Alcuni concetti che esprime li conosciamo già, perché li dicono quasi tutti i dakariani: “Ho sempre sognato di fare la Dakar, fin da piccolo, ma non pensavo che fosse così faticosa e stressante, per cui ogni giorno telefonavo per dire che mi stavo ritirando e che mi venissero a prendere. Per fortuna, non c’era mai campo”. E tutti ridono. Insieme a lui ci sono altri due dakariani: Cesare Zacchetti e il già citato Francesco Catanese. Anche loro fanno ridere, ma hanno la gestualità di chi vuole fare ridere. Sono simpaticissimi, raccontano aneddoti, è davvero una bella serata. Cesare racconta della sua prima Dakar, quando la moto prese fuoco nelle prime tappe. Ma non da sola, dice la leggenda: sarebbe stato lui, mettendo in pratica i più reconditi desideri di Petrucci. E tutti ridono. “Andare a 160 all’ora sulla sabbia l’ho fatto pochissime volte – racconta Cesare - si raggiunge l’estasi, poi arriva Petrucci e si lamenta che non riesce a superare i 177 km/h”. Francesco racconta della mattinata seguente alla storica vittoria di tappa di Danilo: “L’atmosfera era irreale. Nessuno parlava. Fior di campioni guardavano per terra, imbarazzati da quello che aveva fatto Danilo. Passano tutto l’anno ad allenarsi sulle dune a trecento all’ora, poi arriva lui e li manda dallo psicologo”. E tutti ridono. Ma, quando parla Petrux, viene giù il teatro. Moriamo dal ridere anche quando esprime dei concetti che, in realtà, comici non sono.
In particolare, c’è da riflettere sulle cose che dice riguardo al piacere di guida. “In MotoGP l’ultima cosa che si fa è guidare la moto. In MotoGP si fanno le riunioni”. Tutti ridono. “Uno dei motivi per cui mi piace la Dakar è che lì mi diverto”. Come a dire: in MotoGP no, non mi diverto. E infatti: “In MotoGP c’è troppa tensione, troppa esasperazione, le rare volte che guidi la moto sei troppo concentrato ad andare al limite e risolvere i problemi. A quei livelli contano solo i risultati, non c’è spazio per il piacere, è come giocare in Champions League, ti diverti solo se vinci. Invece alla Dakar mi sono ritrovato tante volte completamente da solo, in mezzo al Nulla, sulla sabbia vergine e ho pensato che lì sì che mi stavo divertendo!”. A questo punto nessuno ride: tutti lo invidiano, sinceramente. Ma i suoi successivi pensieri sul cosa sia il piacere dell’andare in moto ci mandano in confusione: “Alla fine, il vero divertimento io lo provo quando torno a casa dalle gare, apro il garage, prendo la moto da enduro e me ne vado in montagna, libero e felice”. Lui è umbro, cioè vive nella regione dove, secondo noi, ci sono percorsi tra i più belli d’Italia.
A quel tavolo, mentre ceniamo e vediamo passare Petrucci, c’è anche Marco Marini, che osserva: “Vi rendete conto di che cosa ha detto? Uno che vince in MotoGP e alla Dakar dice che il vero divertimento è fare le gite in moto, esattamente come noi comuni mortali”. Quindi le cose funzionano al contrario? Noi invidiamo i campioni di moto e loro invidiano noi? Probabilmente bisogna fare dei distinguo tra divertimento e appagamento. Oltre un certo livello di guida, il piacere deriva solo dai successi. E se li cogli, raggiungi apici di felicità assoluta e di soddisfazione eterna. Anche a costo di soffrire per arrivarci. Rossi che passa Lorenzo in un punto impossibile a Barcellona e poi fa le gag sul traguardo si diverte. Tito Rabat che corre per una vita in MotoGP senza mai avere una soddisfazione no, non si diverte, anche se sa di essere un bravissimo pilota, capace di imporsi in Moto2. Visto che a vincere sono in pochissimi, viene da pensare che i più non si divertano, ma provino altre sensazioni: l’illusione che deriva dal migliorarsi, il sapere che se non ci provi vivrai di rimpianti, cose così.
Una cosa mi colpisce: nessun pilota di MotoGP parla mai del gusto di guida della propria moto. Uno come noi, che va a spasso, può trovare una moto più o meno gustosa, anche se magari non è veloce come un’altra. Mentre i piloti sono concentrati solamente sul rendimento, sul comportamento della moto, su dove e come la si potrebbe migliorare. Sarebbe però interessare sapere se Danilo, nel caso tornasse alla Dakar e ne diventasse un pilota vincente, riuscirebbe a divertirsi ancora così, oppure se venisse completamente preso dalla tensione del dover cercare di vincere.
Altra cosa interessante: perché è andato così forte? Ovviamente non posso saperlo, essendo io un comune mortale. Però mi domando se il fatto che lui faccia enduro e cross fin da bambino, unito all’essere un pilota da MotoGP, che è abituato a viaggiare a 340 km/h ed ha sviluppato un “pensiero veloce” fotonicamente veloce, non lo abbia reso un mostro, un supereroe che pensa, vede e fa cose che voi umani… Bisogna anche dire che la vittoria di tappa è arrivata prima che facesse una serie di voli terrificanti, che gli hanno fatto capire che qua la faccenda è ancora più rischiosa che in pista. Vediamo come somatizzerà l’esperienza e come evolverà questo supereroe comico, nel caso (pare probabile) che dovesse tornare alla più maledetta tra le gare maledette.