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Ducati Around The World: da Denver a Las Vegas

Denver - Las Vegas

Introduzione


Colorado, Nuovo Messico, Arizona: tutto in sella a una fida Ducati ST4 S. Più di tremila chilometri e dieci giorni di sogno americano che come per incanto divengono realtà. Un giro indimenticabile, su percorsi perfetti per il turismo dove l’unica preoccupazione è.. controllare il contachilometri! Tutto quello che si può immaginare grandioso, è di più: su tutto, la maestosità delle Rocky Mountains e l’incredibile Grand Canyon del Colorado.

Da Denver a Las Vegas attraverso scenari da film, prorpio in un perdiodo in cui sembrava impossibile pensare ad un viaggio in America. A poco più di un mese dalla tragedia dell’11 settembre la Ducati e i suoi dirigenti americani, hanno permesso che questa grandiosa iniziativa si realizzasse comunque.  Si tratta del resto del primo di una lunga serie di viaggi, che non a caso si chiamano “Around the World 2001”, seguiti dai nomi delle destinazioni, in questo caso Denver - Santa Fe - Las Vegas”.  Una serie di viaggi che la Ducati intende effettuare nel mondo per far conoscere le sue moto, soprattutto in chiave turistica: organizzati per le più importanti riviste europee del settore, sono fatti in sella alle nuove ST4 S. E’ un’occasione in più per presentare questo modello appena lanciato negli States in concomitanza con il DRA 2001, il “DucatiRevsAmerica”, fantastico raduno per i possessori USA delle bicilindriche bolognesi, organizzato a Las Vegas dal 26 al 28 ottobre. Dopo uno scalo ad Atlanta - dove ci confiscano l’accendino usa-e-getta ai severi controlli doganali -, arriviamo a Denver.
C’è una giornata di sosta, ideale per smaltire un po’ di jet-lag e per l’acclimatamento: siamo a quasi 1.600 metri di quota, e pare che nel prosieguo del viaggio saliremo ben più in alto.
Il capoluogo del Colorado si rivela una città (quasi 800.000 abitanti, compresi i dintorni periferici) estremamente tranquilla, con traffico ordinato e molta pulizia; siamo alloggiati all’Oxford Hotel, costruito nel 1891 e sito nella parte vecchia della città: Low Downtown - più semplicemente LoDo - è costituita da belle costruzioni in stile vittoriano, praticamente abbandonate alla fine degli anni ‘70 con l’incalzare della modernità e dei grattacieli. Oggi sono tornate di gran moda e accolgono quasi 5.000 residenti in eleganti loft e appartamenti perfettamente ristrutturati. E’ di rigore una passeggiata lungo The Mall, ovvero la 16a strada adibita ad isola pedonale pavimentata con blocchi di granito e abbellita con ben 200 alberi e vasi che ospitano 50.000 fiori. L’indomani, i preparativi, l’allestimento del furgone con i ricambi e la immancabile foto di gruppo presso il concessionario locale, segnano il vero inizio dell’avventura.

Vail e Aspen




L’artefice dell’organizzazione è Burt Richmond: architetto di Chicago in pensione, è attualmente titolare della Lotus Tours. Si tratta di un tour operator di grande prestigio ed esperienza al servizio dei motociclisti di tutto il mondo. E’ lui stesso ad accompagnarci nel viaggio, essendo ovviamente un motociclista vero e appassionato di Ducati. Dopo le raccomandazioni di rito, prendiamo le misure dei paventati limiti di velocità: sulla freeway n° 70 il limite è 65 miglia (circa 105 all’ora) ma in molti ci superano e azzardiamo puntate anche a 80 miglia e oltre.
Le Ducati ST4 S non sembrano soffrire per l’andatura turistica: è una sensazione particolare viaggiare riparati efficacemente da una carenatura, avere motovaligie con quanto ci occorre a portata di mano e sentire tra le gambe il bicilindrico che
, con poche modifiche di dettaglio per renderlo più fruibile, è il medesimo di una delle moto sportive migliori di tutti i tempi.  Lo spettacolo che si para ai nostri occhi è di un’imponenza incredibile: siamo circondati da catene montuose innevate, stiamo entrando in uno dei comprensori sciistici più vasti e organizzati del mondo. Il Colorado è un immenso altipiano sito ad un’altitudine media di circa 2.000 metri: basti pensare che delle 67 vette statunitensi oltre i 4.000 metri, ben 54 si trovano in questo stato. Superata Vail, imbocchiamo la highway 24 in direzione di Aspen. C’è traffico, e bisogna stare all’occhio prima di azzardare qualche sorpasso “all’europea”. Di norma negli States i motociclisti seguono le regole delle vetture: niente sorpassi con striscia continua, neanche in condizioni di massima visibilità e sicurezza, si resta ordinatamente in coda e si rispettano le distanze tra i veicoli.

