Scrambler 800, equipaggiata dall’immortale bicilindrico raffreddato ad aria. Arriviamo finalmente ai giorni nostri e alle protagoniste della prova: la Ducati Scrambler 1100 Sport PRO, novità 2020, e la Triumph Scrambler 1200 XC, già sul mercato da un anno. Queste due moto rappresentano le ultime proposte di un settore che in tempi recenti si è molto frammentato a livello di motorizzazioni e allestimenti, per riuscire a intercettare le esigenze di un pubblico piuttosto vario.

“Stupenda questa moto, quanto costa?”. “Bellissima, complimenti, quanto fa?”. Da molto tempo non ci capitava, durante i test, di ricevere così tante attenzioni. La Ducati fa questo effetto, catalizza tutti gli sguardi. Forse il merito è della silhouette compatta e dell’azzeccatissimo contrasto tra il nero opaco delle sovrastrutture e l’oro delle sospensioni Öhlins, oppure dell’armonioso intreccio telaio-motore-collettori di scarico. Soffermando lo sguardo più a lungo, però, si scoprono i piccoli particolari che sono il valore aggiunto della moto: le mirabili lavorazioni di fresa su cerchi, carter motore e alettature cilindri, la scritta Ducati cucita dietro la sella, il faro anteriore che è un capolavoro di sintesi del concetto di classico moderno: all’interno è ricavata una “X” in metallo che fa il verso al nastro adesivo che si applicava sui fari da gara negli anni 70, mentre la circonferenza esterna è illuminata da quattro LED di ultima generazione. Il fascino di Triumph è più sottotraccia, meno esibito, ma di grande livello. La XC è degna erede della tradizione offroad della casa di Hinckley: ruota anteriore da 21”, doppio scarico alto laterale e paramani sono lì a dimostrarlo, ma il tutto è ammantato da un’aura molto british. Ti figuri di guidare la Scrambler 1200 nell’immenso parco di una casa di campagna del Kent, indossando un completo di tweed e di fermarti sotto un portico ad ammirarne i componenti di pregio. Prima di tutto, alluminio come se piovesse: forcellone, struttura dei paramani, paramotore e tabelle porta numero, profilo del faro, cerchi tubeless e il meraviglioso tappo del serbatoio. Di classe la sella, in pelle marrone di grande qualità e cucita interamente a mano. Il doppio scarico laterale è il biglietto da visita della XC: risulta molto filante nonostante le estese paratie anticalore. Nota di merito anche per l’ottima fattura di pedane e leve di cambio e freno posteriore, con il plus delle teste pieghevoli per evitare rotture in fuoristrada. Tutto impeccabile. Anzi no: la moto in prova è dotata di faretti fendinebbia LED, optional del catalogo ufficiale Triumph, e i cavetti di connessione sono lasciati a penzoloni. Un difetto quasi veniale, ma che stride al cospetto di una moto dalle finiture altrimenti eccelse.

Saltando in sella alla Ducati ci si compiace subito della sella accogliente e morbida, condivisa con gli altri modelli della “Land of Joy”, e della limitata altezza da terra, che trasmette subito confidenza. Le pedane piuttosto alte e il manubrio largo, ma vicino al piano seduta, impongono una posizione raccolta al pilota, che si trova con il busto lievemente piegato in avanti e in pieno controllo, che mantiene senza stancarsi anche dopo lunghe sessioni di guida. Queste considerazioni valgono per biker alti fino al nostro metro e ottanta: uno dei due tester, che arriva a 191 cm, lamenta una postura troppo rannicchiata delle gambe. Nella guida in città la 1100 PRO restituisce un retrogusto dolceamaro: leggera e maneggevole, si districa bene nel traffico, ma la frizione stacca in maniera repentina, complicando un po’ le partenze da fermo. Il cambio è piuttosto duro e, se sollecitato da frequenti cambi di marcia, a volte tende ad impuntarsi. Gli specchietti bar end, evocativi e garanti di ottima visibilità, sporgono troppo limitando un po’ i sorpassi alle auto incolonnate in doppia fila. Quando il “pompone” entra in temperatura il calore si fa sentire sull’interno coscia e anche il raggio di sterzo non vi renderà il re delle inversioni a “U”: insomma, l’avete capito, la Scrambler 1100 PRO non è nata per sbrigare commissioni in centro. Sulla Scrambler 1200 si sta da pascià: sella piatta e larga, anche se alla lunga un po’ duretta, angolo confortevole delle gambe, busto eretto e braccia ben distese ad afferrare il largo manubrio: complici i paramani e la ruotona da 21”, la sensazione di manovrare una moderna maxienduro è forte. Inutile dire che l’abitabilità è ottima anche per gli spilungoni. Nei percorsi urbani la XC è godibile: la frizione morbidissima e il cambio preciso accompagnano a dovere le classiche manovre tra una coda e un semaforo, ma il vero tallone d’Achille della Scrambler inglese è il grande calore sprigionato dallo scarico. Nella stagione estiva, fermi a stop e a semafori ci si abitua ben presto a poggiare a terra solo il piede sinistro, cercando di allontanare la gamba destra dai collettori roventi. Per chi fosse disposto a barattare l’iconico doppio scarico laterale con un po’ di refrigerio, esistono diversi scarichi alternativi proposti da produttori aftermarket. Sulla XC ritroviamo anche la completa strumentazione TFT: razionale, ben visibile anche in piena luce e facilmente utilizzabile per mezzo di un piccolo joystick sul blocchetto sinistro. A proposito di strumentazione, l’unità Ducati sfrutta un display LCD a due piccoli quadranti sovrapposti: le informazioni ci sono tutte, ma i caratteri sono piccoli e di lettura non intuitiva, specie nel quadrante di destra, dove è complicato interpretare l’andamento del minuscolo contagiri digitale.

