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Ducati MHR 900-1000

In un quadro poco confortante per la situazione economica disastrosa nella seconda metà degli Anni Settanta alla Ducati si salvano poche cose: la splendida Super Sport 900 del 1977 e i successi nelle competizioni.

Un successo fra i disastri




In un quadro poco confortante per la situazione economica disastrosa nella seconda metà degli Anni Settanta alla Ducati si salvano poche cose: la splendida Super Sport 900 del 1977, la matita di Fabio Taglioni e i successi nelle competizioni. Saranno proprio questi tre elementi a far sopravvivere l’azienda nei periodi bui, consentendole di arrivare fino agli anni Ottanta quando entreranno in scena la Cagiva e i fratelli Castiglioni, rilevandone il Marchio e le sorti. I tre elementi appena citati si ritrovano anche in un modello passato alla storia, prodotto dalla Ducati fra il 1979 e il 1986 in un numero limitato di esemplari e oggi oggetto di culto da parte degli appassionati: la MHR, ovvero la Mike Hailwood Replica, l’ultima Ducati con distribuzione comandata da alberi e coppie coniche a lasciare la catena di montaggio di Borgo Panigale prima di cedere il testimone ai bicilindrici della serie Pantah. In poche parole un monumento alla vecchia scuola motociclistica italiana degli anni Settanta.

Hailwood, il TT e la replica




La nostalgia per le corse, la voglia di misurarsi con se stesso e con il suo “ingombrante” passato motociclistico convincono il fuoriclasse inglese al famoso ritorno al Tourist Trophy del 1978, culminato con la vittoria nella gara della F1 che costituisce il primo e fondamentale tassello nella storia della nascita della MHR 900. Ma con che moto corre “Mike the Bike” all’Isola di Man? In teoria con una Super Sport 900 preparata dalla NCR secondo il regolamento del Mondiale F1, ma in pratica con un prototipo che costa circa il triplo del prezzo di listino di una SS 900, munito di telaio Daspa, motore di 864 cc da un centinaio di CV, sospensioni Marzocchi, cerchi in magnesio Campagnolo e gruppo sella serbatoio monoscocca in vetroresina. Ma questi sono dettagli: nell’immaginario collettivo la vittoria di Hailwood si lega indissolubilmente al modello di serie, quella 900 SS presentata nel 1977 e degna evoluzione della precedente 750 che negli anni della gestione EFIM ricorda agli appassionati il cuore sportivo della Ducati. L’operazione che porterà al ritorno di Mike Hailwood al Tourist Trophy inizia alla fine del 1977 con i primi contatti e la richiesta delle moto alla NCR a cura di Fabio Taglioni. Il bicilindrico a “L” della SS 900 è opera sua. È lui che nel 1971 ha unito due gruppi termici monocilindrici monoalbero a coppie coniche, posizionandoli con una V di 90° creando così quello che ancora oggi è il marchio di fabbrica della Casa bolognese. Quando parte l’ “operazione Hailwood”, Taglioni si prodiga per far arrivare al fuoriclasse inglese, attraverso i già citati canali non ufficiali, il miglior materiale disponibile in Ducati. Ed è sempre lui a seguire la nascita e lo sviluppo della MHR.

Produzione in serie




In Ducati impiegano più di un anno per capire che la vittoria al TT potrebbe essere sfruttata commercialmente mettendo in produzione la replica della moto di Hailwood. Ma quando decidono la strategia industriale ne scelgono una di basso profilo: pochi investimenti e quindi danni limitati in caso di insuccesso. Presentata al Salone di Londra del 1979, la primissima Mike Hailwood Replica 900 viene realizzata in un lotto di appena 300 esemplari per il solo mercato inglese. In pratica si tratta di una SS 900 vestita come quella di Hailwood, colori compresi, che coincidono con quelli della bandiera italiana solo perché lo sponsor dell’operazione TT del 1978 era la Castrol, che ha nel tricolore bianco rosso-verde i suoi colori sociali. Il serbatoio è ricoperto da un guscio in vetroresina che riprende le forme di quello NCR, la carena è in un pezzo solo e la sella monoposto. Ma per ospitare il passeggero è prevista anche la sella biposto. La strumentazione della Nippo Denso, come i blocchetti e l’impianto elettrico, provengono dalla Darmah 900; le ruote in magnesio sono della Speedline, l’impianto frenante interamente a disco è Brembo con le pinze dorate montate anteriormente ai gambali, i carburatori sono dei Dell’Orto da 40 mm, gli scarichi Silentium e le sospensioni Marzocchi. Il risultato finale di questo mix è nel complesso soddisfacente e grazie all’effetto-Hailwood i trecento esemplari previsti vanno rapidamente esauriti, tanto che in Ducati si convincono ad allestire già nel 1980 una nuova versione più curata con serbatoio da 18 litri in lamiera simile a quello NCR, ruote in lega FPS, scarichi Silentium e motore ultima versione della serie SS.

