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Indian FTR 1200 S vs Triumph Speed Twin

Due roadster con performance di rilievo e fascino senza tempo, entrambe curatissime, ma agli antipodi per quanto riguarda carattere e guida. L'americana è più muscolosa e grintosa, ma con un’elettronica da affinare. L’inglese è più raffinata e leggera, però cede qualcosa nella guida sportiva

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Certe moto le scegli per le prestazioni, altre per la praticità, altre ancora per il look. Ma ce ne sono alcune che ti conquistano per il carattere e lo stile, come le protagoniste della nostra prova, la Indian FTR 1200 S, ispirata al mondo del flat track, e la Triumph Speed Twin, massima espressione della gamma Bonneville. Entrambe hanno sostanza in abbondanza, ma – lo diciamo subito – sono talmente diverse tra loro da rendere difficile un confronto che decreti una vincitrice. Ciascuna ha caratteristiche così peculiari che, ne siamo certi, non c’è concorrenza tra loro. Chi sceglie una, non può essere attratto dall’altra. Leggete fino all’ultima riga e capirete perché. Un punto in comune in più lo hanno, a dire il vero: non puoi confonderle con nessun’altra moto in circolazione. E poi entrambe sono curate, costruite veramente bene. Le plastiche della FTR sono così ben realizzate e verniciate da sembrare sottili fogli metallici; c’è un po’ di disordine estetico tra motore e telaio, ma è tutto così attillato da lasciare poco spazio ai vari componenti. Non un cavo fuori posto invece sulla Speed Twin, che mette orgogliosamente in mostra i materiali pregiati che la compongono: forcellone e parafanghi in alluminio, ad esempio, sono elegantemente spazzolati e non verniciati. E il motore? Con quella evocativa alettatura sui cilindri, il radiatore incastonato tra le travi discendenti anteriori del telaio e nessun tubo dell’acqua a vista si direbbe raffreddato ad aria, invece che a liquido. Una vera opera d’arte.

Le immagini le fanno sembrare simili, nelle dimensioni e, in effetti, parcheggiate una accanto all’altra non sembrano Davide e Golia. Una volta in sella, però, la sensazione è quella. La Indian è più voluminosa, a partire dal motore. Derivato da quello della Scout – ma con cilindrata cresciuta – non nasconde le sue origini yankee. La sella è più alta – anche se con entrambi i piedi si tocca bene a terra – e l’ergonomia è raccolta, ma non scomoda. I fianchi sono stretti e il manubrio basso; ci si ritrova con le ginocchia ben inserite a stringere il serbatoio. Che in realtà serbatoio non è: il carburante scivola giù dal tappo fin sotto la sella, per abbassare il baricentro, mentre tra la seduta e il manubrio è nascosto l’airbox. Più tradizionale il layout della Triumph, con un serbatoio di metallo dalle forme generose e tondeggianti da cingere tra le gambe. Domina il design della moto e le dona un aspetto muscoloso, ma elegante. Eppure è compatta, la Speed Twin. Persino piccola, se paragonata alla FTR. La sella bassa e piatta non mette in soggezione nemmeno i piloti di statura meno elevata. Quelli più alti, invece, la troveranno meno accogliente. A conti fatti, l’ergonomia non è tanto più raccolta rispetto alla Indian, eppure ci si sente più rannicchiati. Le pedane sono più avanzate e il busto risulta più eretto: la posizione è un po’ meno attiva e carica sul manubrio. Bene nella guida disimpegnata, ma quando si viaggia in autostrada o si affrontano le curve con piglio sportivo, l’americana ti fa sentire più “inserito” sulla moto. Discorso differente quando si gira in città. La Indian, complice una ventina di chili in più e di un raggio di sterzata un po’ più ampio, richiede un impegno leggermente superiore per svicolare nel traffico, anche se l’ampio manubrio aiuta parecchio a governare la moto. Triumph è più svelta e agile. Peccato per quegli specchietti alle estremità del manubrio, che sembrano messi lì apposta per urtare quelli delle auto in colonna. Negli stop&go urbani e nella guida in souplesse ad andatura cittadina, la Speed Twin aiuta con una erogazione fluidissima ai bassi regimi, anche se si avverte un leggero on/off nella primissima apertura del gas. Superato questo gradino però, si procede senza strattoni anche al minimo. E la frizione è dolce e modulabile alla perfezione. Quella della FTR, nemmeno lei troppo dura da azionare, ha invece uno stacco più imperioso che non ricordavamo di aver riscontrato durante i nostri primi test (Motociclismo 11/2018 e 05/2019). Davide e Golia, dicevamo prima. Le misure contano e si fanno sentire anche una volta lontano dal traffico. La Indian ha quote abbastanza “aperte”, un interasse generoso, un’avancorsa quasi da custom e cerchi grandi come ruote panoramiche. Sulla carta pare un camion. Invece si guida bene. Certo non è un furetto, richiede una guida “fisica” e va indirizzata con decisione tra le curve, specialmente nei cambi di direzione, dove mette in luce una certa inerzia. Ma una volta presa la traiettoria non la molla più. La stabilità è davvero elevata e le sospensioni, da parte loro, lavorano egregiamente. Solide e ben sostenute, non si scompongono quando si forza il ritmo. All’opposto, la Triumph è decisamente più svelta, rapida a scendere in piega, veloce nei pif-paf. Peccato che la guida sportiva non sia supportata da forcella e ammortizzatori, che si dimostrano un po’ cedevoli quando si cerca di tenere il passo dell’americana. Anche in staccata si avverte il divario: ben dosabili e potenti i freni dell’inglese, ma quelli dell’americana sono più pronti e aggressivi. In più, la Indian ha anche il Cornering ABS, un aiuto alla sicurezza in più che si fa apprezzare, specie in questa stagione fredda, con asfalto freddo e viscido.

