L’esperienza della 500 da GP serve come base tecnica di massimo stress dove sperimentare le soluzioni che Taglioni è pronto ad usare per una maxi, la moto che manca nel listino di Ducati. La prima maxi di Borgo Panigale si chiama GT, va in produzione nell’estate del 1971, ha il motore bicilindrico ad L e dispone di una potenza dichiarata di 60 CV a 8.000 giri/min. La sfida è decisamente impegnativa perché siamo di fronte a un modello che va a inserirsi in un segmento che sta per esplodere nelle vendite e presidiato dalle industrie giapponesi, che mettono in piazza concorrenti come la quattro cilindri Honda CB750 Four, che gira come un orologio, oppure adrenaliniche due tempi come le potenti Kawasaki Mach III 500 e Mach IV 750. Il motore 750 ha un basamento praticamente identico a quello della 500 da Gran Premio; il telaio pure si associa alla GP nel lay-out, lo stile è dichiaratamente sportivo, così come l’assetto dei primi prototipi che montano i mezzi manubri sugli steli della forcella. Motociclismo dell’ottobre 1970 sorprende in prova la GT bolognese e sentenzia che siamo di fronte a... “macchina di originale concezione e di elevate prestazioni, è il simbolo più significativo della riscossa della grande bolognese… I tempi duri sono finiti anche per la Ducati e ne siamo ben lieti per i suoi uomini e per il motociclismo italiano”. Sul giornale si parla giustamente di riscossa perché nel 1970 l’azienda di Borgo Panigale è in grave crisi di liquidità e passa sotto l’ala della statale EF altra struttura dello Stato italiano. Nell’evoluzione dei vari prototipi, la GT diventa progressivamente sempre più turistica nell’impostazione e nella dotazione (soffietti parapolvere alla forcella, comandi e pedane avanzate) per assecondare, con molta probabilità, i desiderata di Berliner che chiede per gli States una moto non certo sportiva, le racer non conoscono un vasto mercato in America. Ma questa impostazione non seduce più di tanto pure gli yankee: delle 5.284 GT prodotte dal 1971 al 1974, solo 1.593 sbarcano in USA.
Come sempre, da Ducati più che una GT ti aspetti una Sport: gli appassionati vengono accontentati nel 1972, proprio con una 750 che ha questo nome, ma ancora non ci siamo: gli irriducibili del Ducati Power vogliono una aggressiva supersportiva, specialmente dopo aver visto qual è il potenziale del bicilindrico 750 e la sua prepotente affermazione ad Imola nel 1972. La linea della Sport è grintosa e filante, l’assetto è quello giusto, il peso scende a 182 kg (185 la GT), ma le manca, in modo imperdonabile, la distribuzione desmodromica, esclusiva tecnologica di Ducati e garanzia di notevoli prestazioni. La nuova bicilindrica ha teste tradizionali e una potenza di poco superiore alla GT, avvicinandosi a 62 CV. Finalmente, nel 1973 arriva la meravigliosa 750 Super Sport che vedete in queste pagine, così la validità del progetto dell’ingegner Taglioni viene compiutamente dimostrata. Siamo di fronte a una replica molto fedele della moto della 200 Miglia e monta, finalmente, la distribuzione desmodromica. La potenza sale a 70-72 CV, quotazione che la rende competitiva con la Guzzi 750 S, la Laverda 750 SF e vicina alla tre cilindri Kawasaki 750. Se le togli fanale e portatarga, le metti l’abito intero delle competizioni, è sicuramente pronta per scendere in pista. Motociclismo la prova nel settembre 1974 e punta il titolo sulla velocità massima: “Supera abbondantemente 200 all’ora”. In realtà va oltre perché sfiora i 220 km/h, mentre la Sport si ferma a 190 km/h. E sul giornale si continua con le lodi: la SS ha una maneggevolezza di stampo ciclistico, una precisione di traiettoria in curva decisamente rassicurante, frenata potentissima e peso contenuto. Piace anche il fatto che il bicilindrico non accusa vibrazioni, tira forte sin dai bassi regimi e tiene persino il minimo con regolarità. Il sound che esce dai tromboncini è decisamente racing e la nostra rivista consiglia di andare cauti con l’acceleratore in città, “pena l’attenzione dei preposti all’ordine pubblico”. Si può comunque approfittare del fatto che il motore è trattabilissimo e riprende “limpidamente” da 2.000 giri sin oltre i 9.000. Nessuna paura di sfarfallare le valvole in fuorigiri perché abbiamo la geometrica sicurezza del desmo. Il cambio è un capolavoro: ha i rapporti giustamente distanziati, gli innesti silenziosi, precisi e rapidi. La frizione è resistente, progressiva, da freddo non incolla e si aziona con uno sforzo minimo. Chiudiamo col prezzo: 1.947.000 lire, quotazione che supera quella della Honda CB750 (1.591.554 lire) e si avvicina a quanto occorre sborsare per una Kawasaki Z1 900 quattro cilindri (1.919.600). Ma sono soldi ben spesi. Non è vero ingegner Taglioni?