QUOTA 2400 METRI: ASPEN


Potremmo definire Aspen la Cortina degli Usa:
sebbene siamo fuori stagione, tutto ci dice che qui girano tanti quattrini. Alberghi lussuosi, ristoranti raffinati, negozi con le “griffe” più ricercate del made in Italy, un aeroporto zeppo di jet privati. A noi italiani piace ricordare che il grande Zeno Colò - il campionissimo dell’Abetone - durante i mondiali di sci alpino qui disputati nel 1950, vinse la discesa libera, lo slalom gigante e si classificò secondo nello slalom speciale. Si portano i bagagli nelle camere: la piccola rampa di scale ci fa tirare il fiato in modo sospetto. Sicuramente le primavere sul groppone sono tante, la stanchezza del viaggio si fa sentire ma ci accorgiamo che anche colleghi più giovani lamentano un po’ di affanno.

Lo stesso Alberto, fotografo ufficiale del gruppo che ci segue in auto, non sembra in piena forma e accusa i veloci spostamenti per scattare le foto migliori. La spiegazione sta nel fatto che siamo a 2.400 metri, raggiunti anche abbastanza in fretta, e l’altitudine taglia le gambe.

Mc Clure Pass



La seconda tappa ci vede impegnati in uno dei percorsi che ricordiamo con più piacere. Ritornati da Aspen a Carbondale, imbocchiamo la 133 in direzione sud attraverso la Gunnison National Forest e lungo il Red Rock Canyon, dopo aver valicato il Mc Clure Pass a 2.700 metri.
 Siamo sul terreno preferito da ogni motociclista che si rispetti: un misto veloce di curve e controcurve, asfalto e visibilità perfetti, tanto verde e improvvise pareti rocciose che sembrano incombere minacciose, per aprirsi poi in altopiani sconfinati.
Stiamo attraversando la vecchia parte mineraria del Colorado, e ci godiamo la splendida ciclistica della ST4 S “sforando” abbondantemente i limiti che qui difficilmente superano le 50 miglia. Il rischio vale la candela: le nostre Ducati piegano che è un piacere, la solidità della ciclistica, la precisione del cambio e l’efficacia dei freni fanno il resto. Arriviamo ad una delle tre dighe che fermano le impetuose acque del Gunnison River e sostiamo per goderci il panorama dell’omonimo Black Canyon, una fenditura naturale di oltre 90 km con una profondità che arriva a 850 metri. Tra foto e soste varie ce la siamo presa un po’ comoda: è l’imbrunire e abbiamo ancora tanta strada da fare.
Attraversiamo Cimarron (qui tanti nomi ricordano l’epopea del vecchio West e anche titoli di film) e a Montrose pieghiamo ancora a sud sulla higway 550. A Ridgway imbocchiamo la 62 e quindi la 145 per raggiungere, ormai al buio, Telluride, a 2.600 metri. Un collega che aveva accusato particolarmente il mal d’altitudine, tanto da proseguire la tappa in automobile, deve ricorrere alle cure dell’ospedale locale: è visitato accuratamente, gli somministrano ossigeno anche per la notte e gli prescrivono alcuni farmaci. Il conto salato, 360 $, la dice lunga sull’assoluta necessità di essere assicurati (e comunque muniti di contante) prima di affrontare un viaggio in USA.
Telluride è una simpatica cittadina, antico centro minerario, trasformata a partire dagli anni ‘80 in stazione sciistica e di sport vari.
Il mattino successivo vorremmo lubrificare le catene delle moto ma, ahinoi, ci manca proprio il prodotto specifico. Stiamo mettendo mano all’olio motore quando un giovane, dall’aria un po’ hippy, ci offre una confezione di grasso speciale per catene: è un appassionato motociclista, nel suo piccolo garage scopriamo una Honda CB750 Four e una Triumph Bonneville. E’ felice di poterci aiutare, non vuole assolutamente nulla per la bombola (praticamente nuova) e ricambiamo regalandogli una delle t-shirt con il logo del nostro viaggio.