Ok, abbiamo fatto i compiti in città, adesso è il momento di portare le nostre due scrambler in una bella strada di collina in riva al lago e magari pure in qualche sterrata non troppo impegnativa: lo impone la loro storia e il nome che portano stampigliato sui fianchetti. Diamo una scorsa veloce ai tre riding mode di Ducati, facilmente selezionabili: il City limita la potenza e comporta un sensibile ritardo nella risposta del motore all’apertura del gas oltre ad impostare una gestione molto prudenziale del controllo di trazione (regolabile su 4 livelli e disinseribile), che taglia bruscamente la potenza dove l’aderenza è scarsa, ad esempio sul pavé. Le altre due mappe, Journey e Active, sono a potenza piena, ma con la differenza di una risposta al gas più reattiva per la Active, che quindi selezioniamo per saggiare le doti dinamiche della Scrambler di Borgo Panigale. Iniziamo a danzare tra le curve e la 1100 Sport PRO si sente subito a casa. La ciclistica è ottima, le sospensioni sono piuttosto sostenute e adatte alla guida sportiva, ma allo stesso tempo copiano molto bene le asperità senza trasferirle al pilota. Il feeling con l’avantreno in tutte le fasi della curva è ottimo, la leggerezza e la posizione di guida “d’attacco” rendono la Sport PRO un fulmine negli inserimenti, col plus di mantenere la traiettoria impostata con grande rigore. Le gomme Pirelli MT60 RS sono egregie anche nella guida sportiva, la tassellatura fitta e il profilo arrotondato permettono un buon grip anche in massima piega. Frenata ottima per potenza, con limitato affondamento della forcella anche nelle staccate violente, ma avremmo preferito un po’ di modulabilità in più. Il segreto dell’eccellente dinamica di guida della PRO è nel perfetto affiatamento tra ciclistica e propulsore. Il bicilindrico Ducati ci stupisce ancora una volta: ce lo aspettavamo fiaccato dalla configurazione Euro 5, e invece lo troviamo in forma come non mai! Grintoso nel sound con qualche scoppiettìo in rilascio, disposto a pistonare con regolarità anche in sesta dai 2.000 giri/min, e sempre impagabile nel range dove dà il meglio di sé: dai 3.000 ai 6.000 giri/min ha una schiena possente ed è sempre disponibile a toglierti dai guai e a farti divertire, al prezzo solo di qualche vibrazione su sella e pedane agli alti regimi.

Anche il motorone della Triumph dà gusto, accetta di buon grado l’apertura del gas a regimi bassissimi ed è molto pastoso: è un piacere farlo trottare ai medi, mentre è abbastanza inutile insistere fino ai 7.000 giri/min e rotti del regime di potenza massima, dove peraltro si incappa in qualche vibrazione al manubrio. Le mappe sono addirittura cinque: Rain, Road, Sport, Off Road e Rider, che è personalizzabile. Le differenze riguardano come di consueto risposta al gas, taratura dell’ABS e intervento del controllo di trazione, ma in particolare di quest’ultimo abbiamo apprezzato l’intervento non invasivo: ci è capitato spesso, anche con mappe Road o Sport inserite, di ruotare il gas bruscamente in uscita di curva con le marce basse e in quel caso il TC “accompagna” dolcemente la perdita di aderenza, senza innescare quei fastidiosi vuoti di erogazione dei controlli di trazione meno evoluti. Stiamo cercando di seguire la Ducati in un tratto di curve a medio raggio con asfalto un po’ rappezzato: questa è la situazione ideale per la XC. Il feeling con l’anteriore è ottimo: la moto segue la traiettoria impostata e le sospensioni si “bevono” le rugosità dell’asfalto senza problemi. Quando però la strada si avvita e il ritmo aumenta, la Ducati si invola, principalmente a causa del leggero ritardo accumulato nei cambi di direzione bruschi e nella scarsa luce a terra: ci capita di sfregare diverse volte le pedane anche a ritmi non indiavolati, peccato perché la sensazione è che si possa spingere di più in sicurezza, e questo dimostra la qualità delle gomme Metzeler Tourance. Esente da critiche il comparto freni: modulabili e con una riserva di potenza per ogni emergenza. I ruoli tra le due moto si invertono quando spostiamo il confronto su strada sterrata. La 1100 Sport Pro è un pesce fuor d’acqua: scomodo e inutile guidare in piedi, inoltre la limitata escursione delle sospensioni e la mancanza di un minimo equipaggiamento fuoristradistico consigliano di affrontare solo strade bianche poco impegnative. Triumph invece nello sterrato ci sguazza: in piedi sulle pedane ti senti Steve McQueen alla Sei Giorni del 1964 e le ottime sospensioni, completamente regolabili, ti fanno galleggiare sulle buche in pieno controllo, mentre la mappa Off Road perfettamente settata permette di gestire lunghe derapate. Dopo la sgroppata in fuoristrada scendiamo dalle moto, impolverati e accaldati come gli scrambleristi di sessant’anni fa nel deserto. Certo, queste due sono moderne e montano centraline, fari a LED e dispositivi di sicurezza, ma il DNA è lo stesso delle progenitrici ed è fatto di semplicità, stile e divertimento, anche se declinato in maniera diversa: Ducati è una bellissima sportiva spinta da un pezzo di storia a due cilindri, mentre Triumph si destreggia su strada come in offroad ed è curata come una special. A voi la scelta.

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