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Ducati Paso 750, punto di svolta

Ducati Paso 750, presentata nel 1985 rappresenta il simbolo della nuova gestione Cagiva dei fratelli Castiglioni. Spinta dal bicilindrico a L stupisce per la carenatura integrale e le scelte inconsuete della ciclistica
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Al Salone di Milano del novembre 1985 e poi nell’estate successiva a Misano, la rinnovata Ducati marchiata Cagiva mostra con orgoglio una gamma di cinque modelli. Ci sono le 750 F1, 750 F1 Montjuich e F3 350, che riprendono il filo conduttore della vecchia ficate. famiglia Pantah e rinnovano la tradizione dei modelli sportivi della Casa. Ci sono poi le inusuali Indiana 350 e 650 che rappresentano il primo approccio della Casa bolognese alla filosofia delle moto custom e strizzano l’occhio a un segmento di mercato in forte sviluppo. E c’è poi la Paso, la più interessante fra le nuove proposte. Perché sfruttando il glorioso bicilindrico a L con distribuzione desmodromica, tenta di rivitalizzare la scuola sportiva italiana e l'immagine della Ducati con un inedito telaio doppia culla chiusa in tubi d’acciaio e grazie alla sua inedita carenatura integrale, che nasconde completamente alla vista tutti gli organi meccanici.

Per Renzo Pasolini

La Paso è dedicata all’indimenticabile Renzo Pasolini - morto nella tragedia di Monza del 1973 in cui ha perso la vita anche Jarno Saarinen - sebbene il pilota riminese non abbia mai corso nella sua carriera in sella a una moto costruita a Borgo Panigale, ma si sia diviso fra Benelli e Aermacchi H-D. La Cagiva però è nata dalle ceneri dell’Aermacchi ed è sfruttando questo legame con il passato che i Castiglioni decidono di rendere omaggio a Pasolini dando al nuovo modello un nome di sicuro richiamo, perché ancora nel cuore degli appassionati a tredici anni dalla sua scomparsa. La moto è firmata da Massimo Tamburini, uno dei fondatori della Bimota e papà di tutti i modelli usciti dalla piccola factory riminese fino all’inizio degli anni Ottanta, che dopo aver lasciato l’azienda ha collaborato con il Team Gallina impegnato nel Mondiale 500. Assieme a Roberto Gallina ha poi aperto a Rimini un centro di progettazione e ricerca motociclistica, che viene acquistato dalla Cagiva più o meno nello stesso periodo in cui l’azienda varesina rileva la Ducati da Finmeccanica. Assumendo Tamburini i fratelli Castiglioni si assicurano la collaborazione del miglior progettista e designer sulla piazza - in Italia e probabilmente nel mondo - all’apice della vena creativa. Non a caso, dalla sua matita dopo la Paso sono uscite nientemeno che la Ducati 916 e la MV Agusta 750 F4. Finendo in Cagiva, Tamburini trova invece l’ambiente ideale per dare libero sfogo al proprio genio creativo senza incontrare alcun limite di budget, tempi di realizzazione o vincoli di produzione.

Forme innovative

Ma torniamo alla Paso: gli elementi più originali, quelli cioè che la affrancano dalla “spartana” tradizione ducatista per cercare di ampliarne il bacino dei potenziali acquirenti, sono la già citata carenatura integrale in materiale plastico e il telaio doppia culla chiusa in tubi d’acciaio a sezione quadrata e rettangolare. L’idea della moto completamente carenata è un vecchio pallino di Tamburini che non ha mai fatto mistero di ammirare le Elf da competizione progettate dall’ingegnere francese André de Cortanze. Queste, oltre all’assenza del telaio e all’adozione di sospensioni monobraccio di derivazione automobilistica, fin dalla prima Elf X del 1978 hanno fra le loro peculiarità anche la carenatura integrale che nasconde alla vista serbatoio e motore. Quella della Paso è di ottima qualità per evitare deformazioni dovute al calore e l’inevitabile deterioramento con il passare degli anni. La parte più caratteristica della moto è quella frontale, sviluppata attorno al grosso faro rettangolare di foggia automobilistica (lo stesso della Yamaha FZ 750), racchiuso in un tozzo cupolino privo di plexiglas. Gli indicatori di direzione anteriori e gli specchietti non disturbano la linea perché sono inglobati assieme, per la prima volta su una moto, nei paramani. Carenatura, serbatoio e fianchetti formano un unico blocco monocolore, con le scanalature e i filetti studiati per spostare l’occhio dell’osservatore verso la ruota anteriore.