Mesa Verde Park



Il panorama è, come al solito, incredibile: peccato che le condizioni di luce siano davvero scarse a causa della giornata un po’ grigia. E’ d’obbligo la visita agli antichi insediamenti del popolo Anasazi, di probabile origine messicana, che qui si stabilì nel VI secolo d.C.: nella parte più elevata del parco, che forma una specie di monte piatto (la “mesa”, appunto) che domina l’altipiano sottostante, si possono visitare i “cliff dwelling”, ovvero le abitazioni incassate nelle pareti del canyon.
In serata raggiungiamo Durango, cittadina fondata nel 1879 dalla società ferroviaria Denver&Rio Grande per il trasporto di oro e argento. L’unica vera attrattiva è infatti il vecchio e affascinante treno a vapore, in funzione da 120 anni, che oggi si offre ai turisti (al prezzo di 55-60 dollari a seconda della stagione) per la tratta Durango-Silverton, coperta in tre ore e mezza. Le serate ci consentono di scambiarci impressioni e commenti: il più favorevole è ovviamente quello sul prezzo della benzina, che varia da un minimo di 1,49 a un massimo di 1,79 dollari al gallone. Ovvero: circa 0,44 a 0,53 euro al litro! Un rilievo confortante è il basso consumo della ST4 S: finora non abbiamo quasi mai marciato nei limiti - pur senza esagerare - e i consumi sono tranquillamente nell’ordine dei 19 km/litro, un dato di grandissimo valore in rapporto alla potenza disponibile. Invece qualcuno storce il naso sulle prestazioni: affiora il sospetto che le Ducati per il mercato americano siano leggermente depotenziate o con una differente mappatura per rientrare nelle severe norme antinquinamento. Ma è solo un’impressione: come potremo apprezzare nel prosieguo del viaggio, anche le ST4 S soffrono l’altitudine e rendono un po’ meno. Con la quarta tappa lasciamo il Colorado: una sgroppata sulla highway 160 ci porta a Pagosa Springs, dove imbocchiamo la 84 ed entriamo nel Nuovo Messico.

IL PANORAMA INIZIA A CAMBIARE


Prima di attraversare la splendida Carson Forest (un altro parco nazionale, ce n’è uno dopo l’altro!)
, prendiamo una spruzzata di pioggia, l’unica di tutto il viaggio. Qui ci sono curvoni da ginocchio per terra: confessiamo che abbiamo fatto inversione più di una volta per rifare qualche curva particolarmente “stimolante”… Il cambiamento del panorama è netto: gli altopiani rocciosi, i canyon, le alture verdi lasciano il posto a spazi immensi interrotti da rilievi a cima piatta che sembrano sorgere dal nulla. La vegetazione è bassa, si comincia a sentire il caldo che sognavamo in Colorado. Siamo nello stato più povero degli Stati Uniti, benché assai noto per le ricerche nucleari: passiamo a poche miglia da Los Alamos, dove nel 1942 nacque la bomba atomica.  Le abitazioni sono modeste ed è un trionfo di peperoncini rossi appesi in ogni dove.
Qui si tirano le catene, qualcuno ha esagerato con il wheeling, si controllano i livelli, si sostituisce una lampadina difettosa e soprattutto si controlla l’usura dei pneumatici, oggetto di sarcastici commenti sulle “pieghe” dei partecipanti. La mattina successiva è dedicata alla visita del Taos Pueblo, ovvero l’abitato dell’antico popolo indiano. In questi villaggi non si può entrare liberamente: gli indiani sono orgogliosi e allo stesso tempo gelosi delle proprie tradizioni. Occorre un permesso per poter visitare il villaggio, si può entrare solo a piedi e bisogna chiedere il permesso per scattare foto alle persone, che il più delle volte si negano agli obiettivi. Le riserve indiane godono di una notevole autonomia: hanno un proprio governatore, la propria polizia e facilitazioni fiscali in diversi settori.

