Le tappe di avvicinamento al Desmoquattro iniziano nell’ottobre del 1985 pochi mesi dopo l’arrivo della Cagiva, quando Mengoli e Bordi – che era entrato nell’Ufficio tecnico Ducati proprio grazie alla sua tesi di laurea sull’applicazione della distribuzione desmodromica ai motori con 4 valvole per cilindro - si mettono a studiare un nuovo bicilindrico ad alte prestazioni che, pur mantenendo il DNA Ducati, ovvero la V di 90° longitudinale e la distribuzione Desmo, ha il chiaro intento di rompere con la tradizione. I primi disegni sono realizzati da Mengoli a casa sua nelle ore serali e durante i week-end, perché in azienda è impegnato a tempo pieno nel progetto di un bicilindrico di piccola cilindrata (350 cc, eventualmente da maggiorare a 400), raffreddato ad aria, destinato a una nuova Cagiva da proporre ai diciottenni, che però non vedrà mai la luce. Di carne al fuoco ne viene messa subito tantissima, studiando anche soluzioni di derivazione automobilistica a livello di distribuzione ed alimentazione, ma in breve tempo il lavoro prende una direzione precisa: testa Desmo a quattro valvole e raffreddamento a liquido. Per accelerare i tempi di realizzazione viene anche consultata la Cosworth e nell’inverno 1985-1986 Massimo Bordi visita il reparto Ricerca e Sviluppo dell’azienda a Northampton, dove a quei tempi nascono i motori V8 utilizzati da alcune scuderie nella F1 automobilistica. Ma quando gli inglesi chiedono un miliardo e mezzo di lire per avviare lo studio di una testa rigorosamente con comando tradizionale e non Desmo, l’ingegnere raccoglie le sue carte e torna in Italia chiudendo sul nascere la collaborazione. L’aspetto economico nella realizzazione del nuovo motore è tutt’altro che trascurabile ed influenza le scelte di Bordi e Mengoli ancor più dello scetticismo di Taglioni che, venuto a conoscenza dello studio per il quattro valvole, non lo ostacola apertamente, ma nemmeno lo incoraggia quando i due escono allo scoperto. “Non si può mettere il comando Desmo in una testa a quattro valvole, soprattutto in un motore raffreddato a liquido come il vostro perché manca lo spazio necessario per farlo lavorare bene”, ripete sovente controllando a distanza quello che stanno facendo. E ai giornalisti che nella primavera del 1986 gli chiedono cosa bolle in pentola nell’Ufficio progetti sotto la nuova gestione, Taglioni risponde deciso: “Esistono vari tipi di propulsore allo studio, anche se i nostri sforzi si concentrano nel migliorare quello che già abbiamo. Se proprio dovessimo cambiare, il mio motore ideale ce l’ho nella testa da molti anni. È un quattro cilindri a V di grossa cilindrata, 750-1.000 cc, chiaramente a quattro tempi”. Queste affermazioni, unite alla dichiarazione fatta a Misano dopo la vittoria di Lucchinelli che abbiamo riportato all’inizio, confermano il “conservatorismo” del vecchio ingegnere a favore dell’amato due valvole, ma anche la sua scarsa attenzione ai bilanci dell’azienda, assieme ad una poco lungimirante visione industriale, dato che i costi di realizzazione di un V4 sarebbero ben superiori a quelli del nuovo bicilindrico pensato da Bordi e Mengoli.
Restate connessi perché nei prossimi giorni pubblicheremo la continuazione della storia.