Un retrotreno "snello"

Al retrotreno invece le forme si assottigliano mano a mano che si raggiunge il fanale posteriore, anch’esso a formare un tutt’uno con le frecce, nonostante la presenza di una sella piuttosto alta, soprattutto nella zona riservata al passeggero. L’effetto, grazie anche alle piccole ruote da 16”, fa somigliare la Paso ad un bisonte pronto a scattare, con tutte le masse spostate sull’avantreno. La presa d’aria sotto il fanale tipo buca delle lettere, quelle laterali e gli estrattori posizionati lungo i fianchi della carenatura e sui fianchetti ci ricordano invece che il cuore della Paso è lo stesso bicilindrico a L raffreddato ad aria della 750 F1, seppur con alcune modifiche, che per poter essere adeguatamente raffreddato sotto tutta quella plastica ha bisogno di un’abbondante circolazione di aria fresca. Gli interventi al motore non sono radicali. Innanzitutto il cilindro verticale ha la testa ruotata di 180° rispetto a quello della F1 per avere il condotto di scarico nella parte posteriore e ospitare nell’angolo dei cilindri la voluminosa scatola del filtro aria con il relativo carburatore Weber doppio corpo di derivazione automobilistica. Una scelta obbligata dalla chiusura totale del bicilindrico all’interno della carenatura che sulla Paso impedisce di montare due tradizionali carburatori Dell’Orto separati come sulla F1, ma anche per avere i condotti di aspirazione più rettilinei possibili. Le teste e la distribuzione restano immutate, così come il diametro delle valvole (aspirazione 41 mm e scarico 35 mm), mentre cambia la fasatura degli alberi a camme, ritardata di 8° per avere più potenza agli alti regimi. Infine, per mantenere la temperatura dell’olio entro i valori ottimali di utilizzo, il circuito di lubrificazione è dotato di due radiatori dell’olio posizionati ai lati del motore.

Sportiva, ma non troppo

Tutto sommato l’impostazione è tranquilla - la potenza è di 61 CV alla ruota anziché i 73 promessi dalla Casa - perché la Paso non vuole essere una Ducati troppo sportiva. Anche la scelta del carburatore doppio corpo Weber, che tanti dispiaceri darà ai proprietari di questo modello, viene fatta nella speranza di migliorare l’erogazione. La carena integrale nasconde però uno dei particolari più interessanti e forse quello meglio riuscito della moto: il telaio. Una struttura semplice e razionale che si scosta dalla tradizione di Borgo Panigale. Sfruttando i tre punti d’attacco offerti dal motore Pantah come elementi stressati della ciclistica, Tamburini disegna un doppia culla chiusa in tubi d’acciaio di sezione quadrata e rettangolare, con il cannotto di sterzo inclinato di 25° e la triangolazione posteriore aperta per consentire l’accesso al cilindro verticale e facilitare gli eventuali interventi meccanici. La parte inferiore del telaio è invece imbullonata e si può asportare per facilitare l’estrazione del motore.

A completare il quadro della ciclistica vanno ricordate le sospensioni estremamente professionali: all’anteriore la Paso è equipaggiata con una forcella Marzocchi M1R da 42 mm, mentre al posteriore troviamo uno splendido forcellone oscillante in lega leggera, infulcrato nel motore e su due piastre esterne al telaio, con unità ammortizzante della Öhlins. Le ruote a razze da 16” prodotte dalla Oscam sono invece un altro elemento caratteristico della moto, perchè le conseguenze dinamiche di questa scelta tecnica contribuiranno - nel bene e nel male come il carburatore doppio corpo Weber - alla fama e al carattere della Paso. Che dopo la presentazione al Salone di Milano del 1985 viene industrializzata in tempi sorprendentemente brevi e senza badare a spese nella scelta dei materiali, mentre il grado delle finiture è decisamente superiore a quanto fatto vedere dalla Ducati sui prodotti negli anni della gestione di Finmeccanica, ma ancora inferiore alle moto giapponesi.

La versione definitiva presenta solo alcune modifiche di poco conto rispetto al prototipo del Salone e inizia a lasciare la catena di montaggio di Borgo Panigale nell’estate del 1986, ad un ritmo di 15 unità al giorno, più o meno in occasione della presentazione alla stampa a Misano. Per avere il responso della prova di Motociclismo bisogna attendere però la fine dell’anno. L’esemplare messo alla frusta suscita unanimi consensi che vanno oltre l’entusiasmo per le forme inusuali. La posizione in sella non esasperata, la sella comoda per pilota e passeggero (compatibilmente con i limiti di una sportiva), i comandi morbidi da azionare, le vibrazioni e la rumorosità contenute della Paso sono una piacevole novità in casa Ducati. Poi, percorsi i primi chilometri, la luna di miele finisce ed emerge il carattere difficile della moto, frutto delle scelte tecniche di Tamburini: “L’approccio dinamico non è dei più felici. - si legge - Anche se guidare una moto così spettacolare è assai appagante, presto emerge il notevole carico sull’anteriore che inibisce la manovrabilità. La Paso non può essere considerata una moto pesante, perché 204 kg senza la benzina non sono esagerati per una 750. Ma l’impressione è quella di una notevole inerzia e, di conseguenza, di una certa imprecisione”. E ancora. “La Paso meriterebbe un appoggio più stretto e rotondo all’avantreno: la gomma e il cerchio anteriore ci sembrano esagerati. Così offrono una stabilità irreprensibile nei curvoni veloci come in rettilineo e in frenata, ma impegnano eccessivamente nel misto e particolarmente alle basse e medie velocità. Il problema appare quando, inserita in traiettoria, la moto fatica a trovare un assetto neutro, richiedendo al pilota un controllo attento e continuo sul manubrio con leggere correzioni. La situazione migliora con il progredire della velocità fino a che, sul misto veloce, la Paso diventa competitiva”.