Santa Fe



E’ una strada che mette in luce l’agilità della Ducati ST4 S, pronta nell’inserimento nel misto stretto, perfettamente a suo agio anche quando non riusciamo a tenere il motore ad un regime di rotazione brillante. In compenso cominciamo ad accusare qualche indolenzimento al fondoschiena: la sella non è il massimo della comodità sia come forma sia come imbottitura.
Dedichiamo qualche foto a Santa Fe il mattino successivo: nella piazza del palazzo del governo posiamo a turno con un sosia di Buffalo Bill: cappellone in testa, baffoni, pizzetto, spolverino bianco lungo fino ai piedi e gli immancabili stivaletti caratterizzano il simpatico Mickey, che ci conferma di esibirsi proprio come sosia di Buffalo Bill in molti spettacoli teatrali.
Mentre scattiamo foto con le moto parcheggiate alla rinfusa, si avvicina una macchina della polizia: l’agente ci invita fermamente a non intralciare il traffico e a sgomberare alla svelta. Spieghiamo il motivo della nostra sosta e allora il tono si addolcisce: Mr. Caesar Sena - questo il suo nome - accetta di scambiare quattro chiacchiere e di farsi fotografare con molta affabilità. Dalla camicia spuntano due bicipiti impressionanti: è stato campione di body-building e, nonostante sia passato del tempo, sembra mantenersi in ottima forma. A questo punto è doveroso fare una considerazione. Durante il nostro viaggio, siamo sempre stati accolti con grande entusiasmo da tutti coloro che chiedevano informazioni sulle moto e quindi sulla nostra provenienza: il fatto che fossimo per la massima parte giornalisti europei - a parte un canadese e due americani - suscitava una gioia sincera da parte di chicchessia.

Il Grand Canyon



Il panorama sta cambiando, ci avviciniamo all’Arizona e tutto diventa stile western, con praterie sconfinate e rocce alte, piatte e levigate, tipicamente rossastre. Abbiamo sin qui parlato di freeway e highway e forse è necessario un distinguo. Le prime sono le equivalenti delle nostre autostrade - senza pedaggio però -, mentre le higway sono assimilabili alle nostre statali. In alcuni casi anche le highway hanno più corsie ma con incroci semaforici e intersezioni con altre strade.
E’ frequente, soprattutto in Arizona, imbattersi in cartelli con la scritta “adopt a highway”, cioé “adotta una statale”: si tratta di un programma federale - che riscuote grande successo - che prevede “l’adozione” di un miglio (1.609 metri) o più di statale da parte di società, associazioni di volontariato, privati eccetera che si impegnano a tenere pulito il tratto adottato.

IL VECCHIO WEST


Settima tappa: l’emozione si fa strada. Non che fino ad ora fossimo rimasti indifferenti ai paesaggi incontrati, ma adesso viene il bello. Con la statale 264 entriamo in Arizona e ci tuffiamo nel paesaggio del vecchio West. Siamo nella parte nord-orientale dello Stato, propaggine del Colorado Plateau e quindi caratterizzato da un altipiano semidesertico di altezza variabile tra i 1.500 e i 2.000 metri, che offre una meraviglia naturale come il Grand Canyon e le “mesa”, le caratteristiche ed enormi alture a cima piatta dall’inconfondibile colore rossastro. Prima di cominciare l’attraversamento delle enormi riserve degli indiani Navajo e Hopi ci ricompattiamo in attesa della vettura con a bordo Sandro e Alberto. Nella foga di rincorrerci, sono stati implacabilmente fermati dalla polizia. Qui non esistono Multanova o Autovelox: ti beccano con il radar - anche in senso opposto -, ti corrono dietro e son dolori. La loro velocità aveva ecceduto di 29 miglia il limite consentito: dopo una disperata autodifesa, i nostri avevano ottenuto uno sconto sulla multa da 210 a 100 dollari.

INCONTRO RAVVICINATO


Attraverso le riserve il traffico è scarsissimo: la visibilità è a perdita d’occhio, qualcuno ne approfitta per spalancare il gas a oltre 150 miglia di strumento, altri si fermano per le foto e per sgommare, insomma ci lasciamo un po’ prendere la mano.
Ci ritroviamo con il collega canadese a superare una vettura monovolume con famiglia al completo: in lontananza c’è un pick-up bianco parcheggiato in una stradina laterale e d’istinto rientriamo abbondantemente nel limite di 55 miglia. Notiamo nello specchio retrovisore che la monovolume si ferma e raggiunge il pick-up. Dopo neanche cinque minuti abbiamo il pick-up incollato al parafango: facciamo finta di niente ma quando attacca la sirena capiamo che è il momento di fermarci. E’ il ranger della riserva Hopi: ci chiede i documenti obbligandoci a stare ben fermi sul ciglio della strada, accanto alla moto.