Il test: senza rivali




Motociclismo mette alla frusta una sola volta la Ducati MHR e il resoconto viene pubblicato sul numero di febbraio 1980. Il giudizio dei tester dopo le consuete prove su strada ed una puntata in pista sul tracciato Junior di Monza, è estremamente positivo. La MHR 900 fa segnare sui 400 metri un tempo inferiore di quasi un decimo rispetto a quello della SS da cui deriva (12,275 secondi contro 12,365), ma superiore ai tempi delle rivali giapponesi a quattro e sei cilindri. Che però sono tutte di 1.000 cc ad eccezione della Honda CB900F. In compenso però la Ducati tocca i 213,880 km/h lasciando per strada quasi l’intera concorrenza, Honda CBX sei cilindri e Suzuki GS 1000 E escluse. Quello che colpisce di più sono le sensazioni di guida, la stabilità sul veloce e l’equilibrio complessivo che la moto sa offrire. La MHR è “sicura a 200 all’ora, sia in rettilineo che nei curvoni, permette qualsiasi manovra d’emergenza e consente pieghe che hanno dell’incredibile. La forcella è veramente superlativa, in grado di adeguarsi perfettamente alle asperità del terreno senza mai avere affondamenti vistosi o principi di svergolamento. E gli ammortizzatori, o improvvise perdite di aderenza.” Ed ancora: “Sicurissima anche la frenata, potente e modulabile, non dà alcun segno di affaticamento anche nelle condizioni limite”. Il motore invece “spinge sempre con qualsiasi marcia innestata e ad ogni regime e non ha bisogno di una guida tirata per cercare le prestazioni”. Solo affrontando il traffico cittadino emerge qualche perplessità perché “la prima molto lunga, il raggio di sterzo ridottissimo e la posizione di guida distesa possono creare seri problemi di maneggevolezza”, ma anche queste valutazioni non fanno altro che confermare l’indole corsaiola della MHR 900.

Aggiornamenti economici




Con l’arrivo sul mercato della MHR, la Ducati torna ad occupare nel cuore degli appassionati il posto che le spetta. Oltretutto, analizzando le prestazioni e le sensazioni di guida che offre assieme al suo “pacchetto tecnico”, i 4.900.000 lire che servono per portarsela a casa nel 1980 sono una cifra ragionevole e quasi alla portata dei motociclisti sportivi bramosi di avere nel box una vera moto da corsa targata. La logica vorrebbe che a questo punto la MHR rilevasse il testimone della SS, diventando la nuova bandiera sportiva della Ducati, capace di sostenere da sola l’immagine dell’azienda, che come abbiamo accennato in precedenza ha una gamma piuttosto “traballante”. Invece a Borgo Panigale non ci sentono: la parola investimenti è quasi un tabù e i pochi fondi disponibili vengono assorbiti dal progetto Pantah, mentre nel listino continuano a comparire e sparire modelli commercialmente inutili. Così gli aggiornamenti di cui beneficia la Mike Hailwood Replica negli anni seguenti si allineano a quelli del resto della produzione, soprattutto quando si tratta di uniformare la componentistica di un modello che dovrebbe essere esclusivo a quella degli altri per contenere i costi di produzione. In pratica per assemblare le MHR si attinge a piene mani dalla Darmah, dalla SS e poi dalla S2, ma soprattutto dalle giacenze del magazzino ricambi. E come vedremo più avanti alcuni di questi interventi ne peggiorano l’equilibrio.