Non è tutto oro quel che luccica

Il giudizio finale è comunque positivo. “Poco manovrabile quindi, ma con un bilancio finale in attivo: oltre alla stabilità, il miglior contributo ciclistico viene offerto dall’impianto frenante, con potenza eccellente, buona modulabilità ed assetto appoggiatissimo sull’asfalto.” Ambiguo invece il giudizio sul motore, perché se da una parte si lodano l’avviamento prontissimo, l’erogazione ai bassi e medi regimi e le due “zone” in cui c’è la resa migliore (fra i 2.000 e i 4.000 giri e poi fra i 5.500 e i 9.000 giri) nonché l’azzeccata spaziatura del cambio a cinque rapporti, dall’altra si sollevano delle perplessità per la poca resistenza della frizione agli sforzi prolungati, per la prima ritenuta troppo lunga per l’utilizzo cittadino o nel traffico intenso e soprattutto per l’irregolarità dell’alimentazione ai regimi molto bassi. Niente di preoccupante sembrerebbe, ma dopo le prime consegne gli utenti della Paso si lamentano soprattutto per il cattivo funzionamento del carburatore. Il doppio corpo Weber da 36 mm è nato per l’impiego automobilistico e sulla Paso soffre quasi una crisi di rigetto. Oltre ad avere un funzionamento irregolare ed essere di difficile messa a punto, per funzionare ha bisogno di una pompa di benzina. Questa a volte va in tilt, inviando il carburante ad una pressione troppo elevata verso il carburatore, causando trafilaggi di benzina e arricchimenti di carburazione arbitrari... Nei primi due anni di commercializzazione la Paso viene prodotta in poco più di 4.000 esemplari senza subire alcuna modifica di rilievo, ma senza nemmeno scaldare gli animi. Bizze del carburatore e ruote da 16” a parte, la nuova arrivata non fa breccia nel cuore degli appassionati ducatisti perché non è abbastanza sportiva, mentre non riesce nemmeno a coinvolgere quei motociclisti che apprezzano modelli come la Honda VFR750F, nel cui segmento di mercato dovrebbe inserirsi la Paso. Addirittura una parte del lotto destinato nel 1987 agli Stati Uniti resta invenduto e viene rispedito in Europa per cercare di smaltirlo sui mercati del Vecchio continente.

Vendite sotto le aspettative

Nel 1988 viene ridisegnato da Luigi Mengoli il comando desmodromico per consentire di registrare le valvole senza dover togliere il perno del bilanciere di apertura ogni volta e semplificando così gli interventi di manutenzione. È l’unico intervento al motore, che a metà del 1988 esce di scena per lasciare posto al bicilindrico 4 valvole della 851, più moderno e potente, ma soprattutto raffreddato a liquido. Inspiegabilmente però, anche su questa nuova versione battezzata Paso 906, restano il carburatore doppio corpo Weber e le ruote da 16”. Così anche se migliorano le prestazioni e il rendimento del bicilindrico a L, sicuramente più brillante del precedente, le vendite continuano a non decollare.

Anche a tre anni di distanza sembra che la linea così particolare della Paso risulti indigesta ai più, inoltre la qualità dei materiali e la cura nell’assemblaggio peggiorano rispetto alla prima versione. Nel 1989, dopo appena 1.802 esemplari costruiti, anche la Paso 906 si fa da parte per lasciare spazio all’ultima versione, che chiuderà il progetto nel 1992: la 907 i.e. Che nella sigla perde addirittura il “nome” di battesimo. Sull’ultima arrivata vengono finalmente eliminati il carburatore doppio corpo (sostituito da una moderna iniezione elettronica WeberMarelli) e le ruote Oscam da 16” (al loro posto vengono montati dei cerchi Brembo a tre razze da 17”). Questi interventi, assieme ad altre modifiche di dettaglio, come un diverso forcellone e freni di maggior diametro, rendono tardivamente giustizia al progetto della Paso. La 907 i.e. è una moto equilibrata, maneggevole, con un motore dotato di forte personalità e finalmente con una tenuta di strada ineccepibile in ogni situazione, non solo alle alte velocità. Peccato che arrivi sul mercato troppo tardi, quando l’immagine della Paso è ormai irrimediabilmente compromessa dal flop degli anni precedenti e in Ducati abbiano in cantiere altri progetti decisamente più corsaioli riguardo alla gamma e al mercato. La 907 i.e. esce così di scena nel 1992, dopo essere stata prodotta in poco più di 2.000 esemplari. Tamburini ha da tempo in testa solo la 916, entrata in produzione nel 1994, ma il cui progetto era stato abbozzato addirittura nel 1988, quando la Paso stava crescendo di cilindrata passando da 750 a 904 cc e si apprestava a diventare la 906. E giustamente ha occhi - e tempo - per dedicarsi solo alla sua nuova creatura.
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