E’ accaduto quello che avevamo immaginato: il guidatore della monovolume aveva fatto la spia, dicendo che aveva visto motociclisti sostare in posti pericolosi e procedere a forte andatura. Il ranger ce lo conferma ma, correttamente, ci dice che siccome lui non ci ha visti, non ci fa nessuna multa: come due scolaretti accettiamo la simpatica ramanzina del ranger che ci ricorda tutte le norme della circolazione locale e ci ammonisce sul comportamento scorretto; si felicita del fatto che siamo giornalisti e ci augura un buon soggiorno in Arizona. Il tutto finisce con la foto di rito.Arriviamo al Grand Canyon: non ci sono immagini, filmati, aggettivi o parole per descrivere un simile spettacolo. Qualche dato può solo dare un’idea: una fenditura lunga 450 km da oriente a occidente, larga da 14,5 a 16 km e profonda oltre un chilometro e mezzo.

Con l’innalzamento dell’altipiano del Colorado avvenuto dai 13 ai 16 milioni di anni fa, la forte pendenza dell’alveo dell’omonimo fiume e dei suoi affluenti ha favorito l’erosione delle rocce sedimentarie, durata per sei milioni di anni fino agli strati primordiali. Il vento, la pioggia e i mutamenti del clima hanno plasmato poi le imponenti formazioni coniche che separano i canyon secondari da quello principale. Restiamo davvero attoniti davanti a tale imponenza, mentre purtroppo constatiamo che una certa foschia non rende giustizia agli incredibili colori dello scenario, sfumando la diversa colorazione delle pareti del canyon dovuta alla sovrapposizione di depositi di varia natura. Il bambino che c’è in noi non può fare a meno di rivolgere un pensiero al povero Wil Coyote: con tutti i voli che si è fatto nel canyon per agguantare il malefico Bip-Bip…

Las Vegas



A Seligman abbandoniamo la freeway per
percorrere un tratto ancora conservato della mitica Route 66, un’icona dell’America “on the road” di Kerouac. Nata 75 anni fa come primo effettivo collegamento stradale tra l’est e l’ovest, la Route 66 collegava Chicago a Los Angeles attraversando 8 Stati. Oggetto di culto da parte non solo dei nostalgici della beat-generation, oggi sopravvive in alcuni tratti originali che sono stati salvati dal degrado e dalla sovrapposizione di altre strade.
Merita una visita il chiosco “Old Route 66” nella località di Hacberry,
gestito dai coniugi Pritchard. C’è una vecchia pompa di benzina, anticaglie di ogni genere, souvenir, memorabilia e una magnifica Chevrolet Corvette del 1957 che il vecchio John spolvera con amorevole cura. A Kingman ci aspetta un ultimo allungo sulla 93, un’autostrada per il cui percorso sono state addirittura tagliate le montagne: finiamo dritti su una specie di belvedere che si affaccia sulla maestosa diga Hoover, costruita nel 1935 per controllare il flusso del Colorado e fornire elettricità a basso costo a Las Vegas. Tutto è grandioso, tutto lascia intravedere una potenzialità illimitata: siamo storditi. Siamo in Nevada: ci congiungiamo (metaforicamente parlando, beninteso) con le centaure della Woman Riding School di Motociclismo e Ducati, premiate con un bellissimo viaggio da San Francisco a Las Vegas. E’ venerdì, si sta facendo sera e facciamo il nostro ingresso trionfale al circuito dove è già cominciato il raduno.
Abbiamo più di 3.000 km alle spalle ma abbiamo ancora voglia di moto:
qualche giro dimostrativo a briglia sciolta in pista prima di lasciare le moto, a malincuore, ai clienti americani in attesa.
Ci aspettano un paio di giorni in quella Babele di lusso, quell’apoteosi del kitsch,
quella Disneyworld per bambini mal cresciuti che è Las Vegas, tra gondole, slot-machine, Torre Eiffel, limousine, vulcani, piramidi, galeoni, montagne russe, bicipiti anabolizzati e seni al silicone. Ma questa è un’altra storia. Cara ST4 S, ci manchi.
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