Serie di restyling




Il primo restyling del 1981 che interessa sia l’estetica che la meccanica è tuttavia un riuscito tentativo di risolvere alcuni difetti. Il motore riceve gli aggiornamenti già introdotti sulla SS e cioè nuove sedi valvole, cambio con ingranaggi ad innesti frontali a tre denti anziché a sei e oblò di controllo del livello olio. La forcella e l’impianto frenante sono gli stessi della SS, così come gli scarichi Silentium. Esteticamente arrivano invece la più funzionale carena in due pezzi ed i fianchetti laterali che nascondono la batteria. Ma già la successiva rivisitazione del 1983 suscita perplessità, perché se da un lato arriva il nuovo motore dotato di avviamento elettrico, assieme alla frizione a secco con comando idraulico, dal l’altro si registra l’adozione del telaio della nuova S2 con le relative sospensioni anzichè quello della precedente SS uscita di produzione. Una scelta che snatura il comportamento su strada della Mike Hailwood Replica, perché il telaio della S2 ha i due tubi verticali della parte posteriore, quelli che scendono a fissare il motore nella zona del forcellone, più aperti ed appiattiti alle estremità per consentire il montaggio di una batteria di maggiori dimensioni. Sulla S2, che è anche meno potente (-10 CV), la modifica è di poco conto, ma sulla MHR - che adottando questa ciclistica aumenta anche l’interasse e la luce a terra a causa della forcella più lunga e degli ammortizzatori dalla minor escursione - ne cambia le geometrie e ne diminuisce la rigidità, facendole perdere l’impeccabile rigore di ciclistica sul veloce. Senza ombra di dubbio queste scelte poco felici che peggiorano la MHR riflettono la situazione aziendale di quegli anni. Mai come nel 1983 infatti il rischio di chiudere il capitolo moto è così concreto. Alla Finmeccanica, che ha sostituito in seno alla Ducati la EFIM, le moto interessano ancora meno della precedente gestione. Si ritorna a parlare con insistenza di riconversione industriale, di motori diesel e marini, ma anche di ipotetiche nuove collaborazioni con altre industrie motociclistiche. O addirittura di cessioni. Proprio nel 1983 viene firmato un accordo con la Cagiva, azienda emergente nel panorama motociclistico italiano a caccia di motori a 4 tempi per ampliare la propria gamma. I fratelli Castiglioni mirano in realtà ad acquistare da Finmeccanica il pacchetto di maggioranza della Ducati, ma l’operazione richiede almeno due anni di trattative prima di andare in porto e nel frattempo la confusione in azienda regna sovrana. In questo clima di incertezza Fabio Taglioni e l’Ufficio tecnico continuano imperterriti a lavorare su numerosi progetti. Si decide di intervenire per l’ultima volta sulla Mike Hailwood Replica, realizzando la versione finale, nata nel 1984 con il nome di MHR Mille.

Passaggio ai 1.000 cc




Esteticamente identico al 900, il nuovo motore della MHR è invece profondamente diverso al suo interno. L’incremento di cilindrata fino a 973 cc viene ottenuto aumentando l’alesaggio da 86 a 88 mm e la corsa da 74,4 mm ad 80. Per mantenere le stesse dimensioni esterne del bicilindrico vengono montate le bielle della 860 GT che hanno un minor interasse, riducendo al contempo la distanza fra il cielo del pistone e l’asse del piede di biella. Come sui più recenti motori della famiglia Pantah vengono montati cuscinetti di banco più robusti, un albero motore monolitico in acciaio forgiato più rigido ed affidabile, con le bielle che lavorano su bronzine e con perno di manovella aumentato da 38 a 45 mm. Le valvole sono maggiorate portando quelle di aspirazione a 42 mm e quelle di scarico a 38 (prima erano 39,5 e 35,5 mm rispettivamente) mantenendo però la stessa inclinazione di 80°. Le canne dei ciclindri non sono più riportate in ghisa ma hanno un più moderno ed efficace riporto indurente in alluminio. Viene potenziato anche l’impianto di lubrificazione con una nuova pompa dell’olio maggiorata ed un filtro più grande. Modificati anche i rapporti del cambio, con le marce più lunghe e spaziate. A questo punto però l’elenco delle modifiche di cui beneficia la MHR Mille rispetto alla precedente 900 dovrebbe proseguire con la ciclistica.

Invecchiata del rinnovo




Invece le modifiche si fermano al solo motore, perché la nuova moto eredita in blocco telaio, freni e sospensioni della precedente, rimanendo ancorata a soluzioni nate a metà degli anni Settanta. Il progressivo abbandono di componentistica pregiata e l’adozione dell’avviamento elettrico, ha portato ad un costante “ingrassamento” della Mike Hailwood Replica che nel corso degli anni è passata dai 230 kg della 900 ai 240 della 1000 in ordine di marcia, penalizzando ulteriormente la guida e le prestazioni che risultano addirittura identiche a quelle della vecchia 900 e vanificando così i benefici dovuti all’incremento di cilindrata. Nel 1984, mentre il prototipo della Pantah 750 F1 destinato a diventare il futuro dell’azienda di Borgo Panigale muove i primi passi in pista, vengono costruiti appena 662 esemplari di MHR Mille e nel 1985, anno in cui viene ufficializzato l’acquisto della Ducati da parte della Cagiva ancora meno, solo 199. Ormai per il passato e per la gloriosa MHR non c’è più posto: nel 1986 con un’ultima versione dotata di cerchi Oscam a tre razze cave di disegno identico a quelli montati sulla 750 F1, la Mike Hailwood Replica esce di scena e a Borgo Panigale si chiude definitivamente un’epoca.
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