Le immagini le fanno sembrare simili, nelle dimensioni e, in effetti, parcheggiate una accanto all’altra non sembrano Davide e Golia. Una volta in sella, però, la sensazione è quella. La Indian è più voluminosa, a partire dal motore. Derivato da quello della Scout – ma con cilindrata cresciuta – non nasconde le sue origini yankee. La sella è più alta – anche se con entrambi i piedi si tocca bene a terra – e l’ergonomia è raccolta, ma non scomoda. I fianchi sono stretti e il manubrio basso; ci si ritrova con le ginocchia ben inserite a stringere il serbatoio. Che in realtà serbatoio non è: il carburante scivola giù dal tappo fin sotto la sella, per abbassare il baricentro, mentre tra la seduta e il manubrio è nascosto l’airbox. Più tradizionale il layout della Triumph, con un serbatoio di metallo dalle forme generose e tondeggianti da cingere tra le gambe. Domina il design della moto e le dona un aspetto muscoloso, ma elegante. Eppure è compatta, la Speed Twin. Persino piccola, se paragonata alla FTR. La sella bassa e piatta non mette in soggezione nemmeno i piloti di statura meno elevata. Quelli più alti, invece, la troveranno meno accogliente. A conti fatti, l’ergonomia non è tanto più raccolta rispetto alla Indian, eppure ci si sente più rannicchiati. Le pedane sono più avanzate e il busto risulta più eretto: la posizione è un po’ meno attiva e carica sul manubrio. Bene nella guida disimpegnata, ma quando si viaggia in autostrada o si affrontano le curve con piglio sportivo, l’americana ti fa sentire più “inserito” sulla moto. Discorso differente quando si gira in città. La Indian, complice una ventina di chili in più e di un raggio di sterzata un po’ più ampio, richiede un impegno leggermente superiore per svicolare nel traffico, anche se l’ampio manubrio aiuta parecchio a governare la moto. Triumph è più svelta e agile. Peccato per quegli specchietti alle estremità del manubrio, che sembrano messi lì apposta per urtare quelli delle auto in colonna. Negli stop&go urbani e nella guida in souplesse ad andatura cittadina, la Speed Twin aiuta con una erogazione fluidissima ai bassi regimi, anche se si avverte un leggero on/off nella primissima apertura del gas. Superato questo gradino però, si procede senza strattoni anche al minimo. E la frizione è dolce e modulabile alla perfezione. Quella della FTR, nemmeno lei troppo dura da azionare, ha invece uno stacco più imperioso che non ricordavamo di aver riscontrato durante i nostri primi test (Motociclismo 11/2018 e 05/2019). Davide e Golia, dicevamo prima. Le misure contano e si fanno sentire anche una volta lontano dal traffico. La Indian ha quote abbastanza “aperte”, un interasse generoso, un’avancorsa quasi da custom e cerchi grandi come ruote panoramiche. Sulla carta pare un camion. Invece si guida bene. Certo non è un furetto, richiede una guida “fisica” e va indirizzata con decisione tra le curve, specialmente nei cambi di direzione, dove mette in luce una certa inerzia. Ma una volta presa la traiettoria non la molla più. La stabilità è davvero elevata e le sospensioni, da parte loro, lavorano egregiamente. Solide e ben sostenute, non si scompongono quando si forza il ritmo. All’opposto, la Triumph è decisamente più svelta, rapida a scendere in piega, veloce nei pif-paf. Peccato che la guida sportiva non sia supportata da forcella e ammortizzatori, che si dimostrano un po’ cedevoli quando si cerca di tenere il passo dell’americana. Anche in staccata si avverte il divario: ben dosabili e potenti i freni dell’inglese, ma quelli dell’americana sono più pronti e aggressivi. In più, la Indian ha anche il Cornering ABS, un aiuto alla sicurezza in più che si fa apprezzare, specie in questa stagione fredda, con asfalto freddo e viscido.