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Cream Works Scossa, idea elettrizzante

Una vecchia moto da trial Ossa 250 Mick Andrews Replica ferma da tempo è resa a nuova vita con un motore elettrico e un’estetica irriverente. È la prima creazione – datata 2015 – di una piccola e frizzante realtà che aspetta solo l’occasione giusta per diventare grande

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Cream Works Scossa, il motore è di tipo brushless è da 5 kW di potenza

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La Scossa mi intriga sin dal primo sguardo, quando la vedo tra i padiglioni della scorsa edizione di Motor Bike Expo. È accolta nello spazio riservato a un contest (nel quale, per inciso, non raccoglie adeguati consensi) e se ne sta lì sola soletta con un cartellino appeso al manubrio.

Da quello apprendo che il preparatore risponde al nome di Enrico Spinato, di Cream Works. Una rapida ricerca online mi svela un sito web vivace, brillante, fresco, dinamico. Lì trovo i contatti del proprietario e subito lo chiamo per fissare un appuntamento presso la sua officina.

Un paio di settimane dopo sono a Montegalda (VI): l’indirizzo corrisponde a una bella casa con un ampio piazzale, ma non vedo l’ombra di un’officina. Al cancello mi accoglie un ragazzo dinoccolato che ricorda Shaggy, l’amico di Scooby Doo.

Enrico è una persona semplice, ma con una vivida fantasia. Lavora come disegnatore meccanico presso una grossa azienda, ma ogni minuto libero è riversato nella sua passione: le moto. Cream Works suona come il titolo di un team di preparatori di grido, ma il suo è solo “gioco”. Almeno per ora: il sogno è che diventi un’attività a tempo pieno. E, per quello che vedo, ha tutte le carte in regola per diventarlo.

Nel grande garage di casa – lì prima c’era l’officina di auto del papà – Enrico s’è costruito tre ponti su cui lavorare le special, eseguire saldature e lavorazioni meccaniche. C’è una meticcia a metà strada tra una scrambler e una dirt track, una minimoto tipo Honda Monkey ma elettrica e lei, la Scossa.

Che ho conosciuto solo ora, ma che è nata diversi anni fa. “È stata un’idea di un mio amico, Antonio Pagliarulo, che mi aiuta per la parte grafica – spiega Enrico – e che lavora in uno studio di Como, CMP Design. Verso la fine del 2013 mi disse: ‘Perché non proviamo a fare una moto elettrica?’. Ma non sappiamo niente di elettriche, ho replicato. ‘Proviamoci comunque!’.

Il suo entusiasmo mi ha catapultato in una infinita serie di indagini e approfondimenti sull’argomento. L’idea di realizzarla sulla base di una moto vintage è scaturita quasi subito. Abbiamo trovato questa vecchia trial abbandonata ed è stato colpo di fulmine: leggera, semplice, perfetta per il nostro progetto. Così è nata la Scossa.

All’epoca il problema era recuperare i componenti, ancora poco diffusi. Motore, batterie e centralina sono arrivati dalla Cina, attraverso un importatore di Bologna e poi mi sono arrangiato a metterli insieme. Ho scaricato da internet delle dispense, ho seguito dei tutorial… Insomma, mi sono arrangiato”.

La base di partenza è una malconcia Ossa Trial 250 Mick Andrews Replica, priva di motore. La ciclistica rimane quella di serie. Il telaio in acciaio è modificato solo negli attacchi del motore, per poter alloggiare – al posto del monocilindrico 2T raffreddato ad aria – una drive unit elettrica e le batterie. Le sospensioni sono rinforzate per un uso meno trialistico, mentre le ruote in lega e i deboli freni a tamburo sono quelli originali.

Il serbatoio lascia il posto ad una cover in alluminio che nasconde cavi, connessioni e centralina. La sella è fatta da zero. Semplice, no? In realtà c’è una miriade di dettagli curati e simpatici sparsi un po’ dappertutto. Con la stessa font del marchio Ossa è ricreato il nome della moto e riportato sulla spalla degli pneumatici da trial. L’alluminio spazzolato è impreziosito da incisioni con disegni stilizzati e il logo Cream Works.

“Superseriusly”, molto seriamente: così si legge accanto al marchio. Ma la realtà è tutto l’opposto. L’irriverenza è alla base dei progetti di Enrico, che gioca con grafiche dipinte a mano sulle esili sovrastrutture. Se ve lo state chiedendo: quello sul “serbatoio” è proprio un dito che tocca un capezzolo. Perché? Per nessun motivo particolare: è simpatico e stuzzica la fantasia. Al punto che, per questa prova, sono arrivato con un casco verniciato appositamente di rosa, per fare pendant con quell’invitante seno. “Le mie moto possono piacere oppure no, ma di certo rimangono impresse, fanno discutere. Sennò sarebbero uguali alle altre” mi dice Enrico. Potete dargli torto?

Salgo in sella – anzi, in piedi sulle pedane – con l’entusiasmo di un bambino che scarta i regali di Natale. Sposto gli interruttori di accensione e fari su ON e, nel silenzio della campagna vicentina, parto. A questo punto accade quello che non mi aspetto: la Scossa si muove, ma non con quello scatto “trialistico” che mi sarei aspettato.

Ne ho provate, di moto elettriche, e di tutte ho apprezzato l’accelerazione fulminea. In questo caso non c’è. Il motore eroga “solo” 5 kW (poco meno di 7 CV) e con 48 Volt di tensione ha poco spunto. Insomma: non impenna. Non ci sono frizione né cambio, la presa è diretta e il collegamento alla ruota – tramite cinghia dentata in luogo della catena, per questioni di rumorosità e leggerezza – avviene passando da un riduttore, ma non è sufficiente per moti repentini. Il comando del gas (un potenziometro della Domino) è ben dosabile e così mi trovo ad “accompagnare” il motore, facendogli prendere giri con dolcezza.

È un esperimento, la Scossa. E anche un esercizio di stile. “Dovessi rifarla oggi, a distanza di 8 anni – mi confessa Enrico quasi a scusarsi delle scarse doti dinamiche della sua creatura – utilizzerei altri componenti più performanti”. E meno costosi. Con 3.000 euro si possono reperire motore, batteria e centralina di buona qualità, certamente migliore di quella utilizzata nel 2015: la crescita, in ambito elettronico, è incredibile.

Tanto per cominciare si potrebbe montare una drive unit da 72 Volt, anziché 48 come quella della Scossa, certamente più brillante. E pure batterie più capienti: quelle da 20 Ah e 960 Wh usate su questo esemplare garantiscono una mezz’oretta di divertimento. Tra l’altro manca un indicatore di carica residua e così non mi allontano mai troppo, per timore di rimanere appiedato. Considerando però i margini di miglioramento, la Scossa mi piace.

Elettrizza anche se non è un fulmine. Mette allegria. Bassa e con tanto sterzo, non spaventa e curva in un fazzoletto. Ed è talmente leggera che, quando finisco in un punto difficile, mi basta scendere da sella e sollevarla, per girarla su se stessa e fare dietrofront.

I freni vanno strizzati a dovere per fermarsi in spazi ridotti: la tecnologia dei primi anni Settanta, in questo frangente, sarebbe da sostituire. Ma nel complesso non mi delude. Tanto che, alla fine della giornata – salutato Enrico e rientrato a casa – mi fiondo sui siti di compravendita online più noti, alla ricerca di una vecchia trial destinata allo sfasciacarrozze, per portarla da Cream Works e costruirci qualcosa da usare nei boschi, in silenzio e col sorriso sul volto. Come quello disegnato sul faro della Scossa.

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