La FTR 1200 S è farcita di elettronica: oltre al Cornering ABS ci sono riding mode (Sport, Standard e Rain), traction control con funzione (escludibile) anti-impennata e cruise control. La navigazione all’interno delle varie funzioni è facilitata dal touch screen della strumentazione TFT a colori e dal pulsante a joystick sul blocchetto elettrico sinistro. La taratura degli interventi elettronici però non ci è parsa raffinatissima in ogni suo aspetto. Il taglio della potenza in caso di perdita di aderenza, nelle mappe più conservative, risulta piuttosto invadente e ruvido. Tuttavia, del V-Twin americano non si finisce di apprezzare l’erogazione generosa a tutti i regimi, progressiva ed esaltante. La spinta non manca mai e la risposta al gas – fatta salva una lieve pigrizia a prendere giri ai bassi regimi – è sempre pronta e lineare. E il sound! Pieno e corposo, entusiasmante. Il cambio è ben spaziato per sfruttare pienamente le doti del motore, con innesti corti e precisi. Discorso vibrazioni: fanno parte del DNA delle moto americane, ma in questo caso sono più simili ad un ronzio che non infastidisce e che si avverte appena durante la marcia, come un pizzico di sale che serve a dare il giusto sapore alla guida. Ad andatura autostradale però, quel pizzico diventa una manciata, che si concentra tutta sulla sella, arrivando ad intorpidire la zona del coccige, se si affrontano lunghi trasferimenti. La Triumph ha tutt’altro temperamento. Il bicilindrico in linea emette sin da subito un ruggito pieno, ma più pacato di quello della concorrente. Questo motore è direttamente derivato dalla sportiva Thruxton R, rispetto al quale però è più leggero di 2,5 kg: coperchi valvole in magnesio, carter riprogettati, frizione con meno peso e inerzia. Il twin inglese spinge progressivo e senza incertezze a qualunque regime. Non ha la schiena dell’americano, ma è tanto elastico da riprendere senza strattoni a partire dai 2.000 giri/min. Anche la Speed Twin si affida all’elettronica per godere appieno delle prestazioni, meno ricca (non c’è il Cornering ABS né il cruise control), ma più raffinata nei settaggi: le tre mappe disponibili sono abbastanza distinte tra loro, anche se la Sport e la Road sono molto vicine; palesemente più delicata la Rain, che oltre ad addolcire la risposta al gas, mitiga un po’ l’effetto on/off. E il controllo di trazione, anche su asfalto umido e con poco grip, non risulta così invasivo come quello della concorrente, lasciando maggior margine al pilota, intervenendo solo quando realmente necessario e comunque senza quel taglio imperioso della FTR. Unico appunto al cambio, sempre preciso, ma eccessivamente contrastato negli innesti.

Un appunto ai consumi. La Indian è più assetata e, complice un serbatoio poco capiente, arriva a percorrere circa 150 km prima di entrare in riserva. La Triumph tiene solo un litro e mezzo in più di carburante, ma ne brucia mediamente meno: la spia gialla si accende introno ai 200 km. Altra nota doverosa: eseguire prove durante la stagione invernale, con temperature ambientali basse, può far correre il rischio di sottovalutare la quantità di calore trasmesso al pilota. In effetti durante la nostra comparativa non abbiamo sofferto di vampate indirizzate alle gambe, ma nella guida a rilento in città e nel traffico ci è capitato spesso di avvertire la ventola di raffreddamento in azione. Un piacevole soffio tiepido accolto con gioia in giorni in cui il termometro fatica a superare i 10 °C, ma in estate non riteniamo sia altrettanto gradevole. Apprezzate invece le manopole riscaldabili della Speed Twin (optional a 232 euro). Ultima cosa, emersa proprio grazie alle pessime condizioni meteorologiche di questa stagione: nessuna delle due moto protegge bene dagli schizzi sollevati dalla ruota posteriore. Guidare su fondi umidi porta inevitabilmente a inzaccherarsi la schiena. E se c’è un passeggero a proteggervi, quanto pensate potrà essere contento?

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